LETIZIA MORATTI, LA LADY DI FERRO CON LA MENTALITA’ DA FABBRICHETTA CHE RISCHIA DI FAR RIMPIANGERE GALLERA
PRIMA LA STORIA DEL VACCINO CON IL PIL, ORA LA ZONA ROSSA PER ERRORE CHE NON VUOLE AMMETTERE
Dov’è finita donna Letizia? L’avevano chiamata per ristabilire un minimo di ordine nella sua amata Lombardia funestata dal Covid, e non sembrava neanche troppo difficile dopo il disastro del tandem Fontana-Gallera, eppure per ora sembra non azzeccarne una.
“Prima la storia dei vaccini col pil, poi la ‘settimana rossa’ per errore: è stato un uno-due da ko”, ci dice Luigi Crespi, che la Moratti la conosce bene, avendoci lavorato dai tempi di viale Mazzini, per seguirla a viale Trastevere e anche a San Patrignano, nel passaggio di testimone da Muccioli padre a Muccioli figlio. “Mi ritengo un morattiano, anzi un morattista convinto”.
Ebbene, ci ripetiamo, che sta succedendo alla dottoressa Moratti, prima presidente donna nella storia della Rai, prima e unica sindaca di Milano, già ministra tostissima dell’Istruzione e manager di un certo successo? Ha perso il suo tocco magico? Il “soave pugno di ferro”, come lo chiamava il suo caro amico Indro Montanelli?
Perchè più che “Margaret” – Berlusconi la definiva così, e non era mica poco, ma lei non gradiva – più che la Thatcher, oggi la “dottoressa” Letizia sembra rappresentare alla perfezione la classica “sciùra”, una signora della Milano bene alle prese con improvvide scocciature, noie quotidiane da scrollarsi di dosso: un po’ l’eterna seccata Mariangela Melato che sfancula con classe i Giancarlo Giannini di tutto il globo.
Oh intendiamoci, nulla di offensivo. Anzi, l’appellativo è di riguardo: per dire, sciùra di successo è la Miuccia (Prada) che in azienda chiamano “signora”, o ne è stata icona la grandissima Franca (Valeri). Insomma, un mix di rigore, acume, indipendenza, risotti, foulard e decisionismo elegante (pare esista anche un “biondo alla milanese”). Una Thatcher allo zafferano.
Prendiamo la frase sui vaccini. “I want my money back!”, disse quella nel ’79, appena arrivata a Downing Street, a un’Europa da cui già prefigurava una Brexit.
“Vanno distribuiti in base al Pil”, ha detto la neo assessora al welfare, parole un po’ dal sen sfuggite un po’ no. Rivelatorie di una certa mentalità da fabbrichetta, del lavoro prima di tutto, del “ghe pensi mi”, tutte cose affondate da diverse ondate di pandemia.
C’è la famosa battuta che descrive il tutto. “Una che deve andare a comprare un mazzo di fiori per il compleanno di un’amica, che scende dal fioraio, e si presenta con 500 euro”.
Insomma c’è tutta una questione di sovrapprezzo, forse frutto di un errore di valutazione politica – “è ora la persona giusta al posto giusto?” – che la sciùra Moratti deve pagare. Specialmente nell’era del risentimento totale dei social, dove è un attimo che finisci in parrucca e crinoline da Maria Antonietta, a dispensare vaccini ai poveri come fossero brioches.
Perchè essere brutali ha un costo, ma bisogna poterselo permettere. Un conto è essere la “figlia di un droghiere” un altro è essere rampolla di una famiglia della alta borghesia meneghina. Una che nasce Letizia Maria Brichetto Arnaboldi, che nel salotto di nonna Mimmina, piazza San Babila, frequentato in passato da Benedetto Croce, vedeva conversare amabilmente Riccardo Bacchelli, Eugenio Montale, Guido Piovene e appunto Montanelli.
Una dall’educazione dura e percorso serrato, come si conviene.Collegio delle Fanciulle, il sogno della danza classica alla Carla Strauss, laurea a 21 anni in scienze politiche: “Era un venerdì”. Il lunedì è già assistente all’università . Dove i suoi non erano nemmeno tanto convinti che lei dovesse andare. Ecco, la famiglia di peso a cui rendere conto, specialmente se tuo padreè un rigoroso broker che ha fatto la Resistenza, “partigiano bianco”, aristocratico, deportato nel lager di Dachau, liberato dalle truppe del generale Patton. Tipo tosto, come minimo.
“Mio padre era severissimo. L’ultimo ceffone me lo diede che avevo ventun anni. Era la notte di Italia-Germania 4 a 3. Il centro era bloccato dai festeggiamenti, così io mi fermai fino a tardi a casa dei miei futuri suoceri. Davo per scontato che mio padre condividesse quell’euforia. Invece si preoccupò e reagì male”.
Poi c’è anche una giovinezza all’altezza delle aspettative. Racconta in “Io, Letizia”, biografia autorizzata del 2011, di una ragazza che a Saint-Tropez, vestita da hippy, faceva l’alba ballando con Alain Deloin, Brigitte Bardot e il playboy Gigi Rizzi. Una quindicina di fidanzati prima di incontrare l’amore della sua vita, Gian Marco Moratti, figlio di Angelo, petroliere, presidente dell’Inter.
“A un cocktail da amici. Io avevo 18 anni. Lui era un industriale già affermato”. Parlano per tutta le sera di filosofia, confessa anni dopo. Comunque si sposano, nel ’73, quando il divorzio non c’era ancora e lui aveva due figli dalla prima moglie, la giornalista Lina Sotis, matrimonio annullato dalla Sacra Rota. Negli stessi tempi Letizia apre con un prestito una società di brokeraggio, sulle orme del padre. “Di tutte le amiche, ero l’unica che lavorava”.
Le chiederà Candida Morvillo, anni dopo: “Non ne aveva bisogno. Perchè ci teneva?”. Risposta: “Mi piaceva, ma la leva era l’indipendenza”. Di qui la separazione dei beni col ricco coniuge, “era il mio modo per dirgli ogni giorno che lo sceglievo perchè era lui”.
Indipendente, sicura di sè, continua a prendere decisioni in prima persona, a cambiare lo smalto ogni settimana (dal nero all’arancione), e nel frattempo fa due incontri decisivi.
Il primo con Vincenzo Muccioli e la sua ‘SanPa’, tornata sulla bocca di tutti per la serie Netflix di questo inizio anno, che i Moratti non abbandoneranno mai al suo destino, anche molto controverso. “Siamo arrivati nel settembre del 1979. — racconta a Elisabetta Soglio, sul Corriere – C’erano una quindicina di ragazzi ospitati e quella è diventata la nostra seconda casa: vivevamo in una roulotte con Gian Marco e i miei figli e per 40 anni tutti i nostri weekend, ogni Natale, Pasqua e ogni vacanza estiva noi siamo stati lì, con i ragazzi”.
Il secondo incontro è con la politica, quindi, poichè siamo negli anni Novanta a Milano, con Silvio Berlusconi. Che la vuole alla presidenza della Rai negli anni sacrèes della discesa in campo. Un biennio di fuoco e fiamme a viale Mazzini, la battaglia che le è rimasta più dentro, come confessa a Stella Pende nel 2013. “Perchè la Rai è tutto: servizio pubblico, cultura, immensa qualità umana e professionale”.
Poi arriva il ribaltone e durante la traversata nel deserto del Cav, si parla di lei come traghettatrice di Forza Italia. Insomma, la Letizia Moratti politica funziona.La sua ascesa sembra ineluttabile. Nel 2001, poco prima di diventare il ministro della riforma scolastica che farà incazzare tutto il mondo scolastico, dichiara ad Alain Elkann: “Non cerco incarichi pubblici nè visibilità . Succede perchè a un certo punto diventa inevitabile, però ho detto molti più no che sì nella mia vita.”
Il primo sponsor della “dottoressa” è suo marito Gian Marco che per lanciarla a Palazzo Marino nel 2006 si espone: “Ho trascorso con lei 36 anni felici e spero possa diventare sindaco di Milano perchè potrà fare del bene a tante persone perchè è una grande lavoratrice”. E ancora: “Mia moglie è così grande che non può sprecarsi a fare soldi privatamente, deve fare qualcosa per la comunità ”.
In effetti il profilo da “civil servant” le si addice e proprio con una “lista Moratti” – e diversi milioni di budget elettorale in più dell’allora competitor, l’ex Bruno Ferrante —nel 2006 conquista Milano alla prima botta. E alla sua città , oltre all’Ecopass, alla crescita economica, a polemiche per sgomberi di campi rom,un parco Bettino Craxi (non realizzato) e un’inchiesta per “incarichi d’oro”, regala l’Expo 2015, il volano del miracolo della città nuova, verticale e vincente pre pandemia.
“Mica una roba da poco, — commenta Luigi Crespi — ma l’esito di un percorso di anni, che va da Craxi a Prodi, immaginato, voluto e conquistato. Lì si che ha avuto il modo di farsi valere come ottima manager e di rappresentare Milano nel mondo con grande efficacia”.
È proprio presentando l’Expo a Tel Aviv che il quotidiano israeliano Haaretz rimane talmente affascinato da indicarla come la leader della destra italiana dopo Berlusconi, addirittura la “nuova Angela Merkel” italiana.
Ma è solo un’altra etichetta da lei rifiutata con un mix di acume politico e noncuranza: “Non so nemmeno se l’Italia sia pronta ad avere una Angela Merkel”. In effetti, e peccato per lei, non sappiamo quanto per il Paese, gli anni successivi confermano il suo pessimismo.
Nonostante la sua buona volontà , complice una tragica campagna elettorale tesa a demonizzare il mite Pisapia, forse anche per l’adesione troppo esplicita a un Popolo della libertà divorato dal Cav in declino, – siamo nell’anno orribile del 2011- il bis a Palazzo Marino non le riesce.
Da brava analista di bilanci, Letizia Moratti traccia il suo e decide di abbandonare Pdl, consiglio comunale e la politica attiva. Seguiranno dieci anni dedicati alla sua SanPa, alla E4Impact Foundation, per formare giovani imprenditori in Africa, la scomparsa dell’amato Gian Marco, e la presidenzadella Ubi Banca, che lascerà la scorsa estate.
Qualche mese prima di ridiscendere in campo, direttamente nel ginepraio della Lombardia colpita al cuore dal Covid. Non sono in pochi a domandarsi, perchè, a 71 anni, buttarsi a capofitto in un’impresa del genere. Alessandro Sallusti sul Giornale scrive che “non aveva certo bisogno nè per vivere nè per esistere di impelagarsi nella più rognosa delle avventure oggi possibile”.
Insomma, perchè? Proviamo a farci illuminare dal “morattista” Luigi Crespi: “Se il problema è recuperare la relazione sentimentale con i lombardi, la situazione è disperante. Siamo di fronte a una rottura emotiva e fiduciaria che non si recupera più per quello che è successo in questi mesi”. O perlomeno, per provarci davvero, “bisognerebbe trovare un codice diverso che prescinda dalla sola comunicazione della capacità amministrativa, del buon governo. Per dire, proprio stamattina in un centro commerciale ho visto dei negozianti che piangevano. Che già non ce la facevano più. E se ora rimane il dubbio che la settimana di lockdown sbagliata sia stata per un errore della Regione, non glielo perdoneranno mai”.
Siamo alla domanda di partenza, all’opportunità di Salvini, stavolta più che di Berlusconi, di spendere una figura come la sua. “Letizia Moratti era la persona giusta per rendere efficiente il sistema. È testarda e competente, ma l’empatia è un’altra cosa. La sensazione è che si sia chiesto a dei giocatori di hockey, pur bravi, di giocare a calcio”.
Eppoi, “ha bisogno di tempo. Temo non ci sia”. Ecco, a proposito di tempi, chiediamo se è sensato parlare di una sua candidatura alla Regione, tra due anni. “Due anni? Ma perchè così tanto?”.
(da “Huffingotonpost”)
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