“OH MIA PATRIA SI’ BELLA E PERDUTA…”: A VENEZIA GLI ORCHESTRALI DELLA FENICE SCENDONO IN PIAZZA PER PROTESTARE CONTRO LA NOMINA DI BEATRICE VENEZI A DIRETTORE MUSICALE E SUONANO IL VA’ PENSIERO DI VERDI E L’INNO DI MAMELI DAVANTI A MIGLIAIA DI CITTADINI
“NON CONSEGNEREMO IL TEATRO NELLE MANI DI VENDITORI DI PACCOTTIGLIA. NO ALLA TRASFORMAZIONE DELLA CULTURA IN UNO SPAZIO DI PROPAGANDA” …LA PIAZZA CHIEDE PIÙ VOLTE LE DIMISSIONI DEL SOVRINTENDENTE COLABIANCHI, CHE HA IMPOSTO LA SCELTA DI VENEZI, E DEL SINDACO BRUGNARO
Campo Sant’Angelo è già pieno alle 17, mezz’ora prima che l’orchestra del Gran Teatro La Fenice di Venezia cominci la sua protesta lirica, pubblica, aperta, metà suonata e metà parlata, contro la nomina di Beatrice Venezi a direttrice musicale. Tutti vogliono un posto in prima fila.
La prima del Wozzeck di Alban Berg non si terrà: il coro e l’orchestra, 300 professionisti e professioniste, sono in sciopero. Suonano, ma fuori, in strada. Dicono: «Mario Rigoni Stern, un grande intellettuale di questa terra, parlava del coraggio di dire no: noi siamo qui a dire no». Molti no.
A Venezi, naturalmente, che però definiscono “vittima”, una pedina; no alla cultura svilita a marketing; no al dialogo ridotto a diktat; no alla svendita di Venezia; no alla trasformazione dell’Italia in parco giochi e della cultura in uno spazio di propaganda. È una mobilitazione profonda, è la voce di un mondo che si sente aggredito e violato, colonizzato, stravolto.
«Siamo qui per difendere una cosa che non si vede ma che si sente: la dignità», dice Marco Trentin, violoncellista. Quando dice: «Non consegneremo il teatro nelle mani di venditori di paccottiglia», la piazza esplode.
Il punto cruciale della protesta non è Beatrice Venezi, la sua biondezza, il suo genere, l’egemonia culturale, l’ideologia: è la rivolta a un assedio, a una svendita. Quello che da anni viene fatto a tv, giornali, cinema, e cioè la semplificazione in (presunto) favore di popolo, lo scadimento in (presunto) favore di inclusione, qui, non trova sponda ma muro. Insistono: «La nostra è una battaglia professionale, artistica e profondamente culturale».
Sanno di parlare a nome loro, dell’orchestra, per il teatro, ma non solo: sanno di parlare per un Paese intero che non ha saputo opporsi a troppi espropri. Venezia sembra essere tutta qui, in questo campo enorme, intorno al suo teatro e ai suoi orchestrali che suonano il Va’ Pensiero, la Cavalleria Rusticana, La Traviata. Il pubblico, tra gli applausi, urla continuamente grazie. Oltre al coro, ai professori e alle professoresse dell’orchestra, ai
sindacalisti, prendono la parola in questa assemblea lirica, i membri di associazioni cittadine vicine al teatro o nate ora per sostenerlo.
Giorgio Peloso Zantaforni, 35 anni, fondatore del comitato Sconcerto Grosso, dice: «Guardatemi, non sono vetusto: ho la stessa età di Beatrice Venezi. E mi offende che la sua nomina sia stata giustificata come mezzo per avvicinare i giovani all’opera: noi non abbiamo bisogno di personaggi da social per amare Verdi, ma di competenza e qualità. Non è in nostro nome che si può decidere di rovinare un’eccellenza. Ci opponiamo a questa strumentalizzazione». Boato di applausi.
È il primo sciopero della storia in difesa della raffinatezza, della complessità, dello studio, della vocazione, del sacrificio, della responsabilità: tutte cose che credevamo estinte e che, invece, questa orchestra che da settimane viene accusata con malagrazia di snobismo e sessismo, sa di avere il dovere di tutelare.
«Richiedere eccellenza non è un reato né un gesto di discriminazione. È un dovere morale verso l’arte, il pubblico e noi stessi», si legge sui volantini che vengono distribuiti alle persone che riempiono la piazza e che sono in ascolto silenziosissimo. Tantissimi i bambini. Silenziosi anche loro.
È la prima volta che un’orchestra viene estromessa dalla scelta del direttore musicale che la dirigerà, quindi è la prima volta che a un’orchestra non viene riconosciuto titolo per prendere parola sul suo lavoro. Certo, la procedura lo consente, ma se una procedura consente un abuso, non significa che quell’abuso sia legittimo: sarebbe come appellarsi al libero arbitrio per legittimare un crimine.
Quello che l’orchestra riesce perfettamente a spiegare è che rendere l’arte di tutti è un lavoro per pochi. Su questo punto è la frizione più grande tra il governo e La Fenice (che ha dalla sua tutti gli enti lirici e sinfonici italiani).
«Il sottosegretario alla Cultura Mazzi oggi ci ricorda quanti soldi ci vengono assegnati dal suo ministero: proprio per questo dovrebbe rendersi conto che la scelta del sovrintendente Colabianchi sta creando un danno erariale. Oggi non abbiamo suonato, e quindi il teatro non ha incassato, 163 abbonati hanno disdetto l’abbonamento, e siamo solo all’inizio. Noi non arretreremo anche se ricordarci che il ministero eroga i fondi è un modo per dire che potrebbe tagliarceli se non stiamo buoni, soprattutto in questi giorni, mentre sono in corso a Roma le trattative per il rinnovo del contratto nazionale», dice a La Stampa Marco Trentin.
Gli chiedo se a Venezia ci sia qualcuno contro l’orchestra della Fenice, e risponde: «Nessuno. A parte il sovrintendente Colabianchi, che ha imposto la scelta di Venezi, e il sindaco Brugnaro».
Di entrambi, e con enfasi, la piazza chiede più volte le dimissioni. «Sa, sindaco, io non l’ho mai visto una volta all’opera, e sono una signora di una certa età», dice la fondatrice della fondazione Amici della Fenice, la contessa Barbara di Valmarana.
Povera Patria, sì bella e perduta.
(da La Stampa)
Leave a Reply