L’AD RAI ALLA CAMERA NEGLI UFFICI DI FRATELLI D’ITALIA
IL SENSO DI ESSERE “SUPER PARTES” QUANDO SI ASSUME UN RUOLO ISTITUZIONALE NON FA PARTE DEL DNA DEI SOVRANISTI
Con la “crisi Ranucci” che si allarga e la credibilità dell’Autorità in bilico, il Garante
della Privacy si muove per ingaggiare – con soldi pubblici – una società di comunicazione che gestisca la fase più delicata della sua storia recente. E non è l’unico segnale di agitazione ai piani alti: anche Giampaolo Rossi, amministratore delegato della Rai, è stato visto ieri entrare a Montecitorio nell’area dei gruppi di Fratelli d’Italia, alla vigilia della riunione della Commissione di Vigilanza che domani discuterà la multa da 150 mila euro a Report. La Rai parla di “incontri istituzionali”, ma il tempismo – dopo il caso Ghiglia – è difficile da inquadrare come casuale. Già questo dà la misura
dell’imbarazzo che serpeggia in piazza Venezia, sede del Garante. Ma la domanda è: se davvero all’autorità sono così tranquilli sul fatto che Agostino Ghiglia non sia andato a prender ordini nell’ufficio di Arianna Meloni alla vigilia del voto sulla multa a Report, perché mai lui e la vicepresidente del Garante hanno passato 45 minuti del loro prezioso tempo a trattare con una nota e costosa società di “consulenza strategica” per le relazioni istituzionali? Cosa hanno da temere quei due componenti del collegio – su quattro – in quota FdI e Lega, che con il loro voto hanno fatto passare la sanzione da 150 mila euro, tanto cara all’ex ministro Sangiuliano e non solo a lui? Lo stesso Ghiglia, dopo le foto pubblicate dal Fatto e il video trasmesso da Report, ha ammesso l’incontro con Arianna Meloni ma lo ha liquidato come “due convenevoli”. Eppure resta un buco di quasi un’ora nella sua versione dei fatti.
È invece una certezza – e il Fatto lo può documentare – che Ghiglia e la vicepresidente del Garante, Ginevra Cerrina Feroni, due giorni fa abbiano avuto una call di 45 minuti con una nota società di PR istituzionali e lobbying. Oggetto: sondare la disponibilità a “gestire la crisi” innescata dalle rivelazioni del Fatto e di Report sul possibile condizionamento politico nella decisione di multare la Rai. Alle società contattate viene anche richiesto di firmare un accordo di non divulgazione (non-disclosure agreement, ndr), vincolante sulla riservatezza delle informazioni acquisite.
Il timore, spiegano, è che possano emergere nuove prove che compromettano la reputazione dell’Autorità – o forse soltanto la loro.
Ma perché a pagare per questo, e profumatamente, dovrebbero essere i contribuenti? Non dovrebbe il Garante della Privacy difendere la reputazione dei cittadini, anziché spendere le loro tasse per difendere la propria da possibili rivelazioni della stampa?
Che un’autorità pubblica nata per garantire la trasparenza ricorra a società di lobbying per ripulire la propria immagine è già di per sé tragicomico. Ma lo diventa ancora di più se a muoversi è proprio Agostino Ghiglia, l’uomo che dice di “non avere nulla da rimproverarsi” e che “male non fare, paura non avere”. Peccato che, a giudicare dai movimenti dietro le quinte, la paura ci sia eccome.
(da ilfattoquotidiano.it)
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