MELONI INDAGATA, COSA NASCONDE L’ECCESSO DI REAZIONE
LA VOLONTA’ DI EVITARE DI RISPONDERE ALLE DOMANDE E IL TENTATIVO DI ADDOSSARE UN ATTO DOVUTO AL SOLITO “GOMBLOTTO” DEI MAGISTRATI
Il video con cui Giorgia Meloni ha rivelato l’indagine a suo carico per favoreggiamento e peculato è senza dubbio un’abile mossa propagandistica. Rientra nel canone inaugurato da Matteo Salvini con il processo per sequestro di persona, ma in fondo l’ispirazione vera è il Berlusconi d’antan, che aveva fatto del vittimismo giudiziario un’arte.
Non si parla più di cosa è successo, ma si attaccano i pubblici ministeri, poi si prova a screditare l’autore dell’esposto, fino a immaginare una grande cospirazione ai danni del governo italiano con al centro la Corte penale internazionale.
Per questo è necessario diradare la nebbia della propaganda e provare a dare un senso a una mossa politica che porta allo zenit lo scontro con la magistratura in un momento delicatissimo.
Meloni avrebbe infatti potuto affidarsi al Tribunale dei ministri per la valutazione di quello che sembra, a tutti gli effetti, un atto dovuto a fronte di un esposto. E serenamente rispettare il proprio ambito istituzionale. Se invece ha deciso di percorrere la strada opposta, quello dello scontro frontale con un altro potere dello Stato, è evidente che alla base c’è qualcos’altro.
L’uscita di ieri (martedì 28 gennaio) non può non essere messa in relazione con quanto avvenuto nei distretti giudiziari di tutta Italia sabato 25 gennaio, con la protesta delle toghe contro il progetto di riforma costituzionale del ministro Nordio.
Un’opposizione che ha unito tutte le varie sensibilità presenti nella magistratura, tutte le sigle, le correnti di destra, di sinistra e di centro. Una mobilitazione come non si vedeva da anni, confermata dalla rilevante affluenza (oltre l’ottanta per cento) alle urne per il rinnovo dell’Associazione nazionale magistrati.
Spiazzata da questo muro, lei che proviene da un partito di tradizione giustizialista e che ha sempre rivendicato di ispirarsi a Falcone e Borsellino, deve aver visto come una benedizione la comunicazione recapitatole dalla Procura di Roma. Quale miglior regalo per “buttarla in politica” e far apparire la notifica come l’ennesimo colpo di una magistratura politicizzata che vuole evitare la separazione delle carriere. Ma le cose stanno davvero così?
E qui veniamo al merito della questione, il rimpatrio di Almasri, che deve tornare in primo piano nonostante lo sforzo del governo sia quello di girare pagina il più velocemente possibile. Cosa chiede infatti l’avvocato Luigi Li Gotti (che non è un amico di Prodi e non è nemmeno di sinistra, anzi ha militato per trent’anni nel Msi-An) nel suo esposto?
Semplicemente quello che si chiedono tutti gli italiani di buon senso da giorni, gli italiani che non si bevono la versione raccontata dal ministro Piantedosi in Parlamento e ripetuta da Meloni.
Ovvero che il capo della milizia libica Rada, il generale Najem Osama Almasri, sia stato rimandato a Tripoli perché minacciava la sicurezza nazionale. La ricostruzione di quanto accaduto presenta tali “buchi” logici che è impossibile non vederci dietro altro.
Ripetiamo qui alcune delle domande rimaste senza risposta. Perché Almasri è stato in tutta fretta riportato in Libia da un aereo dei servizi segreti invece che arrestato di nuovo visto che rappresentava una minaccia?
Perché il ministero della Giustizia è rimasto inerte, costringendo i giudici a scarcerarlo, nonostante per due volte, prima dalla polizia giudiziaria e poi dalla stessa Corte, Nordio era stato coinvolto nel caso?
§Perché la pratica Almasri non è stata trasmessa per tempo a Roma dalla rappresentanza diplomatica che l’aveva ricevuta dalla Cpi?
Un’inerzia collosa, un muro di gomma troppo evidente per non sospettare una precisa volontà politica, motivata dalla ragion di Stato, che siano le forniture di gas dalla Libia o il blocco dei migranti (non a caso, nei giorni di detenzione di Almasri, gli sbarchi dalla Libia sono ripresi). Entrambe motivazioni configurabili, queste sì, come “ricatti” a cui Meloni si è piegata.
Così torniamo al punto. La volontà di evitare di rispondere in maniera precisa a queste domande, insieme al tentativo di contropiede rispetto alla protesta della magistratura, appaiono al momento le uniche ragionevoli spiegazioni al polverone sollevato dalla premier.
(da agenzie)
Leave a Reply