L’ITALIA E’ IL PAESE DEGLI INFLUENCER: OGNI 100 PERSONE CHE VIVONO IN ITALIA, IL 2.22% FA QUESTO MESTIERE O QUANTOMENO CI PROVA
NEL 2023, L’UPA, CHE RACCOGLIE GLI INSERZIONISTI PUBBLICITARI PIÙ RILEVANTI, HA STABILITO CHE LA SPESA SOCIAL NEL NOSTRO PAESE VALE 323 MILIONI
Fosse un programma della Rai, lo chiameremmo L’eredità . Se la Ferragni capitolerà per aver tradito il tratto di spontaneità proprio del pianeta influencer, una porzione del suo fatturato milionario passerà di mano. Alcune aziende la abbandoneranno. E nuovi influencer – oggi acerbi – si infileranno nel vuoto di magnetismo che la sua caduta può creare.
In questo scenario incerto, la pubblicità via social (l’influencer marketing) conosce il primo terremoto della sua giovane storia. I due anni di pandemia, con milioni di persone costrette in casa dal coprifuoco sanitario, hanno spinto il commercio elettronico e, di conseguenza, anche le fortune degli influencer. Nel 2021, una ricerca De-Rev Lab ha stimato in 280 milioni i soldi che le imprese girano alle celebrità dei social – ma anche alle figure emergenti – perché promuovano i loro prodotti: più 15% rispetto all’anno prima.
Nel 2023, l’Upa – che raccoglie gli inserzionisti pubblicitari più rilevanti – ha fissato la spesa social in 323 milioni in Italia: più 10%. Ora la crescita a due cifre deve misurarsi con una doppia insidiosa incognita: la crisi Ferragni e la perdita di credibilità complessiva di questa forma di pubblicità.
Se le imprese della moda – da Dior a Calzedonia – hanno speso tanto nelle campagne via social, soprattutto su Instagram, è perché hanno trovato in Ferragni un’ambasciatrice popolare. Prendiamo le più rilevanti campagne per due tipi di prodotto (moda e cura della persona). Tra gennaio e settembre 2023, nessun influencer ha funzionato quanto lei su quella piattaforma.
Sono bastati 5 post della Ferragni (5, quasi niente) con il brand “Passione unghie” per scatenare oltre 2 milioni 444 mila di interazioni dei suoi “seguaci”: un like al suo post, una condivisione, un viaggio verso il sito della marca per comprare.
Analizziamo più da vicino 7 campagne: Atelier Emé per i suoi abiti da sposa, Dior, Calzedonia, Louis Vuitton, Gucci, Intimissimi e Ghd (piastre per i capelli). Questi brand hanno messo in campo 88 influencer per spingere i loro prodotti: un esercito.
Eppure nessuno ha garantito più interazioni di Ferragni. Per ogni euro che investe in pubblicità social, oggi un’impresa ottiene un ritorno medio di 1,21 euro. In che misura il Roi, il ritorno economico dell’investimento pubblicitario, si confermerà nell’era post-Ferragni e della perdita dell’innocenza per l’influencer marketing?
In uno scenario di luci e ombre, un’altra parola chiave si fa largo così in questo mondo: certificazione. È urgente che la popolarità di un influencer sia validata con una metodologia credibile e da un soggetto indipendente. Un problema nel problema è che le piattaforme social – da Facebook a TikTok – talvolta hanno numeri gonfiati. Permettono ancora che una persona o un’impresa compri falsi follower, robot capaci anche di produrre falsi commenti e like per puntellare la popolarità di un personaggio. Se ne è accorta la nostra Autorità Antitrust che, a novembre 2023, ha contestato a Meta (Facebook, Instagram) una vigilanza ancora blanda sul fenomeno.
La buona notizia per l’Italia è che il pianeta infuencer vanta un serbatoio di nuove leve importante. Abbiamo il maggior numero di influencer e creativi via social dei Paesi comunitari rispetto alla popolazione residente. Ogni 100 persone che vivono in Italia, il 2.22% fa questo mestiere o quantomeno ci prova, avendo più di 18 anni e almeno 1000 seguaci.
(da la Repubblica)
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