LE GUERRIERE CURDE CHE HANNO TRAVOLTO L’ISIS RICONQUISTANDO 390 VILLAGGI: “CADRO’ ALL’INDIETRO, MA NON RINUNCERO’ MAI AD ANDARE AVANTI”
SONO 40.000 LE COMBATTENTI, IL 40% DELLE FORZE CURDE: SONO PIU’ TEMUTE DALL’ISIS CHE GLI UOMINI… TRA LORO ANCHE VOLONTARIE EUROPEE, TURCHE, ARABE, SIRIANE E IRACHENE… HANNO TRA I 19 E I 28 ANNI
Gli scontri vanno avanti incessantemente, le armi sono contingentate. Trasmettere coraggio, è dura.
La metà sono ragazze, giovanissime, tra i 19 e i 28 anni per la maggior parte. Divise improvvisate, scarpe da corsa, niente anfibi. Eppure il morale è sempre alto. “Nell’ultimo villaggio liberato – inizio marzo, nord-est della Siria – abbiamo sottratto all’Is: 3 veicoli armati, 5 veicoli corazzati tipo Hammer, 7 pick-up, 3 camion militari, 1 carro armato, 2 minibus, 1 ambulanza, 2 motociclette, due veicoli carichi di esplosivi TNT per gli attentati esplosivi”.
È una guerra di posizione, gomito a gomito, corpo a corpo.
“Il mio nome è Xabur Efrin, ho 22 anni, il mio battaglione ha riconquistato la città di Til Hemà®s strappandola all’Is”.
La città di Til Hemà®s nel cantone di Cizà®rઠnel Rojava, Kurdistan occidentale, è stata completamente liberata.
Una rivoluzione nella rivoluzione: qui le donne sono alla testa della guerriglia, la cultura curda è frutto di una rivoluzione femminista che dura da 40 anni. È un avamposto del socialismo internazionale, si dice da queste parti, tanto da attrarre altre donne da tutto il mondo che qui, tra le lande della Mesopotamia, coltivano la culla della civiltà per edificare un futuro che nutra la figura della donna come protagonista e non vittima.
Ci sono donne europee, arabe, siriane, turche, curde, irachene e non solo.
Tra loro, purtroppo, ci sono anche delle martiri: l’ultima a Tell Tamr, 50 chilometri dalla frontiera turca, è stata Ivana Hoffmann, tedesca, 19 anni; in questo fazzoletto di terra, tra polvere e sangue, è morta difendendo un corridoio cruciale verso la roccaforte dell’Isis in Iraq, Mosul.
Queste le parole che lascia in eredità , a tutte le guerrigliere.
Parole crude scritte in una lettera che aveva indirizzato alle combattenti, poco prima di morire. “Scoprirò cosa si prova a tenere un’arma in mano e lottare per la rivoluzione. Forse scoprirò i miei limiti e cadrò all’indietro, ma non rinuncerò mai al mio spirito per combattere e andare avanti”.
Giovanissime.
Nelle prime linee ci sono donne giovanissime. “Sono Zilan, ho 20 anni, non ho avuto tempo per avere figli nè un marito, da tre anni la mia vita è nella resistenza del Kurdistan occidentale”.
Si vive tra notti insonni, sacrifici e continue mancanze, ma il morale è alto, nonostante le vite frammentate e sempre in lotta.
Queste donne si fanno carico di secoli d’ombra di regimi che si sono succeduti nelle regioni di confine. L’Isis è solo l’ultimo dei nemici in senso cronologico.
Le combattenti curde stanno avanzando e riprendono avamposti che erano nella mani dello Stato Islamico:16 villaggi sono stati liberati a nord, in Siria il 24 febbraio; altri il 23, 25 e 26 marzo, portando il centro della città di Til Hemà®s e tutti i punti strategici della zona sotto il loro controllo: un’area di 2940 chilometri quadrati, che comprende 390 villaggi e centinaia di borghi, è stata ripulita dagli jihadisti e liberata come risultato dell’operazione terminata il 10 aprile.
Mentre il numero delle vittime dell’operazione non può essere ancora verificato, L’ufficio d’informazione del Kurdistan dirama questi numeri: 211 jihadisti sono caduti dall’inizio dell’operazione, inclusi i comandanti sul campo ai quali spetta il nome di “amir”, comandanti, appunto.
L’operazione è stata sostenuta anche dagli attacchi di artiglieria delle forze peshmerga dal confine del Kurdistan del sud e dagli attacchi aerei della coalizione internazionale anti-Is.
La morte e la vita.
“Vivo tra gli scontri, gli spari; ogni giorno, nei nostri occhi, esiste solo la morte e la convinzione che un giorno torni la vita”, racconta la miliziana curda con la voce rotta da un groppo in gola.
Ora l’avanzata dell’esercito curdo si dispiega sul fronte Bdoulih, il nuovo campo di battaglia.
“Ogni volta che liberiamo un’area, un villaggio dai terroristi Dash, troviamo bombe Vega, cinture esplosive e veicoli minati per far saltare gli estremisti. Ho visto dove erano stati decapitati i corpi, corpi bruciati ovunque”.
Per i sikcs curdi si tratta di legittima difesa: così la definiscono. Combattono contro gli estremisti islamici ma anche contro il regime di Assad.
“Per quanto riguarda il numero delle nostre unità sono 100mila. Le donne svolgono un ruolo importante e attivo all’interno delle Popular protection Units: costituiscono il 40% degli effettivi e hanno un ruolo significativo nei campi di battaglia”, ci spiega ancora Zillan.
Che aggiunge: “I terroristi hanno paura della morte per mano di una donna perchè dicono che la scomunica per chi è ucciso per mano femminile è tale da non farti entrare in Paradiso”.
Quello che i curdi invocano oggi è l’intervento delle Nazioni Unite.
Chiedono un contributo per la ricostruzione di Kobane. In quattro mesi di battaglie e di assedi è stata distrutta per il 60 per cento.
Ottenere il supporto logistico e militare della Nato e chiedere il riconoscimento ufficiale dell’Unione europea come entità autogestita sarebbe per i curdi una soluzione buona. Per il momento, almeno.
Un piccolo passo verso una soluzione più ampia della grande crisi del Medio Oriente. Il Kurdistan, del resto, è uno Stato che esiste solo nella realtà . Ma non nella carta geografica. La sua orografia identitaria si snoda lungo il confine di cinque paesi: Siria, Turchia, Iran, Iraq, Armenia.
Una storia secolare. Scandita da continue battaglie. Per resistere ed esistere.
Contro Saddam, contro la Turchia, contro Assad. Adesso anche contro il Califfato nero.
Peter D’Angelo
(da “La Repubblica”)
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