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L’ALA DURA DI FRATELLI D’ITALIA HA CALZATO L’ELMETTO PER ANDARE ALLO SCONTRO FRONTALE CON IL “DEEP STATE” ITALIANO E L’EURO-BUROCRAZIA CHE OSANO INTERFERIRE E OSTACOLARE L’AZIONE DI GOVERNO (SCONFITTO MANTOVANO CHE SPINGEVA PER IL DIALOGO)

ALLEATASI CON BERLUSCONI, A GIORGIA RIMANE UNA SPINA NEL FIANCO, SALVINI. ORA VUOLE SPINGERLO A DESTRA SERRANDO LA PORTA DEL GRUPPO DEI CONSERVATORI EUROPEI DI CUI E’ PRESIDENTE

Il motto, a Palazzo Chigi, è divenuto: “Meglio perdere che perdersi”. Giorgia Meloni, nella definitiva trasformazione da Draghetta a Ducetta, ha deciso di calzare l’elmetto e andare allo scontro frontale con quei poteri che osano interferire, sabotare, rallentare la sua azione di governo.
Nei suoi primi mesi da Presidente del Consiglio, Donna Giorgia ha provato a darsi una veste più istituzionale, dialogante e moderata, ribaltando come se niente fosse tutte le prese di posizione del recente passato quando si sollazzava a fare l’opposizione. Ma il richiamo della foresta, cioè la sua natura guerresca, unito agli ostacoli che le sono via via piovuti sul capo, l’hanno convinta a dissotterrare il manganello. Una riconversione culturale e anche ideologica.
I suoi continui scontri con la Francia di Macron, i conflitti con l’Ue su Pnrr (la terza rata da febbraio non si vede), Mes (a Bruxelles Giorgia è odiata), la riforma del Patto di stabilità, le mosse per la conquista della Commissione europea in vista delle elezioni 2024, lo scazzo con la Corte dei Conti, il rialzo dei tassi della Bce e le minacce delle agenzie di rating, la tenaglia Usa-Cina legata alla Via della Seta, eccetera, hanno convinto Giorgia Meloni a sfanculare il “giannilettismo” democristo e quirinalizio della Roma Potentona per imbracciare il bazooka. Della serie: visto che i “poteri storti” non perdono occasione di sabotarci, andiamo alla guerra. Bang! Bang!
In questo cambio di “narrazione”, sempre più bellicista e vaffanculista, s’è consumato uno scontro all’interno dell’inner circle meloniano.
Contrario a ogni conflitto, soprattutto con le toghe, c’era l’ex magistrato e sottosegretario Alfredo Mantovano. Quella che fino a ieri era la “mente” politica di Giorgia, consigliere fidatissimo e ascoltatissimo, ha sperato fino alla fine di convincere la premier di evitare tensioni e scontri con la Corte dei Conti.
Mantovano ha spinto come ha potuto per convincere la Reginetta della Garbatella ad assumere una postura più dialogante quindi istituzionale con il Deep State (Finanza, Corte dei Conti, Avvocatura dello Stato, Consiglio di Stato e magistratura ordinaria) ma è stato sconfitto dall’ala oltranzista di Fratelli d’Italia che fa capo a Fazzolari, Donzelli, Foti, Santanché, etc.
Anche il ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, dopo aver scippato a quel ”covo di comunisti” del Mef i dossier del Pnrr, col risultato che nel trasloco ha perso sei mesi, ha rovesciato sulla spalla di Fazzolari il caprone espiatorio: se il Pnrr non va, è colpa dei controlli della Corte dei Conti. Deve morire!
Eppure il povero Fitto aveva provato a stemperare le tensioni, chiamando alla guida della nuova task force sul Pnrr Carlo Alberto Manfredi Selvaggi, magistrato contabile e, come si legge sul sito del Governo, “da oltre un decennio Procuratore Regionale della Corte dei Conti in diverse regioni del Nord, Centro e Sud Italia”.
Una nomina che voleva essere un’apertura verso i magistrati, ma che rischia di porre una questione di conflitto di interessi (come fa la Corte dei Conti a controllare la buona riuscita del Piano, se sta anche dentro la struttura che lo deve “mettere a terra”?)
I falchi restano invece convinti che debba essere la politica a comandare, e non le caste, le corporazioni, le logge o le filiere di potere. Un “vasto programma”, direbbe De Gaulle, che, rigettando l’eterno consociativismo all’italiana, ora dovrà fare i conti con la resistenza delle varie “caste”.
Per innestare la quarta e partire all’assalto, Meloni è stata costretta prima a “coprirsi” all’interno della sua stessa maggioranza. Liquidata Licia Ronzulli e venuto meno l’asse tra Lega e Forza Italia, la premier ha blindato l’alleanza con Silvio Berlusconi (a cui ha promesso il ruolo di “padre nobile” e “gran ciambellano” della futura alleanza tra Ppe e Ecr) attraverso i buoni uffici del sempiterno Gianni Letta, che è così riuscito a piazzare Preziosi al Tg2 e Scaroni alla presidenza di Enel, e il dialogo costante con il duplex Marta Fascina-Marina Berlusconi.
L’asse Forza Italia-Fratelli d’Italia ha reso cristallino il ruolo di solitario antagonista di Matteo Salvini, che non perde occasione di fare il controcanto ai proclami dal balcone di Giorgia.
Dall’autonomia al Pnrr, dalla collocazione internazionale dell’Italia alle nomine, il “Capitone” è la vera spina nel fianco della leader di Fratelli d’Italia, come dimostra anche la tensione durante il vertice sull’emergenza alluvione a Palazzo Chigi, di oggi.
La premier ha annunciato un “tavolo settimanale con gli enti locali, coordinato dal ministro Musumeci (Fdi), e Salvini è sbottato, scrollando le spalle, a braccia aperte e con il “volto infastidito offerto volutamente all’attenzione dei presenti”, come scrive Tommaso Ciriaco su “Repubblica”: ”Quindi faremo riferimento anche noi a Musumeci…”.
Un’inevitabile resa dei conti tra i due litiganti, ci sarà alle elezioni europee, dove ogni partito correrà da solo, vista la legge elettorale proporzionale, e si “peseranno” i rapporti di forza.
Il segretario del Carroccio, in Europa, è completamente isolato: si ritrova nel gruppo Identità e Democrazia insieme a Marine Le Pen e alle svastichelle tedesche di Afd. Per questo, vorrebbe trovare una nuova collocazione, e l’unica opzione, visto che nel Ppe i liberali e i tedeschi non lo vogliono vedere neanche in cartolina, è l’ingresso nei Conservatori e riformisti, gruppo presieduto proprio da Giorgia Meloni. Peccato che la Ducetta non abbia nessuna voglia di far spazio alle truppe leghiste.
Avendo fiutato l’aria pesante (ieri era a cena con Mantovano), Salvini vorrebbe portare a casa almeno la riforma dell’autonomia regionale prima del voto europeo, mentre la Meloni temporeggia: il suo obiettivo è legarla alla modifica dell’assetto istituzionale del Paese (presidenzialismo o premierato che sia).
A proposito di riforme: il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è molto infastidito per la minaccia della premier di portarle a casa con un voto di maggioranza, per poi andare allo showdown con il referendum.
Davanti a questo repellente scenario meloniano di premierato e presidenzialismo, il Capo dello Stato ha rinforzato la volontà di restare al Quirinale fino alla fine del suo secondo mandato, accantonando ogni ipotesi di dimissioni anticipate. E a dargli manforte, ha trovato proprio Salvini, che, in funzione anti-Giorgia, ha recentemente elogiato il suo ruolo di garante: ”Mattarella non si tocca”.
L’alleanza tra Fratelli d’Italia e Forza Italia, che punta a spingere a destra Salvini, lasciandogli ben poche armi a disposizione, può avere effetti collaterali. La storia patria recente dimostra che i governi apparentemente più solidi iniziano il loro declino a seguito delle baruffe interne: Renzi ricorderà come il Pd accolse il ricorso al referendum nel 2016, e come lo affossò sabotandolo.
La crociata, culturale e ideologica, di Giorgia Meloni, in guerra con il “deep state”, ha ovviamente fatto incazzare i magistrati. Non solo le toghe della Corte dei Conti, a cui il governo ha sfilato il controllo “concomitante” sulla messa a terra del Pnrr, ma anche i magistrati ordinari, che si sono sentiti messi nel mirino dal ministro della Giustizia garantista, Carlo Nordio. Un primo “avviso ai navigati” è arrivato dalla Procura di Napoli, nell’ambito dell’inchiesta sulla corruzione internazionale per il Colombia-gate, che vede indagati, tra gli altri, Massimo D’Alema e Alessandro Profumo.
I pm hanno disposto la perquisizione negli uffici e nelle abitazioni di “Baffino” e dell’ex presidente di Leonardo, a più di un anno di distanza dallo scoppio del caso. Come a dire: l’occhiuto controllo delle procure può arrivare ovunque e in qualsiasi momento. E quasi certamente non mancheranno contraccolpi…
La nuova Giorgia in versione barricadera ha anche smesso di confrontarsi periodicamente con Mario Draghi, il quale, in privato, si lascia andare a previsioni lapidarie: ”Il Pnrr è morto. Non si fa”. E se il Piano restasse carta morta, il PIL italiano che è calcolato sul Pnrr, tornerebbe a vivacchiare alle solite percentuali da zero virgola.
Ps. Dall’operazione contro “deep state” e poteri forti, e dall’alleanza Fratelli d’Italia-Forza Italia, i due a uscire malconci sono: Alfredo Mantovano e Matteo Salvini. I due, che si sono sempre cordialmente detestati, per la prima volta hanno qualcosa in comune…
(da Dagoreport)

This entry was posted on giovedì, Giugno 8th, 2023 at 15:21 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

« L’EDITORE DI RENZI HA INTERESSI A PALAZZO CHIGI E I SUOI GIORNALI SONO TENERI CON LA MELONI
LEZIONE DI POLITICA DI GIULIANO AMATO ALLA MELONI: “UN RUOLO DI PRIMO PIANO NELL’UE NON LO ESERCITI STANDO CON ORBÁN. SAREBBE SUICIDA. CON UN DEBITO PUBBLICO ALTISSIMO E UN’ECONOMIA A RISCHIO ANCHE A CAUSA DEI RITARDI DEL PNRR, IN CHE CONDIZIONI SI TROVERÀ L’ITALIA TRA UN PAIO D’ANNI?” »

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