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“MONTANELLI SI E’ INVENTATO DI AVER SPOSATO LA 12ENNE IN ERITREA”

DIVERSI TESTIMONI SMENTISCONO LA STORIA PIENA DI CONTRADDIZIONI, DESTA’ NON E’ MAI ESISTITA, ANCHE LA FOTO E’ FASULLA

“Ma quale matrimonio africano! Ma quale Destà ! Volete sapere come sono andate le cose? Montanelli tutta quella storia se l’è semplicemente inventata”.
Il nostro uomo si chiama Roberto Malpeli, è un italo-eritreo di 67 anni, vive a Parma ed è forse l’unica persona, in Italia, che sulla dibattutissima vicenda della sposa-bambina di Indro Montanelli è in grado di dire qualcosa di finalmente concreto.
Non in virtù di particolari studi storici, ma per una semplice coincidenza biografica: le vicissitudini della piccola Destà  — così come narrate dal giornalista toscano — si intreccerebbero in modo fin troppo stretto con quelle della sua famiglia.
Signor Malpeli, partiamo dal racconto di Montanelli. Nel 1935, quando era un giovane sottotenente dell’esercito italiano, egli sarebbe approdato nel villaggio eritreo di Segeneiti, a 65 chilometri da Asmara, dove avrebbe preso in sposa una ragazzina di dodici anni di nome Destà …
“Ecco, per prima cosa dobbiamo tener conto che Segeneiti, nel 1935, era un paesotto di non più di duemila abitanti, dove tutti conoscevano tutti. Esisteva una famiglia Destà , è vero, e guarda caso era la famiglia di mio nonno, che peraltro era anche il sacerdote cristiano della comunità , una delle figure di spicco a Segeneiti. Mia madre, Lettemicael Destà , è nata il 20 marzo del 1923. Se la Destà  di cui parla Montanelli fosse veramente esistita, sarebbe stata precisamente sua coetanea…”.
Aspetti. Ma Destà , in Eritrea, è un nome proprio o un cognome?
“Può essere entrambe le cose. In Eritrea non esistono i cognomi come li intendiamo noi. I figli, accanto al proprio nome di battesimo, assumono quello del padre, una sorta di ‘patronimico’. Mio nonno di nome faceva Destà , e dunque la famiglia Destà  di Segeneiti, negli anni Trenta, era composta da mia madre e dai suoi undici fratelli. Non vi erano altre famiglie con lo stesso nome”.
Ma Destà  può essere anche un nome femminile?
“Sì, è un nome ambivalente. È usato prevalentemente in accezione maschile, ma può valere anche per le donne. In realtà  è piuttosto raro in quella zona dell’Eritrea”.
A Segeneiti, quindi, poteva comunque esserci anche un’altra Destà , oltre a sua madre e alle sue zie…
“Guardi, mia madre si è sposata con mio padre dopo la guerra, è venuta in Italia nel 1970 ed è morta pochi anni fa. Ogni volta che Montanelli, in tv, raccontava quella storia, lei dava in escandescenza. Perchè diceva che era falsa, semplicemente falsa. Quella Destà  non è mai esistita, non a Segeneiti, perlomeno. Sarebbe stata una sua compagna di giochi, avrebbe dovuto conoscerla per forza. Ripeto: parliamo di un villaggio di poche famiglie, e mio nonno era il punto di riferimento religioso della comunità . Una vicenda del genere non sarebbe sfuggita nè a mia madre nè a lui”.
Sostiene Montanelli che la sua Destà  era di religione musulmana…
“Altra cosa impossibile. Destà  è un nome tipicamente cristiano: qualsiasi eritreo glielo potrà  facilmente confermare”.
Poi Montanelli racconta anche un altro fatto: dice che, dopo il suo rientro in Italia, Destà  andò in sposa con un sottufficiale ascaro, tale Gheremedin. I due si stabilirono a Segeneiti e battezzarono il loro primogenito col nome di Indro, in onore del giornalista. Lo stesso Montanelli, passando per Segeneiti nel 1952, durante un viaggio in Eritrea, avrebbe fatto visita alla famiglia…
“Questa è la ciliegina sulla torta! Le assicuro che non ci sono mai stati Indro a Segeneiti. E questo, anche dopo la morte di mamma, me lo hanno confermato diversi miei famigliari che hanno vissuto laggiù per buona parte della propria vita. Ma si figuri: sarebbe stata la favola del villaggio! Immagini una situazione analoga in Italia: una donna, in un paesotto di quattro anime, ha una relazione con Cassius Clay e chiama il suo figlio primogenito Cassius Clay! Ne parlerebbero tutti, per generazioni e generazioni…”.
Insomma, lei che idea si è fatto di tutta questa vicenda?
“Credo che Montanelli si sia costruito attorno un bel romanzo. Può anche darsi che abbia avuto veramente una relazione con una giovane eritrea, in quegli anni. Ma di certo non con una ragazzina di nome Destà  nata a Segeneiti. Questo è falso, punto”.
E le polemiche delle scorse settimane? Il dibattito sulla statua di Montanelli a Milano, sul colonialismo, sul maschilismo? Lei sta dicendo che tutta l’Italia, per giorni, si è semplicemente accapigliata sul nulla?
“No, secondo me quel dibattito era sacrosanto. Perchè, al netto della veridicità  dei fatti, restano le parole utilizzate da Montanelli. Quell’espressione — ‘bestiolina docile’ — utilizzata per descrivere una ipotetica ragazzina di dodici anni: è un linguaggio da colonialista, da conquistatore, e come tale va giudicato. Mia madre rabbrividiva quando riascoltava quelle parole. Ecco: questo non potrò mai dimenticarlo”.
Lei crede che la statua di Montanelli a Milano vada abbattuta?
“Assolutamente no. La statua va lasciata al suo posto. Solo, accanto al nome di Montanelli andrebbero aggiunte due parole: ‘Colonialista e bugiardo’”.
In otto decenni e mezzo di pubblicistica, l’unica fonte certa del rapporto tra Indro Montanelli e la sua “sposa-bambina” Destà  è e resta il solo Montanelli.
Il giornalista ne parla in almeno tre occasioni, tra il 1969 e il 2000, mentre non fa alcuna menzione dell’episodio nè nel reportage autobiografico XX Battaglione Eritreo, uscito nel 1936, nè nelle molte lettere scritte ai famigliari durante la sua permanenza in Africa Orientale.
Si tratta peraltro di racconti frammentari, spesso in palese contraddizione tra di loro: nella versione del 1969, ad esempio, la giovane ha 12 anni, mentre in quella del 2000 ne ha 14. E ancora: nel 1982 Montanelli narra di aver “ceduto” la propria compagna al generale Alessandro Pirzio Biroli, che l’avrebbe ammessa al suo “harem”, mentre nel 2000 dichiara di averla data in sposa direttamente a un suo ascaro, “a guerra finita”.
Da tali resoconti, al netto delle incongruenze, si può comunque ricavare un “identikit” piuttosto coerente della ragazza: viveva nel villaggio di Segeneiti, era di religione musulmana e di etnia bilena.
Esisterebbe persino una sua fotografia, che Montanelli mostrò a Enzo Biagi durante un’intervista televisiva nel 1982.
L’abbiamo sottoposta al professor Gianfrancesco Lusini, africanista, esperto di lingua e cultura eritrea e docente presso l’Università  Orientale di Napoli: “La ragazza ritratta in quello scatto non ha nulla a che vedere con la zona di Segeneiti”, dice a TPI.
“I vestiti e gli ornamenti fanno pensare sì a una ragazza bilena, ma i bileni, in quel periodo, vivevano stabilmente nell’area di Keren, nella regione di Anseba, che si trova da tutt’altra parte, a nord di Asmara. I bileni, inoltre, erano di religione cristiana, copta o luterana, non certo musulmana, e anche Destà  è un nome tipicamente cristiano. Insomma: tutti gli elementi sembrano cozzare tra di loro e appaiono, nel complesso, ben poco credibili”.
Un altro punto controverso, nel racconto di Montanelli, riguarda la sua effettiva presenza “sul campo” durante le operazioni belliche — la guerra per la conquista dell’Etiopia, che scoppiò il 3 ottobre 1935. “Ebbi due anni di vita all’aria aperta, bella, di avventura, in cui credetti di essere un personaggio di Kipling”, raccontò il fondatore de Il Giornale sempre nell’intervista a Biagi.
I “due anni di vita all’aria aperta, bella, di avventura” — durante i quali il giornalista avrebbe vissuto il suo rapporto con Destà  — si ridurrebbero tuttavia a molto meno: giusto una manciata di mesi, buona parte dei quali impiegati in marce ed addestramenti prima dell’inizio delle ostilità .
Lo ha dimostrato — in un rigorosissimo studio basato su documenti d’archivio — lo storico Marco Lenci dell’università  di Pisa. Che racconta: “Incorporato nel XX Battaglione Eritreo il 27 giugno del 1935, Montanelli rimase operativo, seppur a intermittenza, solo fino a dicembre, quando fu ricoverato all’ospedale di Asmara in seguito a un ferimento. Terminata la degenza, smise la divisa e fu assegnato alla redazione del quotidiano La Nuova Eritrea, sempre nella capitale. Vi lavorerà , su incarico dell’Ufficio Stampa e Propaganda dell’Esercito, fino al suo definitivo rientro in Italia nell’estate del 1936”.
Una parentesi ben poco guerresca, trascorsa tra veline e macchine da scrivere, alla quale il giornalista non farà  praticamente mai cenno.
Eppure, tra il dicembre del 1935 e il luglio del 1936, Montanelli scrisse su La Nuova Eritrea circa una trentina di articoli, tutti di stampo accesamente pro-coloniale.
Perchè non parlarne pubblicamente, negli anni successivi? Ipotizza Lenci: “Con ogni probabilità  egli non volle fornire un’immagine della sua vicenda africana che, nei fatti, lo raffigurava per la quasi totalità  della campagna d’Etiopia come un non-combattente, se non addirittura come un vero e proprio imboscato” (cfr. Marco Lenci, “L’Eritrea e l’Etiopia nell’esperienza di Indro Montanelli”, “Studi piacentini” n. 33/2003).
È proprio alla luce di questa bramosia d’avventure hemingwayane mai vissute — il deserto, i combattimenti, gli amori al chiaro di luna — che dovremmo leggere, forse, anche la vicenda di Destà .
Il presidente della Fondazione Montanelli Bassi, Alberto Malvolti, ha confermato a TPI di non essere in possesso di alcun documento che certifichi l’avvenuto matrimonio. TPI ha interpellato sulla vicenda la nipote di Indro Montanelli, Letizia Moizzi, la quale ha risposto: “Non vedo notizie da commentare”, sottolineando che quelle sopra esposte sono “ipotesi e illazioni”.

(da TPI)

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