MANOVRA, DIECI MILIONI DI LAVORATORI POVERI NON VEDRANNO UN EURO
IL TAGLIO IRPEF PREMIA CHI HA REDDITI TRA 50.000 E 200.000 EURO, GLI ALTRI PROVVEDIMENTI RIGUARDANO UNA PLATEA LIMITATA (E LO DICE IL GOVERNO)
Ci sono almeno 10 milioni di lavoratori italiani ai quali la manovra del governo Meloni non porterà
alcun aumento diretto in busta paga. Si tratta, per giunta, della maggior parte dei redditi medio-bassi del Paese, con guadagni sotto i 28 mila euro l’anno. Per molti altri, i vantaggi saranno di pochi euro al mese. La legge di Bilancio concentra le sue risorse nel taglio Irpef solo per chi ha almeno 28 mila euro di reddito, ma assegna il vantaggio pieno – 440 euro l’anno – solo a chi è sopra i 50 mila.
Prima di scappare dalla conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni aveva sì detto che “ci concentriamo sul
ceto medio”, ma anche aggiunto che si è cercato di intervenire “sul lavoro povero, cioè sui redditi più bassi, stimolando i rinnovi contrattuali per i redditi fino a 28 mila euro”. Messa così, sembra che gli aumenti siano per tutti, ma non è così. Finora abbiamo letto titoli su “chi ci guadagna”, ma non sull’ampia fetta di lavoratori che non vedranno nemmeno un centesimo di aumento e perderanno potere d’acquisto per l’inflazione: come detto, almeno dieci milioni di persone.
Guardiamo i numeri. I lavoratori dipendenti sotto i 28 mila euro di reddito sono tra i 15 e i 16 milioni. Questi sono del tutto esclusi dalla riforma Irpef, che porta al 33% l’aliquota per i redditi tra 28 mila e 50 mila euro. Come di consueto, i tagli Irpef danno vantaggi ai redditi più alti. Chi oggi dichiara circa 30 mila euro l’anno avrà un aumento di appena 3 euro al mese, sopra i 50 mila euro il ritorno in valore assoluto è molto più alto. Torniamo alle persone sotto i 28 mila euro, non coinvolte nel taglio Irpef. Per loro la manovra 2026 ha introdotto misure molto selettive, che ne “premieranno” una piccola parte, come ammesso dallo stesso governo nella relazione tecnica alla manovra.
La tassazione al 5% degli aumenti salariali dovuti al rinnovo dei contratti, come intuibile, si applica solo a quei lavoratori che hanno ottenuto il rinnovo del contratto collettivo nel 2025 o che lo otterranno nel 2026. Per loro l’aumento netto in busta paga sarà un po’ superiore a quello che avrebbero con l’attuale tassazione. A beneficiare dell’agevolazione, dice il governo, saranno solo 3,3 milioni di persone e il guadagno medio sarà di circa 146 euro l’anno. A una parte dei lavoratori coinvolti in aumenti contrattuali, infatti, l’aliquota al 5% non converrà,
perché hanno redditi talmente bassi che la loro Irpef netta è persino inferiore a quella percentuale. Ai ceti più deboli, in genere, le detassazioni portano molto poco in tasca.
L’altra misura per i redditi medio-bassi è l’imposta del 15% sul lavoro notturno o festivo. Un piccolo ritocco del guadagno netto sulle maggiorazioni per le notti o le domeniche. La relazione tecnica parla di 2,3 milioni di lavoratori coinvolti. Visto lo stanziamento, il guadagno medio sarà di 270 euro l’anno per lavoratore. Da questa misura sono esclusi gli addetti del turismo e della ristorazione, poiché per loro, dal 2023, esiste un bonus del 15% sugli straordinari. Per capire quanto poco abbia influito, la relazione tecnica ricorda che finora è costato 8,5 milioni l’anno.
Bisogna poi ricordare una caratteristica di queste misure di detassazione: il rischio è che, nel medio termine, non portino vantaggi ai lavoratori ma alle imprese. Queste, infatti, potranno offrire aumenti contrattuali o maggiorazioni lorde inferiori rispetto a quelle necessarie, poiché una parte dell’aumento netto è comunque garantito dallo Stato grazie agli sgravi fiscali. Infatti lo stesso governo spera che la detassazione degli aumenti salariali serva anche come leva per accelerare i rinnovi, dato che le imprese dovranno fare uno sforzo minore per garantire lo stesso netto in busta paga.
E ora facciamo i conti sui beneficiari di queste piccole misure. Ammesso, e certo non concesso, che i 3,3 milioni di lavoratori coinvolti dalla detassazione degli aumenti e i 2,3 milioni ai quali saranno detassati i festivi non siano platee sovrapposte, avremmo comunque almeno dieci milioni di lavoratori con redditi medio
bassi esclusi dai benefici diretti introdotti dalla manovra.
Ricapitolando: per effetto della legge di Bilancio, i redditi da 30 mila euro prenderanno una quarantina di euro in più all’anno; nelle buste paga dei dipendenti tra i 50 mila e i 200 mila euro, invece, andranno 440 euro annui. Zero aumenti, infine, per la gran parte dei redditi medio-bassi. Il governo ha motivato implicitamente la scelta: i redditi medio-bassi hanno avuto maggiori vantaggi nelle manovre degli anni scorsi, con la decontribuzione poi diventata taglio strutturale del cuneo fiscale. Quindi, per ragioni di marketing politico, serviva dare priorità al ceto medio, in cui l’esecutivo ha ricompreso anche i redditi da 200 mila euro, che difficilmente avranno grande utilità dal taglio Irpef, visto che inciderà assai poco sui loro guadagni. Si è comunque voluto dare un segnale… alla parte più benestante del Paese.
(da ilfattoquotidiano.it)
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