MELONI LIMITA L’ESULTANZA DELLA SUA CORTE DEI MIRACOLI E SI TRAVESTE DA SOBRIA
LA PREOCCUPAZIONE PER IL CALO DELLA LEGA
E arrivò il tempo della vittoria sobria. Giorgia Meloni è palesemente felice per l’Abruzzo ma limita l’esultanza al minimo sindacale di un video brevissimo, meno di un minuto, centrato sull’elogio degli alleati e dell’alleanza. «
Il mio ringraziamento a tutto il centrodestra che è stato premiato per il buongoverno di questi anni. Perché non conta quanto un campo sia largo, conta quanto un campo sia coeso e abbia un’idea chiara per i cittadini». Tutto qui.
Non è il momento di fare gli smargiassi con la Lega ridotta al lumicino e un risultato appeso alla diserzione dalle urne degli elettori grillini: quarantamila voti persi dal campo largo che hanno in gran parte deciso il risultato.
Se la sconfitta sarda è stata liquidata come un incidente di percorso, la vittoria abruzzese per paradosso determina ragionamenti più complessi e forse anche la scelta di una diversa postura in vista delle Europee.
Domande si accavallano: conviene o non conviene l’agonia della Lega, meglio un Salvini debole che appassisce pian piano o il salto nel buio di un’altra “notte delle scope” con cambio di leadership? Non si è ancora deciso. Nel frattempo ogni singola dichiarazione del day after tende a consolare, a smussare, a sopire lo choc leghista valorizzando il risultato della coalizione. «La fiducia nel centrodestra è salda», «Come sempre uniti si vince», «Noi un’alleanza vera, loro un cartello elettorale». Magro conforto per un Carroccio dove i grandi leader del Nord evitano addirittura di commentare il risultato di lista (Luca Zaia: «Evito di parlare di montagne russe». Massimiliano Fedriga: «Auguri e buon lavoro al presidente Marsilio»).
E tuttavia è evidente che il disastroso 7,6 del Capitano suggerisce nuovi scenari. Fino a ieri il timore della concorrenza a destra su immigrati, sovranismo, Donald Trump, relazioni con l’Europa, era un riconoscibile tic di Fratelli d’Italia.
Ha determinato una serie di scelte poco allineate con l’idea di un partito conservatore (non ultima l’alleanza con l’ultras francese Eric Zemmour) oltre che tonalità polemiche sferzanti, sempre in gara con gli eccessi del Capitano, sempre spaventati da una sua remuntada. Ma adesso? Il cattivismo salviniano sembra davvero in declino, anche elettoralmente non rende più: la svolta moderata che gli equilibri europei suggeriscono si fa più praticabile e meno rischiosa.
Il secondo interrogativo riguarda la famosa questione della luna di miele. Continua o no? Nelle dichiarazioni ufficiali è un coro: nessun cambio di vento, la fascinazione c’è ancora. Ma la grande paura della vigilia dimostra che questa è la sicurezza del dopo.
Nel “prima” si temeva davvero un testa a testa o addirittura un sorpasso, tanto che la premier è dovuta intervenire per rettificare decisioni sbagliate (la cancellazione della Roma-Pescara), per scuotere dall’apatia i suoi ministri, per spingerli a scovare tesoretti destinati a ogni provincia in difficoltà. Insomma, per incalzare ufficiali e luogotenenti piuttosto distratti.
Quella corsa finale contro il tempo ha reso chiaro anche ai più superficiali che lo stato nascente del melonismo, per usare le categorie socio-politiche di Francesco Alberoni, deve essere alimentato per trasformarsi in un rapporto duraturo e stabile. Dall’innamoramento all’amore il salto non è scontato. Ha bisogno di sostegni e classi dirigenti solide.
Ecco, la vittoria sobria di Meloni – senza vae victis, faccette, battute urticanti contro gli avversari – è probabilmente segno di ragionamenti che si aggiornano e suggeriscono un diverso tipo di aplomb. La serie delle Regionali 2024 è ancora lunga, ma solo la Basilicata andrà al voto prima delle Europee e ormai è quello l’obbiettivo su cui ogni scelta politica va tarata.
Il ruolo di partito di maggioranza relativa di FdI non è in discussione, ma i traguardi di cui si favoleggiava fino a qualche mese fa – superare il risultato delle Politiche 2022, ripetere gli exploit del primo Matteo Renzi o del primo Salvini ben oltre quota 30 per cento, sembra complicato.
I test locali, Abruzzo compreso, confermano una solida tenuta della coalizione di governo, dove i voti si travasano da un partner all’altro e non scappano mai altrove. E però finora non si è vista la capacità attrattiva verso l’elettorato “esterno”, quelli che non hanno mai votato a destra o hanno smesso di farlo.
Né i conti pubblici permettono operazioni-choc come furono a suo tempo gli 80 euro in busta paga e Quota Cento, misure acchiappa-voti messe in campo proprio nella prospettiva delle Europee.
Mai come adesso Giorgia Meloni può contare solo su se stessa e sulla sua capacità di interpretare una guida rassicurante e di lunga durata. Mai come ora la sua sfida si riflette nello specchio dell’avversaria che si è scelta, Elly Schlein, ragazza pragmatica e poco incline agli effetti speciali che in queste Regionali ha trovato la conferma di una linea e di una leadership.
Magari la vittoria sobria sarà solo una parentesi, ma sarebbe bello uscire dall’età del narcisismo dei troppi leader-pavoni che abbiamo visto alla ribalta per entrare in un’era dove si gareggia in affidabilità, idee, visioni del Paese.
Non succederà, però sperare non è vietato.
(da La Stampa)
Leave a Reply