L’ORO DI MOSCA NELLA CASSE DELLA LEGA: DOVE SONO I MEDIA? SALVINI FA COSI’ PAURA?
I PENOSI TENTATIVI DI MINIMIZZARE UN FATTO CHE, SE CONFERMATO, VUOL DIRE ESSERE AGENTI DI INFLUENZA DI UNA POTENZA STRANIERA NON ALLEATA
Quando si è garantisti si deve esserlo anche nei confronti dei nostri peggiori nemici. Il fatto che siano pochi a rispettare questo principio, soprattutto in politica, non ci autorizza a comportarci come gli altri.
Per quanto mi riguarda, pur provando avversione e disistima per Matteo Salvini, non intendo approfittare del Russia Connection, fino a quando non si pronuncerà la magistratura competente sulla storia dell’oro di Mosca nelle casse della Lega.
Rivendico, però, il diritto di segnalare — è solo una mia impressione? — l’atteggiamento dei media che, in prevalenza, tendono a ridimensionare la vicenda e a ritenerla improbabile. Il fatto è che la notizia non può più essere nascosta dopo che è uscita con tanto clamore, da una fonte estera e con il supporto di una registrazione.
Ma non era la prima volta che si parlava di questo affaire.
A parte un’inchiesta dell’Espresso, a cui gli altri mezzi di informazione hanno girato al largo, è stato scritto e pubblicato addirittura, nel maggio scorso, un libro di Claudio Gatti per Chiarelettere dal titolo ”I Demoni di Salvini. I postnazisti e la Lega”.
C’è tutta una parte del saggio dedicata all’attività di Gianluca Savoini (insieme a Claudio D’Amico) fondatore e presidente dell’Associazione Lombardia Russia; in quelle pagine viene documentato un intenso rapporto di collaborazione e di amicizia tra alcune eminenze grigie del Carroccio e nuovi boiardi russi.
A un certo punto Gatti, conversando con Savoini gli chiede conto di una notizia pubblicata nel ”Libro nero della Lega” di Giovanni Tizian e Stefano Vergine secondo la quale Savoini stesso sarebbe stato sorpreso in una sala dell’Hotel Metropole a Mosca mentre partecipava a un negoziato di compravendita di tre milioni di tonnellate di gasolio con interlocutori russi non meglio identificati.
Secondo la ricostruzione di Tizian e Vergine — ricorda Gatti — in quell’occasione si sarebbe discusso di uno sconto particolare che avrebbe permesso di generare fondi per finanziare attività elettorali della Lega. Come si può vedere si tratta, più o meno, di quanto emerso nella registrazione.
Savoini, nel saggio, smentisce: ”Non esiste questa roba legata alla Lega — riferisce Gatti — non c’è niente. E io non ho ricevuto un rublo” (come ha confermato Salvini ai cronisti all’uscita da Palazzo Chigi dopo l’ennesimo vertice).
Alle ulteriori domande sulla questione dei prodotti petroliferi il presidente dell’Associazione Lombardia Russia conferma la sua versione dei fatti, finchè sbotta in un ”di queste cose non voglio parlare più”.
Gatti non si arrende e scova un certo Bruno Giancotti che, scrive l’autore, conferma ”la partecipazione di Savoini a svariate trattative, intese a generare commissioni o contributi per lui o per la sua Associazione”.
Nel saggio, attraverso i colloqui con questo Giancotti, emerge una rete di rapporti economici di società italiane con sedi in altri Paesi e imprese russe che meriterebbe un’indagine più approfondita, almeno sul piano della trasparenza e del ruolo di un sottobosco vicino alla Lega, di cui non è chiaro se faccia affari e se li faccia solo per sè.
Claudio Gatti conclude l’indagine con queste considerazioni:
‘Parliamo solo di affinità culturali o convergenze politiche? Oppure c’è stata anche collusione finanziaria? Quello che conta è che Matteo Salvini e i suoi hanno operato come agenti d’influenza di una potenza straniera non alleata”.
Le parole sono pietre. A me non risulta che Gatti e l’editore siano stati querelati. Comunque, il saggio di Gatti è in libreria da alcuni mesi. L’autore ne ha parlato in una puntata di ”8 e ½”. Poi la cosa è morta lì, fino ai giorni scorsi.
In altri casi — di minore importanza — i talk show si precipitarono sulla notizia come una muta di cani a caccia di una povera volpe. Con Silvio Berlusconi tutto faceva scoop e suscitava l’interesse della giustizia mediatica. Sullo svolgimento di festini a luci rosse sotto le mentite spoglie di cene eleganti, furono impiegati uomini e mezzi senza risparmio.
Ci limitiamo, però, a citare un caso sollevato da una persona seria come Ferruccio de Bortoli, il quale scrisse in un libro:
“L’allora ministra delle Riforme, nel 2015, non ebbe problemi a rivolgersi direttamente all’amministratore delegato di Unicredit. Maria Elena Boschi chiese quindi a Federico Ghizzoni di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria. La domanda era inusuale da parte di un membro del governo all’amministratore delegato di una banca quotata. Ghizzoni, comunque, incaricò un suo collaboratore di fare le opportune valutazioni patrimoniali, poi decise di lasciar perdere”.
In seguito la circostanza riferita dal direttore risultò sostanzialmente confermata. Ma su quella vicenda — ho sempre ritenuto normale che una deputata si interessasse di una crisi aperta nel territorio dove era stata eletta, al di là dei rapporti di parentela — si sono consumate ore e ore di riti mediatici, senza aspettare che uscisse almeno uno straccio di registrazione.
Salvini fa paura? Più di quanto non ne facesse Matteo Renzi, ancora ”folgorante in soglio”?
(da “Huffingtonpost“)
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