ORDINE E MANGANELLI: IL GOVERNO MELONI CONTRO I GIOVANI
GLI STUDENTI: “CI DESCRIVONO COME FANNULLONI PER DELIGITTIMARCI”
Passano i mesi e tra giovani e governo aumentano distanze e scontri. Da quando Giorgia Meloni è arrivata a Palazzo Chigi, l’esecutivo guidato dalla ministra per la Gioventù del quarto governo Berlusconi e, prima ancora, presidente di Giovane Italia, Azione Giovani e Azione Studentesca, si è distinto per la solerzia e la costanza nell’intervenire nel mondo di ragazze e ragazzi con un’impronta molto chiara. C’è chi la definisce «puniti e mazziati» e chi parla di «ordine e manganelli» o più semplicemente di «zitti e buoni» scomodando i Maneskin, ma il senso è lo stesso.
L’offensiva è partita con il decreto anti-rave, provvedimento annunciato dal governo Meloni pochi giorni dopo l’insediamento – come se le occupazioni dei terreni rappresentassero il problema principale dell’Italia dell’autunno del 2022 – inserendo nella prima versione del provvedimento un testo che proibiva qualsiasi tipo di manifestazione. E si è arrivati sedici mesi dopo alle manganellate a Pisa su un corteo di studenti che non aveva altre armi che la propria voce.
«In mezzo c’è molto altro – spiega Paolo Notarnicola, 22 anni, studente di Filosofia a Padova e coordinatore della Rete degli Studenti Medi -. C’è il decreto Caivano, il decreto vandali, l’inasprimento delle pene contro chi aggredisce i docenti, la circolare del ministro Valditara che minaccia punizioni per chi occupa o il ddl sulla condotta che inasprisce le sanzioni. E ci sono gli inutili incontri avuti con il ministro che ci convoca a decisioni già prese o che usa un atteggiamento paternalistico o di censura quando proviamo ad affrontare tematiche di respiro più ampio».
E poi ci sono la drastica limitazione del 18App, il misero 3% della legge di Bilancio dedicato ai giovani con l’aggiunta di proposte come il disegno di legge del vice capogruppo di FdI alla Camera Alfredo Antoniozzi che vuole portare l’età del consenso sessuale da 14 a 16 anni. Oppure si assiste a gesti maldestri come quello del dirigente di Modena che aveva sospeso uno dei rappresentanti degli studenti in consiglio di istituto perché aveva osato criticare la scuola in un’intervista. La sospensione è stata poi annullata ma la tentazione di silenziare gli studenti resta.
«Ci raccontano come fannulloni che vogliono soltanto perdere qualche giorno di scuola. Lo fanno per delegittimarci come interlocutori. Invece, se ogni altro tentativo di far sentire la nostra voce e di portare i nostri temi nelle sedi opportune fallisce, è nostro dovere usare cortei, manifestazioni e occupazioni per farci sentire – avverte Notarnicola -. Se, in queste occasioni, si arriva alle manganellate su studenti inermi siamo di fronte a un obiettivo molto chiaro: spaventare gli studenti per evitare che scendano in piazza».
«Siamo preoccupati – ammette Alessia Conti, presidente del Cnsu, il Consiglio nazionale degli studenti universitari – perché se la presidente del Consiglio discute con il presidente della Repubblica che prende le nostre difese vuol dire che siamo di fronte a un attacco serio. A tantissime richieste e proposte che, come generazione, abbiamo avanzato ha fatto seguito soltanto il silenzio. A questo punto ci resta soltanto il diritto di scendere in piazza in modo pacifico finché non vedremo un cambiamento nelle politiche del governo».
Per farsi un’idea di come stanno i giovani italiani basta andare a leggere gli indicatori di benessere contenuti nel rapporto annuale Istat, riferito al 2022. Sono ai livelli più bassi d’Europa: oltre 4 milioni di ragazzi hanno almeno un segnale di privazione, e 1,7 milioni non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione (i Neet), un disagio diffuso soprattutto tra le ragazze e in chi risiede nel Mezzogiorno. Tristi, sfiduciati e in drammatico calo. Gli italiani dai 18 ai 34 anni sono poco più di 10 milioni, il 17,5% del totale mentre venti anni fa erano il 23%. Solo nell’ultimo anno i giovani iscritti per l’espatrio sono stati 50mila, il 60,4% del totale (dati Censis).
«La descrivono come una fuga di cervelli, invece si tratta di una fuga e basta. Pur di non vivere in Italia vanno a raccogliere frutta in Australia o a lavorare come camerieri», spiega Walter Massa, presidente nazionale dell’Arci. E non siamo di fronte a una disattenzione recente. «È già da qualche decennio che questo Paese non è più per giovani indipendentemente dal governo. L’ unica politica messa in atto è il servizio civile e ogni anno dobbiamo elemosinare qualche euro in più per ampliare la platea. Questo governo, però, ha peggiorato una situazione già drammatica insistendo su politiche sanzionatorie, cancellando le poche forme di investimento culturali esistenti e ora reprimendo il diritto di manifestare con una pesantezza inaccettabile. Passa il messaggio che repressione e ordine pubblico siano l’unica politica educativa possibile, che si debba stare zitti e muti e questo è inquietante. L’Italia non è un Paese per giovani e credo che sia il delitto più grave che si possa commettere perché vuol dire non ragionare per nulla sul futuro».
Ma i giovani non hanno alcuna intenzione di starsene zitti e buoni. «Stiamo preparando le prossime manifestazioni – annuncia Paolo Notarnicola – e una stagione di rivendicazione dei nostri diritti. Vogliamo partecipare ai processi decisionali come prevede la democrazia».
(da lastampa.it)
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