MINISTRI IN SILENZIO STAMPA: “SI CAPIRA’ CHE DAL CARNEVALE SIAMO PASSATI ALLA QUARESIMA”
I NUOVI COMPONENTI DELL’ESECUTIVO DI MONTI IN FUGA DAI CRONISTI… ABITUATI ALLE FORME DI ESIBIZIONISMO DEI POLITICI PRECEDENTI, CRONISTI IN DIFFICOLTA’
Forse ha ragione Giampiero Cantoni, senatore del Pdl, che il neopremier lo conosce da ’72, quando assicura che «se Monti si taglia un dito il sangue non gli esce. Era così freddo anche da studente».
Eppure fa effetto assistere all’approccio marmoreo dei “professori” con la stampa alla loro prima uscita parlamentare.
Sarà come dice il neo ministro Andrea Riccardi, sorseggiando un caffè alla buvette, che «siamo passati dal Carnevale alla Quaresima », ma il passaggio è troppo brusco per non generare un certo sgomento. Soprattutto tra i giornalisti.
Tranne vecchi volpi come Corrado Passera, uomo di larghe frequentazioni, gli altri sembrano più che intimoriti verso chi si aggira con un taccuino in mano, come se qualcuno – dicono lo stesso Monti alla prima riunione a palazzo Chigi – li avesse già catechizzati sulla distanza da mantenere con la stampa.
E insomma, nel Transatlantico di palazzo Madama, i neo nominati si affacciano come bimbi durante l’inserimento alla materna: un passo avanti e due indietro, un’occhiatina fugace e una rapida fuga dietro il cordone protetto dei commessi.
Dire che alzano un muro è poco. In cima ci aggiungono anche il filo spinato.
Quando un cronista incontra Piero Giarda, l’approccio è da carta vetrata: «Lei è un giornalista, con i giornalisti non parlo».
Il malcapitato replica: «Ma lei è il ministro dei rapporti con i Parlamento, dovrà confrontarsi prima o poi».
Giarda lo fucila: «Per il confronto bisogna essere in due, arrivederci».
Non va meglio l’approccio con Andrea Riccardi, che pure è abituato a trattare con tipacci di mezzo mondo in quella “piccola Onu” che è la Comunità di S. Egidio.
«Le posso dare il mio cellulare?», chiede ingenuamente un giornalista. Il ministro alla Cooperazione si allontana sorridendo: «Guardi, in questo momento non abbiamo problemi con la stampa».
Altro corridoio altra sfinge. Stavolta non è un ministro, si tratta del giovane Federico Toniato, il dirigente del Senato che in questi giornio è stato l’uomo ombra del premier.
Anche di fronte alla domanda più innocua – «allora, quand’è che Monti farà il primo tour in Europa?» –, Toniato osserva alla lettera la consegna del silenzio.
Non solo non risponde ma guarda nel vuoto.
Ne è perfettamente consapevole, tanto che ci tiene a dare spiegazioni accennando un sorriso: «Mi scusi l’inespressività del volto, ma non posso rispondere nemmeno muovendo un muscolo». Qua siamo oltre il “no comment”, al povero Toniato qualcuno deve averlo traumatizzato. Persino Renato Balduzzi, che certo non è di primo pelo, si tiene alla larga.
Il senatore Pd Stefano Ceccanti lo porta un po’ in giro per il Senato, gli presenta qualcuno, ma ogni volta che gli si para dinanzi un giornalista, il ministro della Salute innesca il disco: «Ci sarà modo, ci sarà modo. Arrivederci».
Così, mentre tra i giornalisti della stampa parlamentare si apre una caccia al cellulare dei ministri, con scambi delle figurine («per Passera ti do Clini e aggiungo Severino»), Maurizio Gasparri ricorda che l’approccio algido parte dal Capo in persona: «Quando ero ministro delle Comunicazioni e avevamo un problema con Monti dovevamo chiamare Prodi per parlarci. Dicevamo: Romano, tu che sei il presidente della Commissione, potresti dire a Monti che…Ecco, è fatto così. Nemmeno a noi rispondeva al telefono».
Così, con i ministri in contumacia, la giornata a palazzo Madama offre pochi altri spunti da annotare.
C’è la malinconica figura di Gianni Letta, che assiste da solo al dibattito dal loggione degli ospiti. C’è la famiglia Monti al completo: i due figli e la moglie Elsa, vestita di rosso, tutti serissimi e immobili.
C’è Calderoli che fa il pollice verso al Professore. La Santanchè che dice di aver preso il «biochetasi» alla vista della sinistra «che si genuflette ai banchieri».
Ma la vera polaroid della giornata è l’abbraccio (con bacio) tra Anna Finocchiaro e Quagliariello.
Il sipario cala sulla Seconda Repubblica.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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