MATTARELLA NELLA BOLGIA DEI PARTITI
SCURO IN VOLTO, AVVERTE: “ENTRO MERCOLEDI IL NOME DEL PREMIER O SCIOLGO LE CAMERE”
La dimensione della crisi è in quelle due ore che il capo dello Stato è costretto a prendersi, a consultazioni finite, per verificare se arrivi un fatto, un segnale, una dichiarazione dai Cinque stelle che attesti la volontà , quantomeno di dialogo col Pd, dopo che Di Maio alla Vetrata quelle due parole, “partito” e “democratico” non le aveva neanche nominate, offrendo il suo programma a tutti, sia pur con qualche punta polemica verso la Lega.
E la dimensione della crisi è certificata non solo dal volto, piuttosto cupo, con cui Sergio Mattarella si presenta alle otto di sera alla Vetrata, ma soprattutto in quella frase che, di fatto, certifica l’esistenza ancora di un doppio forno: “Sono state avviate iniziative per un’intesa. E anche da parte di altre forze politiche è stata espressa la volontà di ulteriori verifiche”.
Ecco, ci sono “iniziative” tra Pd e Cinque stelle e “verifiche”, tra la Lega e i Cinque stelle. Due schemi che ingabbiano il primo giorno di consultazioni, mandandolo a vuoto.
E costringono il capo dello Stato a concedere altri giorni di tempo, di qui a martedì, dopo i quali se le convulsioni non si tradurranno in un’indicazione non solo di uno schema, ma di un nome per palazzo Chigi, sarà inevitabile prendere atto che non c’è alternativa allo scioglimento anticipato delle Camere per tornare, al più presto al voto. Perchè altro, a quel punto, Mattarella non potrebbe fare, qualora anche il prossimo giro dovesse portare a un esito inconcludente.
Altrimenti proprio sul capo dello Stato graverebbe la responsabilità di una crisi di governo che diventa, a tutti gli effetti, una crisi di Sistema, col Quirinale trascinato nel gorgo dei partiti.
Ecco, Mattarella si aspetta che, tra martedì e mercoledì, i partiti si presentino con un “nome” per palazzo Chigi, perchè questo è il punto, in modo da poter conferire un incarico
In quel volto scuro e in questo concedere, suo malgrado, tempo, rispetto alla gestione ipotizzata c’è davvero tutta la difficoltà del momento.
Diciamo le cose come stanno: anche l’avvio del dialogo Pd-Cinque stelle è davvero al minimo sindacale. Non solo Di Maio neanche nomina il Pd, l’innesco è affidato all’assemblea dei gruppi, riunite in quelle due ore in cui il capo dello Stato attende, che annunciano che il mandato è stato conferito.
E viene fatto sapere che, a breve, si incontreranno i capigruppo. Nella tanto criticata Prima Repubblica, la serietà del tentativo sarebbe stata affidata a una nota in cui si annunciava almeno una “telefonata tra i due leader, Di Maio o Zingaretti” o l’annuncio di un prossimo incontro tra i due.
Invece spetterà ai capigruppo intavolare una discussione partita con un gioco di veti e condizioni, in cui, dopo quelle poste da Zingaretti , i Cinque stelle rispondono ponendo al primo punto del confronto quella riduzione del numero dei parlamentari che è un punto che condividono più con la Lega che col Pd.
Nel senso che pongono come pre-condizione quel disegno di legge su cui il Pd ha votato contro. E che Zingaretti può discutere, ma nell’ambito di un ragionamento più complessivo. E chissà se non sia un suggerimento per “sbrogliare” la matassa quel ragionamento che fa qualche frequentatore del Colle. E cioè che quella riforma produce effetti distorsivi con l’attuale legge elettorale, ma semmai venisse introdotto il proporzionale, allora diventerebbe potabile.
Sia come sia è il punto. Quella riforma è il grimaldello trovato dai Cinque stelle per far digerire al loro popolo l’accordo col “partito di Bibbiano”.
Ma, nel caso il Pd dovesse dire di no come già ha fatto in Parlamento chiedendo di resettarla e discutere nell’ambito di una riforma costituzionale più ampia, a quel punto questa rottura diventa il grimaldello per riaprire con la Lega, la cui disponibilità a votarla è conclamata e giustificare il ritorno indietro sempre agli occhi del proprio popolo.
Parliamoci chiaro: che cosa ha fatto Salvini, oggi, se non lanciare un grande segnale a Di Maio, riconoscendogli pubblicamente il ruolo, proprio nel giorno in cui, poche prima, le condizioni recapitate dal Pd suonavano come la richiesta di una “abiura”?
E attenzione, perchè oltre alle pubbliche carezze, ci sono i contatti riservati, da cui si apprende che quell’ipotesi di Di Maio premier a capo di un governo con la Lega è tutt’altro che fantapolitica
Ecco, le ragioni di questo doppio forno — anche se al momento è più aperto quello col Pd che quello con la Lega — stanno tutte nella dinamica “dentro” i partiti più che “tra” i partiti, come ha potuto constatare Mattarella, quando ha accolto Luigi Di Maio, che è apparso scivoloso, prudente, assai poco determinato a costruire un accordo col Pd, a stento nominato col capo dello Stato, innominato dopo.
Perchè è chiaro che questo accordo, fortemente voluto da Grillo, Casaleggio e spinto dai gruppi parlamentari passa sulla sua testa (e favorisce un cambio di equilibri sul Movimento) mentre la sua stessa testa verrebbe incoronata con la proposta di Salvini. E analoga incertezza (chiamiamola così) è arrivata dal Pd, perchè mai si era visto un ex segretario, nel giorno delle consultazioni, indicare per palazzo Chigi il nome su cui il segretario in carica sarebbe andato a porre un veto.
E mai si era visto un tale dibattito scatenato dai renziani sulle “condizioni” votate il giorno prima, all’unanimità , dalla direzione del Pd. Dunque: tempo, per un negoziato su cui manca ancora il canovaccio di base.
La novità è che l’eroe di qualche giorno fa, Giuseppe Conte, non l’ha nominato nessuno al Quirinale. Forse perchè siamo ancora troppo indietro rispetto ai nomi.
(da “Huffingtonpost”)
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