L’EMENDAMENTO “PORCATA” DEL PD CHE SALVA L’ILVA
L’AZIENDA POTRA’ ATTUARE L’80% DELLE PRESCRIZIONI SCEGLIENDO QUELLE MENO RILEVANTI…. I CREDITI VENGONO TUTTI CONGELATI, L’INDOTTO IN GINOCCHIO NON VEDRA’ UN EURO
È stata la giovane senatrice marchigiana Camilla Fabbri, renziana di ferro con più di un pensiero alla candidatura per la presidenza della regione alle elezioni di primavera, a risolvere al governo lo spinoso problema.
È lei infatti la prima firmataria dell’emendamento al decreto sull’Ilva che chiarisce l’incerto articolo 2, formulato da estensori poco avvezzi alla scrittura di leggi.
E adesso, dopo che la commissione Industria del Senato ha approvato l’emendamento Fabbri, i senatori M5S notano che “il governo ha ottenuto l’avallo all’ennesima porcata”.
Il testo originario del decreto diceva che il piano di prescrizioni ambientali per la grande acciaieria inquinante di Taranto “si intende attuato se entro il 31 luglio 2015 sono realizzate, almeno nella misura dell’80 per cento, le prescrizioni in scadenza a quella data”.
Non si capiva l’80 per cento di che cosa, visto che le prescrizioni dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) sono oltre 400, ma solo alcune delle quali decisive, complesse e costose.
L’emendamento Fabbri aggiunge la parola “numero”, così è chiaro che si intende l’80 per cento di prescrizioni delle quali una vale l’altra.
L’Ilva potrà attuare l’80 per cento delle prescrizioni scegliendo quelle meno rilevanti e lasciando indietro quelle più importanti e costose.
“Apporre un cartello di pericolo diventa equivalente a coprire i parchi dei minerali”, dicono i senatori grillini.
Per farsi un’idea basterà sapere che coprire i parchi minerali (quelli da cui si diffondono le polveri cancerogene che stanno martoriando Taranto) costerebbe almeno un miliardo di euro.
In pratica, con l’emendamento approvato due sere fa, l’attuazione delle prescrizioni ambientali dell’Aia diventa per l’Ilva sostanzialmente facoltativa, e questo indica con precisione in che modo il governo vuole perseguire la compatibilità tra siderurgia e ambiente, lavoro e salute.
L’altro nodo delicato del decreto Ilva è quello delle fattura non pagate alle imprese dell’indotto .
Si tratta, solo per l’area tarantina, di circa 150 milioni di euro che stanno mettendo in ginocchio decine di imprese e in pericolo 4-5 mila posti di lavoro.
Con la partenza dell’amministrazione straordinaria, scattata lo scorso 21 gennaio, i crediti vengono tutti congelati nella cosiddetta procedura concorsuale, cioè nello stato d’insolvenza gestito sotto la supervisione del Tribunale di Milano.
In questo modo i crediti delle aziende dell’indotto saranno forse pagati tra qualche anno.
Questa è la regola fissata dalla legge Marzano a cui si è fatto ricorso, e adesso si cerca un modo per concedere alle imprese dell’indotto una sorta di deroga che eviti il loro quasi automatico fallimento.
Tra i più arrabbiati ci sono gli autotrasportatori di Taranto, che vantano crediti per 15 milioni di euro e sono decisivi per la vita dell’Ilva visto che con i loro camion consegnano circa un terzo della produzione ai clienti dell’azienda.
Indietro di sei mesi con i pagamenti e con la prospettiva di non essere pagati per anni, gli autotrasportatori sbarcano oggi a Roma per una rumorosa protesta a piedi davanti a palazzo Chigi, visto il prevedibile divieto di presentarsi nella capitale al volante dei loro Tir.
La speranza degli autotrasportatori di Taranto è di essere ricevuti da Matteo Renzi.
Vedremo.
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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