LEGA SPACCATA, L’INCONTRO A LODI DEI BOSSIANI: “SI E’ SPEZZATO IL LEGAME CON IL TERRITORIO”
MALCONTENTO E MILITANTI DIMEZZATI IN LOMBARDIA: DA 9.000 A 5.000
La crisi della Lega vista da Burghét – assemblea tardo-serale del Comitato Nord nel palazzo comunale che è un gioiello medievale, una quarantina di persone, c’è la sindaca a fare gli onori di casa – si riassume così: dei 30 iscritti della vecchia sezione, nel 2022 non hanno rinnovato la tessera in nove, gli altri lo hanno fatto ma ‘con riserva’.
Numeri in linea con il resto della Lombardia: dei 9 mila iscritti del 2021, a fine giugno ne mancavano 4 mila all’appello. “Si è spezzato il legame con il territorio: quando c’era Roberto Maroni alle amministrazioni arrivava sempre una risposta, ora non ti ascolta più nessuno”, si sfoga Giovanna Gargioni, prima cittadina di questo paese di 4 mila anime.
Al congresso provinciale di pochi giorni fa di Lodi è stato confermato il segretario uscente, Claudio Bariselli, tutt’altro che estraneo alle sirene bossiane. Il salvinismo visto da qui, da questo pezzo di militanza che si era innamorata del ‘sindacato del nord’, del ‘padroni a casa nostra’ e di tutto il noto e rimosso armamentario indipendentista, è una storia ormai finita.
L’eurodeputato Angelo Ciocca, 90 mila preferenze nel 2019, fazzoletto verde al petto e montatura degli occhiali dello stesso colore, dice che “di questo passo alle prossime Europee la Lega non prende neanche il 4 per cento, non supera lo sbarramento”.
Catastrofismo? “Fdi ci invidia la territorialità, ma se un militante non viene ascoltato dai vertici del partito è chiaro che poi ti sfancula…”.
In poche settimane la minoranza benedetta da Umberto Bossi ha raccolto 1.300 adesioni dentro il partito in Lombardia. Ha vinto congressi provinciali di peso (da Bergamo a Brescia), ha costituito un nuovo gruppo in Regione con quattro consiglieri regionali che sono stati subito espulsi da Matteo Salvini, macina iniziative nei posti sperduti, inghiottiti dalla nebbia padana, “lo si fa quando ti guida un sogno”, assicura sempre Ciocca.
L’altro organizzatore del Comitato è Paolo Grimoldi, uno di fatto estromesso dal Parlamento perché non abbastanza esecutore dei voleri del capo (se l’era vista brutta anche Bossi, rientrato alla Camera solo dopo il riconteggio dei voti, “al suo posto stava entrando un siciliano, capite bene…”, scuote la testa Ciocca), parla al telefono perché influenzato, ricorda che lui in passato si è preso degli avvisi di garanzia, “non perché rubavo o altro ma perché attaccavo i manifesti per l’indipendenza del Nord”.
L’incontro è pubblico, certo, ma c’è tutta l’aria carbonara di chi deve decidere cosa fare: restare dentro la Lega o strappare una volta per tutte? “Avete presente i violinisti del Titanic? Dicono che va tutto bene, la barca affonda, nel prossimo Consiglio regionale la Lega passerà da 31 eletti a 8-9”, avverte Ciocca. La strategia è semplice, perlomeno come prima opzione: creare una lista nordista a sostegno di Attilio Fontana, portare in Regione qualche eletto padano senza sbandamenti nazionalisti. Tutti sanno che difficilmente Salvini permetterà qualcosa del genere, e allora?
“Abbiamo gli stessi voti di dieci anni fa, solo che prima erano radicati qui e ora sono diluiti: 3 milioni di elettori ma con idee diverse a seconda della latitudine”, si lamenta un partecipante, prendendo la parola. Per lui il colpevole è uno: Salvini. “Ha cambiato i connotati al partito senza passare da un congresso”. Altra mano alzata, altro militante: “Ma noi siamo già fuori?”, si domanda. Difficile capirlo, Bossi e co. si muovono sul filo del rasoio, minoranza e allo stesso tempo neonata associazione aperta a tutti, espulsi compresi.
Solo che per tracciare le prossime mosse serve un po’ di riservatezza, in sala c’è un solo giornalista e Ciocca sorride: “Non mandiamo via nessuno, però per correttezza sappiate che la stampa è qui”.
Le carte comunque si scopriranno presto: oggi in tarda mattinata al Pirellone si preannunciano altre novità in casa Comitato Nord. Chissà se Salvini l’ha capito, ma questa pianura a lui così congeniale (“ah la nebbia, che meraviglia quando torno”, spiegava sabato a Milano) rischia di trasformarsi in una via crucis.
(da La Repubblica)
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