NUOVE PENSIONI, LE CHIEDI NEL 2024 E LE PRENDI NEL 2025: ECCO I TRAGICI EFFETTI DELLA STRETTA MELONI
PALETTI, FINESTRE, TETTI, CALCOLI: LE USCITE ANTICIPATE VENGONO POSTICIPATE E L’ASSEGNO E’ PIU’ BASSO… COLPITI ANCHE I MILLENNIALS
Nel 2024 ritornano in modo pieno le regole ordinarie della legge Fornero per andare in pensione. Chi pure riuscirà ad anticipare – tra Quota 103, Opzione donna, Ape sociale – si rassegni: l’uscita slitta al 2025 per via di paletti e finestre introdotti nella seconda manovra del governo Meloni. E anche l’assegno sarà più basso con i nuovi tetti e le penalizzazioni.
I canali ordinari
Sono quelli di sempre, in vigore dal 2012. Si va in pensione di vecchiaia a 67 anni con almeno 20 anni di contributi versati. E in pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi (uno in meno per le donne), a prescindere dall’età anagrafica.
La stretta del governo Meloni si riversa nei canali flessibili di uscita anticipata che vengono sì prorogati di un anno, ma tutti penalizzati. Vediamoli.
Quota 103
La nuova Quota 103 permette l’uscita a 62 anni con 41 di contributi versati, come succede quest’anno. La grande novità, rispetto alle Quote precedenti, è il ricalcolo contributivo dell’intero assegno, come sin qui avveniva solo per Opzione donna.
La pensione sarà dunque più bassa rispetto a Quota 100 e Quota 102 perché non terrà più conto del “sistema misto”: una parte dell’assegno retributiva (in base agli ultimi stipendi) e l’altra contributiva (in base ai contributi versati).
Scatterà poi un tetto all’assegno, pari a quattro volte il minimo: significa che la pensione non potrà essere superiore a 2.394 euro lordi mensili fino al compimento dei 67 anni, ovvero il requisito ordinario della vecchiaia. Per cinque anni dunque la pensione sarà tagliata e il taglio non verrà recuperato.
Le nuove finestre applicate a Quota 103 sono più ampie e di fatto posticipano il pensionamento di quasi tutti i “quotisti” al 2025. Per i dipendenti pubblici si passa da 6 a 9 mesi. Per i dipendenti privati da 3 a 7 mesi. Di fatto, solo chi raggiunge i requisiti per Quota 103 tra gennaio e aprile del prossimo anno andrà in pensione nel 2024. Gli altri slittano tutti all’anno dopo.
Chi ha i requisiti per Quota 103 può scegliere di restare al lavoro con una retribuzione più alta del 9,19% al mese fino a cinque anni (dai 62 ai 67 anni di età), usufruendo del “bonus Maroni” e convogliando la parte dei contributi che versa all’Inps in busta paga. Ma avrà una pensione futura più bassa, perché avrà pagato meno contributi negli ultimi anni di lavoro.
Ape sociale
Non si tratta di pensione, ma di “assegno ponte” assistenziale che traghetta alcune categorie di lavoratori più fragili – disoccupati, caregiver, invalidi, precoci – verso la pensione di vecchiaia a 67 anni. L’Ape sociale si poteva prendere a 63 anni con 30, 32 o 36 di contributi, a seconda dei casi. Dal prossimo anno l’età passa a 63 anni e 5 mesi. L’importo massimo resta a 1.500 euro lordi mensili.
Viene anche eliminata la compatibilità con i redditi da lavoro dipendente o autonomo. Consentita solo la cumulabilità con redditi da lavoro subordinato fino a 5 mila euro lordi annui. Le finestre rimangono tre (marzo, luglio, novembre). Ma è come fossero state allungate di 5 mesi, visto l’aumento dell’età anagrafica di accesso alla misura.
Opzione donna
Anche qui vengono inaspriti i criteri di accesso, già resi talmente stringenti nella prima manovra del governo Meloni da rendere questo canale di pensionamento anticipato di fatto inutilizzabile dalle lavoratrici dipendenti e autonome.
Si passa dai 60 anni e 35 di contributi a 61 anni da avere al 31 dicembre 2023. Un anno in più. Sconti solo per mamme con un figlio (60 anni) e con due o più figli (59). L’assegno è da sempre tutto ricalcolato con il metodo contributivo: unico caso, finora, di penalizzazione di questo tipo esistente nel sistema previdenziale italiano.
Rimangono le categorie di donne che possono richiedere l’Opzione, introdotte l’anno scorso: caregiver, invalide almeno al 74%, licenziate da aziende con tavoli di crisi aperti al Mimit.
Millennials
La stretta del governo Meloni si abbatte poi anche su chi ha cominciato a lavorare e versare contributi previdenziali dal primo gennaio 1996, i “contributivi puri”. Il vincolo per accedere alla pensione di vecchiaia viene abbassato da 1,5 volte l’assegno sociale a una volta: si può uscire a 67 anni con 503 euro di pensione anziché 755 euro.
Ma quello per la pensione anticipata contributiva a 64 anni e 20 di versamenti viene inasprito al punto da rendere questo canale accessibile solo per i lavoratori “ricchi”, con alti stipendi. Il requisito viene infatti alzato da 2,8 volte a 3 volte l’assegno sociale (da 1.408 a 1.509 euro di pensione potenziale). Si scende a 2,8 volte solo per donne con un figlio. E a 2,6 con due o più figli.
Viene poi introdotto anche qui un tetto all’importo erogabile di pensione, pari a cinque volte il minimo Inps (2.993 euro) fino ai 67 anni di età.
(da La Repubblica)
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