LE CENSURE DI FACEBOOK: NIENTE ALLATTAMENTO E VIOLENZA VERBALE VIETATA
LE LINEE GUIDA PER IL SOCIAL NETWORK, IN RETE I DOCUMENTI DEI MODERATORI, SCOPPIA LA POLEMICA…NO A NUDO E FOTOMONTAGGI E IN TURCHIA NON SI PARLA DEI CURDI
Non si può allattare, non si può andare in bagno, forse non si possono nemmeno mostrare i piedi nudi, non si può parlare di Kurdistan se si risiede in Turchia.
Si tratta delle regole base che si devono seguire per vivere nel mondo virtuale di Facebook.
Solo che non vengono sempre esplicitate agli utenti, che diventano a volte violatori inconsapevoli dei diktat della casa di Cambridge.
Il controllo dei contenuti pubblicati dagli utenti di tutto il mondo (850 milioni, secondo gli ultimi dati) si svolge su più livelli.
Il primo, il più basso – capita, se si violano le regole, di trovarsi l’account bloccato per 24 o 48 ore, di non poter più mandare inviti agli amici, ecc. – è affidato ad aziende esterne.
Una di queste è oDesk. La scorsa settimana un ex impiegato della compagnia, Amine Derkaoui, ha diffuso tramite il sito Gawker.com le linee guida dell’azienda di Cambridge (documento che poi è stato modificato e ripubblicato).
Il marocchino, 21 anni, intendeva protestare per il trattamento umiliante subito dai lavoratori, pagati 1 dollaro l’ora.
Da Facebook ammettono senza problemi il ricorso a compagnie esterne per il controllo, e assicurano che per «processare in modo rapido ed efficiente milioni di segnalazioni che riceviamo ogni giorno», le società selezionate «sono soggette a rigorosi controlli di qualità e abbiamo implementato diversi livelli di tutela per proteggere i dati degli utenti che usano il nostro servizio. Inoltre nessun altra informazione viene condivisa con terzi oltre ai contenuti in questione e alla fonte della segnalazione. Abbiamo sempre gestito internamente le segnalazioni più critiche e tutte le decisioni prese dalle terze parti sono soggette a verifiche approfondite».
Così è emerso il meccanismo in base al quale alcune foto scompaiono dopo poco dalle bacheche degli utenti, o come gli account vengono di volta in volta bloccati o sospesi.
Gli standard comunitari che gli utenti di Facebook accettano al momento dell’iscrizione recitano «Ci impegniamo a coltivare un ambiente in cui ognuno possa parlare apertamente di problemi comuni e condividere il proprio punto di vista nel pieno rispetto dei diritti degli altri», e avvisano che: potrebbero essere rimossi i contenuti che indicano un appoggio ad organizzazioni violente; che le autorità competenti saranno informate in caso di minacce di suicidio; che bullismo e molestie saranno presi in assoluta considerazione; che «la discriminazione di individui in base a razza, etnia, nazione di origine, religione, sesso, orientamento sessuale o malattia rappresenta una grave violazione»; che le immagini di violenza sadica non sono tollerate; che protegge la privacy; che non consente «l’organizzazione di atti di vandalismo, furti o frodi».
Fino a qui tutto bene, ma all’atto pratico, che cosa è consentito pubblicare e condividere, e cosa no?
E qual è il limite tra la «pulizia» e la censura stretta?
Il documento fornito da Derkaoui presenta l’esatto limite: la pattuglia di moderatori riceve una segnalazione e sceglie se accoglierla, cancellando il contenuto, respingerla, mantenendolo, o inoltrarla a livelli più alti di quella che sembra una struttura piramidale per un ulteriore vaglio.
Vengono censurate fotografie con un abbigliamento che evidenzia troppo la zona genitale (per maschi e femmine), quelle di donne che allattano bambini senza coprirsi il seno (è dei giorni scorsi la cancellazione di una foto di una donna di colore che allattava un bambino bianco, o albino), giocattoli sessuali (ma solo se usati nel loro contesto), oggetti di feticismo sessuale (senza specificare quali siano, se indumenti, parti del corpo o altro), immagini di persone ubriache o addormentate con il volto disegnato da qualche buontempone, o persone che vanno in bagno.
O quelle comparative tra due individui, o tra una persona e un animale che magari le somiglia.
Ma anche frasi ed espressioni, e qui si tocca la libertà di espressione, che possano incitare alla violenza (l’esempio? «I love hearing skulls crack», «Mi piace sentire un cranio che si frattura»), a prescindere dal loro contesto, o che «mostrino supporto per organizzazioni o persone note prevalentemente per la loro violenza», a giudizio del moderatore che riceve la segnalazione.
Censurate anche le esplicite attività sessuali, anche se «velate», mentre vengono consentiti i baci anche tra individui dello stesso sesso.
Vengono inoltrate ai piani superiori frasi e immagini che negano l’Olocausto, se pubblicate in Germania, ma anche gli attacchi ad Ataturk (il padre dei Turchi), le mappe del Kurdistan, le bandiere turche bruciate e i contenuti che appoggiano il Pkk, il partito curdo combattente se effettuate in Turchia, o da utenti turchi.
E questa indicazione è già una palese scelta politica.
Rincarata dal commento che recita: «Ignorare se chiaramente contro il Pkk».
In molti paesi europei la negazione dell’Olocausto è un reato, e in Turchia lo è il supporto al movimento curdo.
Ma non lo è nel resto del mondo, e viene da chiedersi cosa potrebbe accadere se un utente straniero commettesse queste violazioni sulla bacheca di un utente turco o tedesco.
Sembra una palese violazione della libertà di opinione, tanto più che, se nelle linee guida generali si parla di contenuti violenti o espliciti, non si parla mai di contenuti politici da evitare.
Eppure, per queste violazioni non esplicitate è previsto il blocco dell’accesso al servizio per l’utente che le commette.
Facebook però risponde che questi blocchi non scattano, o non dovrebbero scattare, per utenti di paesi dove il commento non costituisce reato: «Non è che tutti gli utenti non possano negare l’Olocauto. La negazione dell’Olocausto è vietata per legge in Germania, quindi i contenuti vengono bloccati in Germania. Facebook è compliant (si adatta, ndr) con le leggi locali».
Si suppone, quindi, che a breve verrà pubblicato anche un aggiornamento delle linee guida che vieti di negare il genocidio che i turchi hanno commesso ai danni degli armeni: in Francia, infatti, sta per diventare reato.
Sì alle foto della marijuana, no alle altre droghe se non nel contesto di studi medici o scientifici.
Ovviamente se non si fa riferimento a un’offerta di vendita delle sostanze, però. Sì ai video di risse scolastiche, a meno che non siano pubblicati per bullismo.
I video sulle torture agli animali sono ammessi ma solo se sono apertamente schierati contro la violenza.
A sorprendere di più, però, sono i contenuti che devono essere consentiti: «E’ ok mostrare i fluidi corporei (con l’eccezione dello sperma) a meno che nel processo non sia coinvolto un essere umano».
Traduzione spicciola: sangue, ferite, o altro sono «ok» a meno che non si veda l’atto di violenza che l’ha causata.
«Ferite profonde sono ok, il sanguinamento eccessivo è ok, teste rotte e arti recisi sono ok finchè non si vedono le interiora».
E qui scatta la nota che sottolinea come non siano ammesse eccezioni per i link alle notizie o a contenuti che richiedono il controllo da parte dei genitori.
Maria Strada
(da “Il Corriere della Sera”)
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