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L’ALTRA FACCIA DI RIO: LE FAMIGLIE SFRATTATE PER FARE SPAZIO AI GIOCHI

L’INTERESSE DI INVESTITORI E IMPRENDITORI HA OBBLIGATO I RESIDENTI ORIGINARI DELLA ZONA AD ANDARSENE

Il porto di Rio de Janeiro di questi tempi è un immenso cantiere colorato, punteggiato di gru e operai impegnati ad assemblare, una rotaia dopo l’altra, la nuova linea ferroviaria leggera che sfreccia attraverso la Zona Sud.
Tutti gli edifici sono in ristrutturazione, oppure sul punto di cadere a pezzi. Su alcuni sono apparsi cartelli con la scritta “alugo”, in affitto, ma i più sembrano solo abbandonati. Tra questi c’è casa di Paulo.
Nato a Rio nella favela di Rocinha 61 anni fa, da tre Paulo Cezar De Paula vive con la moglie Damiana e il figlio undicenne Izac in una baracca di otto metri quadri, costruita all’interno di uno dei tanti depositi dismessi.
Il suo hangar azzurro si trova a pochi passi dalla Cidade do Samba, dove carri colorati aspettano tutto l’anno il carnevale, e a due fermate di tram da Praà§a Maua, il cuore della città  olimpica, dove sorge il nuovo Museo del Domani, disegnato dall’architetto spagnolo Santiago Calatrava.
«Vivere qui nella zona portuaria è come stare in una miniera d’oro» spiega Paulo, che di lavoro fa il parcheggiatore.
«La mia famiglia e io viviamo qui dentro per evitare che qualcuno da fuori venga e occupi lo stabile al posto nostro».
Nel 2013, i De Paula e altre 120 famiglie furono sfrattati dall’edificio abbandonato che occupavano da sette anni, dopo che il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti D’America, Donald Trump, svelò il progetto di costruire cinque Trump Towers da 38 piani nel quartiere in cui si trovavano, Porto Maravilha (il Porto Meraviglioso.)
Le torri erano parte del ben più ampio piano di riqualificazione urbana da 2.2 miliardi di euro previsto dalla città  per la zona del porto – determinante nella scelta di Rio come futura città  ospite dei Giochi del 2016.
Come spesso avviene nelle grandi città , l’interesse di investitori e imprenditori edili ha obbligato i residenti originari della zona ad andarsene, perchè sfrattati o incapaci di far fronte all’aumento degli affitti, lasciando così spazio all’arrivo di classi più alte.
Le quotazioni immobiliari nella zona di Gamboa, dove dovevano essere costruite le Trump Towers prima che il progetto entrasse nell’attuale fase di stallo, è salito del 400% dopo il lancio del piano urbano Porto Maravilha nel 2009, stando ai dati raccolti dall’organizzazione non governativa brasiliana ComitઠPopular da Copa e das Olimpiadas do Rio de Janeiro.
L’edificio che i De Paula e le altre famiglie occupavano prima di essere sfrattati era stato abbandonato dalla segreteria del porto di Rio più di 20 anni prima.
«Ci sono così tanti edifici abbandonati là  fuori, e così tanta gente che ha bisogno di una casa» continua Paulo. La loro esperienza era durata sette anni ed era stata un successo: gli abitanti dell’edificio lo avevano rimesso a posto e se ne prendevano cura, e avevano stabilito alcune regole rigide – come il divieto di consumare alcol – che ne facevano un posto sicuro anche per i più piccoli. «Ma con l’arrivo di tutti questi nuovi progetti e uffici hanno dovuto cacciarci via».
Più di 670 famiglie in totale sono state rimosse con forza dalle loro case da quando il progetto di rinnovo della zona del porto è cominciato.
Nonostante le proteste, e le numerose pressioni affinchè i Giochi Olimpici lascino un’eredità  positiva nelle città  che li ospitano, la ristrutturazione del porto di Rio sembra destinata a diventare solo l’ennesimo spinoso esempio di quali tensioni siano generate dallo sforzo per conservare il passato e investire nel futuro.
«C’è una connessione diretta tra progetto di riqualificazione urbana di Porto Maravilha e il progetto Olimpico. Le Olimpiadi servono come elemento catalizzatore di risorse per il piano di riqualificazione e legittimano queste trasformazioni» osserva Orlando Santos Jàºnior, professore di pianificazione urbana all’Università  Federale di Rio de Janeiro (UFRJ). «Ogni cosa è giustificata dalle Olimpiadi».
Per alcune delle città  che hanno ospitato le Olimpiadi ci sono state delle conseguenze positive: una decisiva spinta democratica a Seoul, un miglioramento della rete dei trasporti a Pechino – con un aumento di capacità  per quattro miliardi e mezzo di persone – e un piano di riqualificazione urbana rivoluzionario a Barcellona, da tanti oggi ancora considerata l’Olimpiade modello.
Nonostante la corsa contro il tempo e una pioggia di critiche da parte dei media, impegnati soprattutto a lanciare l’allarme sui rischi di contaminazione per gli atleti che dovevano gareggiare nell’inquinata baia di Guanabara o sull’eventualità  di contrarre il virus Zika, Rio è di fatto riuscita a completare le enormi sedi sportive destinate a ospitare le gare e alcuni musei di prim’ordine, a ristrutturare l’aeroporto, e a costruire strade e una rete ferroviaria leggera che aiuti a sveltire gli interminabili spostamenti tra il centro della città  e le periferie.
L’eredità  più importante – e più controversa – dei giochi, però, sarà  quasi sicuramente la ristrutturazione multi-miliardaria del porto.
Un’area storicamente popolare, il porto è stata la culla del patrimonio afro-brasiliano del paese, dove, secondo le ultime stime, sono sbarcati tre milioni di schiavi Africani tra il 16esimo e il 19esimo secolo.
Il piano di riqualificazione urbana era già  stato incluso nella candidatura di Rio a Cidade Olimpica nel 2016.
Quando venne lanciato nel 2009, diventò il primo accordo pubblico-privato del paese, nel quale il governo brasiliano si trovava in associazione con un consorzio di tre imprese locali che comprendeva Odebrecht e OAS – entrambe coinvolte nel gigantesco scandalo di corruzione della compagnia statale Petrobras, costato al Brasile, secondo le stime, tra i 7.9 e i 11.4 miliardi di euro.
La “rivitalizzazione”, come l’hanno chiamata gli ideatori del progetto, includeva l’abbattimento del Perimetral, la leggendaria circonvallazione sopraelevata che percorreva la costa della città  per un chilometro, e prevedeva la costruzione di tunnel e il rinnovo di strade, marciapiedi, e di 700 chilometri di impianti idrici e fognature.
«L’area portuale aveva bisogno di investimenti» afferma Clarissa da Costa Moreira, una ricercatrice specializzata in pianificazione urbana. «Ma in ogni città  del mondo si è obbligati a includere una percentuale di alloggi sociali, non ho mai visto una cosa del genere».
Negli anni ’90, Moreira lavorò con il comune di Rio per elaborare un programma pilota di ristrutturazione e riabilitazione di edifici in disuso prima di restituirli ai loro residenti originari. Il programma pilota non fu poi portato avanti, e Moreira sostiene che il progetto di riqualificazione urbana sia stato dato in mano a imprese edilizie con poca attenzione ai bisogni della classe operaia e delle fasce della popolazione che tradizionalmente abitavano il quartiere. «Il progetto esiste dal 2009, e hanno presentato un piano per costruire alloggi sociali solo a causa delle forti pressioni sociali e mediatiche nel 2015, sei anni dopo».
Proprio nel 2009 fu deciso che 380 famiglie sarebbero state rimosse da Morro da Providàªncia, la collina che sorge alle spalle del porto e che ospita la più vecchia favela della città , perchè la zona era stata dichiarata ‘a rischio geologico’.
Altre 291 sarebbero state sloggiate per far spazio a una funicolare che avrebbe facilitato i trasporti. In totale, un terzo degli abitanti di Morro da Providàªncia fu minacciato di perdere la propria casa.
Un’agguerrita campagna mediatica e una conseguente azione legale riuscirono a mettere temporaneamente in pausa il progetto del governo, fino a oggi ancora in sospeso, ma nel frattempo 140 famiglie erano già  state sfrattate, secondo uno studio del ComitઠPopular. La vicenda ora è in attesa di giudizio.
Anche le famiglie come quella di De Paula, che hanno perso la propria casa per fare spazio alle Trump Towers nel 2013, hanno trovato un accordo con il comune di Rio, dopo lunghe trattative che hanno visto coinvolti pubblici ufficiali della città , attivisti dei diritti umani e residenti.
Questi ultimi potevano scegliere se ricevere un compenso economico per lo sfratto o essere trasferiti in alloggi sociali.
«Ci hanno offerto di trasferirci in quartieri periferici, lontani dal centro», ricorda Roberto Gomes do Santos, 49 anni, che aveva preso parte alle trattative con il comune subito dopo gli sfratti. «Ma noi abbiamo combattuto molto per ottenere questo edificio nel centro, così che i più poveri, che hanno costruito questa parte della città  con il proprio sudore, non ne vengano cacciati».
Mentre i gruppi collettivi più organizzati sembrano trovare un modo di rispondere alle pressioni del governo della città , un’altra comunità  nativa dell’aera portuaria è sempre più a rischio.
I caseggiati popolari più tradizionali di Rio – che di solito ospitano piccoli monolocali autonomi con bagno e cucina in comune, abitati da un massimo di sei persone ciascuno – sono una testimonianza della storia della città .
Furono costruiti nei primi anni di vita del porto, per alloggiare lavoratori della zona e discendenti degli schiavi africani liberati. Conosciuti da tutti come cortià§os, questi caseggiati non sono però riconosciuti dal governo della città  di Rio, che in questo modo ne esclude i residenti da qualsiasi tipo di trattativa.
Questo è il caso di Luis Carlos Rodrigues, che vive da solo in un caseggiato popolare nel vivace centro di Porto Maravilha.
Affitta una delle 59 stanze singole a disposizione nell’edificio a due piani, per poco meno di 100 euro al mese. I residenti, quasi tutti uomini e lavoratori – e per la maggior parte brasiliani, eccetto qualche immigrato – condividono la cucina sul ballatoio e un bagno.
Per tutti, l’ubicazione dell’edificio è la sua qualità  più importante. Rodriguez per esempio, che è un venditore ambulante, deve essere il più vicino possibile alle arterie commerciali del centro, per vendere Coca Cola, biscotti, noccioline e, quando piove, ombrelli.
«Questo tipo di abitazioni è legale a San Paolo ma non a Rio» racconta il professore universitario Orlando Santos Junior, che attualmente è impegnato in uno studio approfondito su questi caseggiati popolari, il primo nel suo genere.
«L’illegalità  automaticamente mette gli abitanti dei cortià§os in una situazione molto precaria. I proprietari degli immobili non garantiscono loro delle condizioni di vita adeguate, perchè sanno che queste case potrebbero essere chiuse da un momento all’altro».
Il governo sostiene di avere un potere limitato sugli interventi di natura sociale previsti dal piano di riqualificazione urbana, dato che il denaro investito non viene direttamente dai suoi conti. Secondo la città  – e il CDURP, la Companhia de Desenvolvimento Urbano da Regià£o do Porto do Rio de Janeiro, ovvero l’ente creato per rappresentare il governo nelle lunghe trattative con il consorzio vincitore – le quote di denaro pubblico investite nell’accordo pubblico-privato derivano dalla vendita di diritti sull’aria degli immobili nella zona del porto, dove le imprese edili non avevano il permesso di costruire oltre una certa altezza. I ricavati delle vendite di questi diritti sull’aria dovrebbero poi essere investiti nel progetto di Porto Maravilha, insieme a capitali privati.
L’offerta però non ha suscitato l’interesse che il governo sperava.
Nel mezzo di una profonda crisi finanziaria, pochi investitori hanno comprato diritti sull’aria per portare avanti progetti immobiliari nella zona del porto, facendo sì che una grande quantità  – pari a quasi un miliardo di euro – fosse alla fine comprata dalla Caixa Econà’mica Federal, la banca di proprietà  del governo.
Il denaro usato per comprare i diritti sull’aria veniva dal fondo di indennità  della banca, creato negli anni ’60 per proteggere dipendenti licenziati senza una giusta causa. Alcuni critici del progetto sostengono che l’uso di fondi federali lo renda un investimento pubblico.
«Per loro è importante sostenere che sia un investimento privato e non pubblico, così da evitare che l’opinione pubblica prenda parte nella vicenda» sostiene Renata Neder, consigliere per i diritti umani di Amnesty International in Brasile.
Altri sostengono anche che il porto nella sua forma odierna sia un’estensione della terraferma costruita artificialmente dal governo e di conseguenza, in quanto suolo pubblico, debba avere a cuore gli interessi di tutta la popolazione.
Ma Rio sembra aver preso una strada diversa.
«Il dibattito su questi progetti è stato completamente rimosso dalla sfera pubblica e le Olimpiadi sono servite come giustificazione», conclude Santos, «nulla viene discusso perchè tutto serve alle Olimpiadi».

Caterina Clerici, Diane Jeantet
(da “La Stampa“)

This entry was posted on giovedì, Agosto 18th, 2016 at 21:05 and is filed under olimpiadi. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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