L’ATTACCO A RANUCCI E IL SENSO DI IMPUNITA’
LA PRESA DEI POTERI CRIMINALI SU ROMA
L’attacco sotto casa di Sigfrido Ranucci è grave e inquietante, ma è anche sbalorditivo perché ci riporta ad altri tempi, a quando nel 1993, durante il periodo dello stragismo mafioso deciso da Totò Riina, una Fiat Panda carica di 100 chili di tritolo era stata
fatta esplodere in via Fauro lungo il percorso che abitualmente seguiva l’auto di Maurizio Costanzo e quella di sua moglie Maria De Filippi. Si salvarono solo per un pulsante premuto in ritardo.
Dietro l’attentato a Costanzo c’erano i corleonesi, dietro all’ordigno fatto esplodere per Ranucci chi c’è?
La procura di Roma e i carabinieri del nucleo investigativo di Roma e di Frascati stanno lavorando a varie ipotesi. L’ordigno esploso è del tipo denominato IED (Improvised Explosive Device), un dispositivo costruito artigianalmente con la polvere utilizzata per i fuochi d’artificio. Colpire un giornalista tanto esposto e da anni in prima linea come Ranucci è chiaramente un attacco alla libera informazione e dunque alla democrazia, ma per chi lo compie potenzialmente è anche un clamoroso autogol, come dimostra la doverosa attenzione e l’enorme clamore che questo caso ha suscitato. La famigerata testata di Roberto Spada al collega Daniele Piervincenzi ha accelerato il suo arresto e quello di quasi tutto il clan Spada di Ostia, di fatto decapitandolo.
Quello del pugile fu un gesto talmente sconcertante da attirare allora sul litorale romano giornalisti, telecamere e investigatori per settimane, tanto che Fabrizio Piscitelli, Diabolik, il capo ultrà della Lazio ucciso nel 2019, intercettato, commentava l’imprudenza di Robertino Spada che a suo dire avrebbe dovuto gonfiare di botte il giornalista chiudendolo però dentro alla sua palestra, invece di farlo a telecamere accese.Questo episodio viene citato per sottolineare che da allora i criminali romani sarebbero stati più cauti nel calcolare rischi e benefici delle loro
azioni. Chi ha fatto esplodere la bomba davanti al cancello e all’automobile di un giornalista tanto in vista come Sigfrido o è uno sprovveduto o si è sentito in qualche modo al riparo dalle conseguenze di un gesto tanto eclatante.
Tra le tante inchieste svolte da Report per esempio c’è anche quella sull’Albania, considerata un “narcostato”, in cui si sono analizzati i rapporti particolarmente opachi tra i vari clan mafiosi e le più alte sfere istituzionali. Il gruppo criminale degli albanesi è tra i più presenti e spietati della Capitale (e non solo), tra l’altro particolarmente attivo nella piazza di spaccio, situata proprio davanti casa del giornalista, a Campo Ascolano, in provincia di Pomezia.
Un ordine partito da lontano? O qualcuno che avrebbe agito di sua iniziativa per guadagnare punti con i suoi referenti?
Si auspica che le indagini arrivino presto ad una conclusione, trasformando le tante ipotesi in fatti, ma nulla – per la famiglia di Ranucci in primis – può cancellare il senso di impressione e turbamento suscitato da un modus operandi che sembrava superato, sostituito da altre pratiche meno rischiose come le querele temerarie, deterrente molto in voga presso alcuni studi penali che così facendo sperano di intimorire chi non può affrontare costosi processi o chi non ha alle spalle una solida testata giornalistica, circostanza molto frequente nelle piccole realtà locali.
Ma la forza intimidatrice dei poteri criminali non si rivolge solo contro i giornalisti, ma intossica il vivere quotidiano dei molti cittadini che per un motivo o per un altro sono costretti a vivere in una situazione di contiguità con certi contesti. A cominciare
proprio dalla malavita romana, talmente impastata con il mondo di sopra e con quello di mezzo, che spesso la società civile ne subisce l’influenza e la prepotenza con una sorta di rassegnazione.
Lo sanno bene i commercianti che in certe zone, come Ostia e Cinecittà, ancora sono costretti a pagare il pizzo, lo sa chi subisce il racket delle case popolari, lo sa chi non può rientrare in casa propria in certi orari perché le scale servono per spacciare. Basti fare un giro a Tor Bella Monaca per rendersene conto.
Il potere criminale del resto esercita la sua pressione non solo con la violenza, ma anche attraverso quel senso di impunità che fa sì che chiunque si arrenda davanti all’istinto di ribellarsi o di denunciare: tanto già si sa chi avrà la meglio. Vorrei segnalare a tal proposito un fatto che spiega meglio di tante parole quel senso di “impunità” che rafforza i criminali e indebolisce tutti gli altri. Matteo Costacurta, conosciuto a Roma con il soprannome di Principe, è stato arrestato per il tentato omicidio di Alessio Marzani (un pregiudicato) a luglio del 2022 e condannato a 18 anni.
Il Principe, amico fraterno di Diabolik, secondo un’ipotesi investigativa sarebbe anche l’autore del tentato omicidio di Giuseppe Molisso e di Leandro Bennato, due pezzi da novanta, indagati a loro volta come mandanti per l’uccisione di Diabolik, che Costacurta avrebbe in questo modo voluto vendicare.
L’allora titolare del fascicolo Mario Palazzi definì inquietante la figura di Costacurta: «Non ha bisogno di delinquere per motivi economici, ha soldi e buona famiglia, non è un disgraziato di
periferia, potrebbe fare una bella vita e invece delinque per piacere, per gusto personale. Indossa il maglioncino e spara».
Il Principe, arrestato come si diceva nell’estate del 2022 con la pesante accusa di tentato omicidio, è rimasto in carcere appena un paio d’anni, perché già da maggio del 2024 risulta ricoverato in una clinica romana, la Nomentana Hospital, per un’operazione tutto sommato di routine.
Costacurta sarebbe poi rimasto ricoverato lì in lungodegenza perché la sua terapia riabilitativa prevede il nuoto. Per di più, gli era stata anche offerta la possibilità di essere accompagnato in piscina tutti i giorni dalla polizia penitenziaria (!), ma lui ovviamente ha preferito restare in clinica, fuori dal carcere. E ci mancherebbe… Ovviamente Matteo Costacurta non è evaso, ma è stato autorizzato da chi si è piegato alle logiche di impunità.
Un altro carcerato con patologie ben più serie, ma con meno disponibilità economiche e senza la stessa rete di appoggi su cui può contare il Principe, avrebbe ricevuto lo stesso trattamento? No. E cosa dovrebbe pensare chi ha subito il reato per cui Costacurta è stato condannato a 18 anni? E cosa dovrebbero pensare i cittadini: che la legge è uguale per tutti? O quasi? L’influenza intimidatrice della criminalità si nutre anche di queste distorsioni, che trasmettono un senso di impunità, la stessa che forse ha accompagnato coloro che hanno pensato di poter piazzare una bomba sotto casa di un giornalista.
Francesca Fagnani
(da lastampa.it)
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