LE MANOVRE DEI CONSERVATORI PER INDEBOLIRE BERGOGLIO IN VISTA DEL PROSSIMO CONCLAVE
IL FRONTE CHE FA RIFERIMENTO ALL’EPISCOPATO USA, SENSIBILE AI QUATTRINI PIU’ CHE AI POVERI
La morte del Papa emerito Benedetto XVI non sembra aver attenuato lo scontro tutto interno alla Chiesa tra le frange conservatrici e il Pontefice in carica, accusato di promuovere una linea eccessivamente progressista: anzi. Dopo le bordate contro Papa Francesco arrivate nei giorni scorsi da parte di Padre Georg Gaenswein, segretario personale di Ratzinger e prefetto della Casa pontificia, si intensificano le voci di operazioni in corso, più o meno dietro, le quinte, degli avversari del Papa argentino, per accelerare la fine del suo magistero o quanto meno per impedire che quest’ultimo possa condizionare il prossimo Conclave.
Secondo il Corriere della Sera la prossima bomba pronta ad esplodere sarebbe contenuta in un libro-intervista dell’ex custode della dottrina cattolica, il cardinale Gerhard Muller, con la vaticanista Franca Giansoldati, intitolato In buona fede.
Un testo che conterrebbe profonde critiche al papato di Bergoglio. Mentre La Stampa, citando un navigato cardinale italiano, parla addirittura di un piano segreto articolato su più assi e fasi per costringere il Pontefice alle dimissioni.
Le cause del malcontento
Ad alimentare lo scontento di una porzione dell’episcopato mondiale, non ci sarebbe solo l’interpretazione minimalista, pauperista ed ecologista delle scritture. E nemmeno l’atteggiamento nei confronti di immigrazione, Islam e sessualità. Ma anche, come ricostruisce il Corriere, una lista di manovre precise. A cominciare dalla presunta deriva «protestante» verso cui Papa Francesco avrebbe indirizzato la Chiesa, a cui si aggiungerebbe un pregiudizio sudamericano contro i «gringos» e la scelta esclusiva per il Conclave di Cardinali fedeli alla sua linea («Bergoglio sta piantando le sue bandierine a ogni nomina cardinalizia», è l’accusa citata dalla testata).
Sul piano internazionale, il dito è puntato contro la supposta stipulazione di un «patto col diavolo», ossia di un accordo segreto con la Cina di Xi Jinping. Stante il ruolo cruciale dell’episcopato americano nella “guerra interna” mossa dai conservatori, le rimostranze sulla politica estera investono anche l’accoglienza «morbida» riservata al presidente Statunitense Joe Biden, inviso all’episcopato del suo Paese per le posizioni progressiste riguardo l’aborto.
Al suddetto elenco non può mancare nemmeno l’irritazione per il «no» alla messa in latino: un rifiuto che, secondo quanto raccontato da Gänswein, «spezzò il cuore» di Joseph Ratzinger.
Le nomine e le elezioni
Nel suo pontificato, fino all’agosto del 2022, Bergoglio ha nominato 113 cardinali, di cui 83 elettori, su un totale di 132 elettori. Il sospetto è che i cosiddetti «ortodossi» abbiano paura di non riuscire ad ottenere una candidatura unitaria e forte da opporre a quella dei cosiddetti «progressisti».
Per questo starebbero cercando alleanze trasversali anche tra gli stessi “bergogliani”, facendo leva sullo scontento. La scelta di un italiano, secondo quanto trapela dalle alte sfere vaticane, sembra in ogni caso da escludere. A meno che il nome non sia quello di Matteo Zuppi, presidente della Cei (l’assemblea permanente dei vescovi italiani) e arcivescovo di Bologna. Che avrebbe cercato sin dall’inizio di unire le varie componenti dell’episcopato.
Francesco sarebbe invece freddo sul segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, a cui è stato affidato un ruolo più contenuto rispetto ai suoi predecessori, e che, sottolinea La Stampa, esercita un ascendente relativamente ridotto sul Papa regnante.
Sono comunque significative le accuse del fronte conservatore, che aveva additato la cosiddetta «mafia di San Gallo» (un gruppo di cardinali progressisti) come regista dell’elezione di Bergoglio nel 2013. E che adesso punta il dito contro «la lobby di Trastevere», alludendo alla Comunità di Sant’Egidio che ha sede nel quartiere romano, e da cui proviene Zuppi.
Il fronte americano
In questo scontro intenso ma sotterraneo, un ruolo dirimente lo giocano anche i cardinali oltre l’Atlantico, deboli in termini numerici ma detentori di una determinante potenza finanziaria.
La configurazione negli Stati Uniti ha risentito dell’elezione, lo scorso 15 novembre, di Timothy Broglio a presidente dei vescovi: ex segretario di un granitico conservatore come il cardinale Angelo Sodano. Broglio ha preso le distanze dall’aperto attacco mediatico fatto da Padre Georg contro il Pontefice. Eppure, di ritorno da Roma poche settimane fa, Broglio avrebbe riferito di un’ostilità contro Francesco nutrita da circa il novanta per cento dei vescovi.
Avrebbe inoltre sottolineato ai suoi interlocutori vaticani l’ostilità del Papa argentino nei confronti degli «yankee», raccontando di un incontro a Cracovia nel 2016 in cui Francesco avrebbe commentato in modo aspro gli interventi delle forze armate statunitensi in alcuni Paesi poveri.
Ma il segnale più forte arriva forse da un’intervista a Repubblica, in cui Broglio sfiora la questione delle dimissioni: «Forse la possibilità di un ritiro di Francesco sarebbe più fattibile adesso che non c’è più il Papa emerito». E ancora: «Ho visto anche la difficoltà, il fatto che non celebra: sono tutti elementi di un lavoro pastorale normale che mancano».
(da agenzie)
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