L’AMERICA FIRST DI TRUMP È UN INCUBO PER GIORGIA MELONI – LA DUCETTA TIENE IL PIEDE IN DUE STAFFE PER RAGIONI IDEOLOGICHE (I SUOI ELETTORI TIFANO DONALD), MA È CONSAPEVOLE CHE IL RITORNO DEL TYCOON ALLA CASA BIANCA SAREBBE UNA FREGATURA PER L’ITALIA
I DAZI ANTI-CINESI FINIREBBERO PER COLPIRE L’EXPORT ITALIANO. ANCHE LA RICHIESTA SULLE SPESE MILITARI SAREBBE DIFFICILE DA ONORARE: LE CASSE SONO VUOTE E NON C’È UN EURO NEMMENO PER LA MANOVRA
Fosse solo per i Patrioti nazionalsovranisti riuniti sul pratone di Pontida, Giorgia Meloni sentirebbe di avere tutto sotto controllo. La premier non ritiene infatti che Viktor Orbàn e Matteo Salvini possano costringerla davvero ai margini della destra europea. È lei a sedere a Palazzo Chigi, è con lei che bisogna parlare quando è necessario concordare la linea con Roma: vale per Bruxelles, come per Washington. Il problema, semmai, è che si scrive Orbàn, ma si legge Trump. Ed è qui che la situazione si complica.
La premessa è che la premier non tifa (apertamente) per Kamala Harris, né potrebbe: il corpaccione di FdI si esalta alla sola vista del cappellino rosso fuoco di Trump. Meloni, però, intravede alcuni potenziali rischi di una vittoria del tycoon. Il nodo non riguarda la necessità di ricostruire il rapporto con il candidato conservatore, che pure fatica a perdonarle il bacio in fronte di Joe Biden.
No, la presidente del Consiglio è cauta sull’eventuale ascesa di Trump — e su quella dei suoi fan continentali guidati da Marine Le Pen, Orbàn e Salvini — per una ragione assai più pragmatica: con un trionfo repubblicano l’Italia potrebbe entrare in crisi sul fronte commerciale.
Per comprendere i contorni di questo timore, bisogna fare un passo indietro. E tornare a un’elegante sala dell’hotel Peninsula di New York. Fine settembre, a Manahattan. La premier deve partecipare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Riservatamente, riceve alcuni dei principali amministratori delegati delle grandi società tecnologiche, oltreché non meglio precisate personalità vicine alla creativa galassia che ambisce a costituire la prossima amministrazione Trump
Appena tornata a Roma, Meloni convoca alcuni consiglieri a Palazzo Chigi. E attorno a un tavolo fa la sintesi dei colloqui: l’American First che ha in mente Donald Trump — è il senso del messaggio — potrebbe metterci in difficoltà a causa dei dazi e della linea ostile alle relazioni commerciali con la Cina. Un grosso scoglio, per chi deve gestire il governo avendo a disposizione casse dello Stato vuote.
Le dinamiche politiche, come detto, c’entrano poco. Secondo la presidente del Consiglio, infatti, l’eventuale vittoria del candidato repubblicano creerebbe al massimo qualche fibrillazione nell’esecutivo. L’ansia di Meloni, semmai, è per le eventuali crepe nella bilancia commerciale, facendo saltare conti già in rosso. Se Trump dovesse punire i prodotti italiani, costringerebbe Roma ad affrontare tempi difficili. Al termine del primo mandato di Trump e con l’avvento dell’amministrazione Biden, l’export italiano verso gli Usa subì un’impennata: +16% il primo anno, +31,9% quello successivo. Il timore è che lo schema dei dazi si ripeta, aggravato da un pressing politico per ridurre le relazioni commerciali con Pechino
Il sovranismo di Trump e dei Patrioti è invece meno complesso da gestire se si discute di Ucraina. La premier, infatti, ha già iniziato un millimetrico, ma progressivo distacco da Kiev. Continuerà almeno fino al 4 novembre, in attesa di conoscere l’esito delle Presidenziali. Semmai, la vittoria di Trump metterebbe Roma di fronte a un altro problema pratico: il repubblicano esige un drastico aumento delle spese militari. Anche in questo caso, un incubo per chi fatica a trovare risorse per la prossima legge di bilancio.
(da La Repubblica)
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