NORDIO DA’ IL PEGGIO DI SE’
L’IDEA DISTORTA E ILLIBERALE DELLA DEMOCRAZIA
C’è una compiaciuta e rancorosa protervia nel modo in cui Carlo Nordio regola i conti con la magistratura italiana. Come se ad avvelenare i pozzi della “leale collaborazione” tra le istituzioni non bastassero già le leggi annunciate, minacciate o varate dal governo Meloni, che in mille giorni sta realizzando con gioia feroce le pseudo-riforme della giustizia che i governi Berlusconi non riuscirono a fare in vent’anni.
Il piano di manomissione delle garanzie costituzionali e di realizzazione di un ordinamento giuridico costruito sui bisogni di auto-tutela del sistema politico procede spedito, tra abolizione dell’abuso d’ufficio e revisione del traffico di influenze, stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni e separazione delle carriere tra giudici e pm. Non contento di tanta macelleria repubblicana, il Guardasigilli ama odiare la toga che ha vestito fino a pochi anni fa, evidentemente con poca gratificazione
professionale.
Nel giorno in cui esplode la Palazzopoli a Milano e si discute di mafia a Roma il ministro dà il peggio di sé. Sobillato dai nuovi lacchè delle gazzette di regime, accusa una procura della Repubblica colpevole solo di usare le norme della procedura penale vigente nel processo Open Arms, e intimidisce un magistrato di Cassazione reo solo di aver criticato la sua condotta nella vicenda Almasri. Una doppia vendetta, consumata dall’esecutivo ai danni del giudiziario. Con tanti saluti a Montesquieu, al costituzionalismo e allo stato di diritto.
L’affondo contro i pm di Palermo sarebbe surreale, se non fosse vergognoso. Il ricorso “per motivi di diritto” contro la sentenza su Salvini — assolto in primo grado dall’accusa di sequestro di persona ai danni dei 147 migranti bloccati sulla nave della ong spagnola nell’agosto 2019 — rientra a pieno titolo nelle facoltà della procura fissate dai Codici. Nonostante questo, mentre Meloni straparla di «accanimento», Nordio fa Peter Pan e si rifugia nell’isola che non c’è.
«Niente impugnazione contro le sentenze di assoluzione, come in tutti i Paesi civili», tuona il ministro che con spregio della logica aggiunge: «Come potrebbe un domani intervenire una sentenza di condanna al di là di ogni ragionevole dubbio, quando dopo tre anni di udienza un giudice ha dubitato e ha assolto?».
È imbarazzante dover spiegare l’ovvio a un Guardasigilli.
Finché la legge è questa, il ricorso dei pubblici ministeri contro le sentenze di assoluzione è assolutamente legittimo. E poi, portando fino in fondo il suo arzigogolo, tanto vale eliminare i tre gradi di giudizio, e la finiamo lì. Anzi, conviene sopprimere il giudizio: le controversie le decide il sinedrio, riunito a palazzo Chigi.
Il “pizzino” a Raffaele Piccirillo, se possibile, è ancora più inaccettabile. Per delegittimare il membro togato della Cassazione — che ha osato commentare su Repubblica gli errori del ministro nel rilascio del tagliagole libico — Nordio invoca la perizia psichiatrica: «Che un magistrato si permetta di censurare su un giornale le cose che ho fatto in qualsiasi Paese al mondo avrebbero chiamato gli infermieri». Poi vira sulla lesa maestà: «I magistrati sono convinti di godere di un’impunità tale da poter dire quello che vogliono, questo rimane finché non faremo una riforma perché non c’è sanzione di fronte a esondazioni improprie». In tutti e due i casi Piccirillo «potrebbe essere oggetto di valutazione».
Ora che le toghe sbaglino è un fatto: lo vediamo persino in questi giorni, di fronte a sentenze difficilmente spiegabili, per esempio sui femminicidi. Ma neanche ai tempi del Cavaliere, dei Previti e dei Dell’Utri si era visto un responsabile della Giustizia brandire come una clava un provvedimento disciplinare nei confronti di un giudice della Suprema corte, cui far pagare l’esercizio di un diritto tutelato dalla Carta del ’48,
cioè la libertà di manifestare il proprio pensiero.
Se la pietra d’inciampo fosse Nordio, il caso potrebbe anche finire qui. Quanti ministri inadeguati e variamente “mascariati” abbiamo conosciuto in passato? Certo, nell’arci-confraternita dei patrioti al comando siamo ben oltre la modica quantità. Ma qui il problema è strutturale.
Dietro Nordio c’è Meloni, cioè un’idea distorta e tendenzialmente illiberale della democrazia, che non conosce il limite come forma di autodisciplina formale e sostanziale (quello che in diritto si chiama self-restraint) e non contempla gli organi di garanzia come forma di controllo a tutela dell’interesse collettivo (quello che in diritto si chiama check and balance).
E dietro Meloni c’è Trump, cioè l’ideologia delle destre sovraniste e reazionarie che stanno snaturando la civiltà occidentale, inoculando lentamente nelle sue vene la tossina delle autocrazie elettive. Dottrina seducente in un’epoca di pensieri deboli e di bisogni forti, dove il voto dei cittadini è una delega senza scadenza concessa a leader senza scrupoli. Una cambiale in bianco firmata a governi che, conquistate le casematte del potere, lo esercitano senza più freni. Costruiscono nemici e non fanno prigionieri, evocano l’anno zero permanente e non rendono conto su niente. Sciolti da ogni vincolo: la rappresentanza, il rispetto dell’autonomia delle altre istituzioni, persino il principio di legalità
Non è questo il disegno dello sceriffo di Washington, forte della maggioranza nei due rami del Congresso e nel collegio della Corte suprema, pronto a marciare sulle corti federali, sul Deep State, sul governatore della Fed? E non è questo anche il progetto dell’Underdog di Colle Oppio, che tra elezione diretta del premier e riforma della giustizia punta all’investitura popolare come fonte di legittimazione di un potere naturalmente sovra-ordinato a tutti gli altri e al disarmo definitivo di una magistratura piegata dal controllo politico del Csm e da un’Alta corte concepita come strumento di pressione e di punizione.
A nulla è servita la linea più morbida adottata dai nuovi vertici dell’Anm, che con Cesare Parodi avevano provato a riaprire un dialogo su basi più concilianti. A nulla servono le grida manzoniane di un’opposizione sgangherata, non credibile come alternativa per la guida del Paese perché ostinatamente auto-confinata in quello che Ezio Mauro definisce “l’indistinto democratico”.
Dobbiamo sperare solo nel Quirinale, dove Sergio Mattarella sarà chiamato a fare scelte difficili. Sappiamo che il presidente della Repubblica non gradisce che lo si tiri per la giacca. Sappiamo che avrà bisogno del massimo sostegno di tutte le forze politiche e sociali che hanno a cuore i valori della Costituzione. Ma sappiamo che ciascuno sarà chiamato a fare la sua parte, per proteggerla e non farla scivolare nella zona grigia della post-democrazia.
Nel 1917 Gramsci scriveva che “neanche in Italia i farisei, i pubblicani, la piazza, possono imporre alla magistratura una linea di condotta diversa da quella fissata dalla legge”. Un secolo dopo, i Fratelli d’Italia lo stanno facendo.
(da La Repubblica)
Leave a Reply