Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
“SULL’EX ILVA SI È CONSUMATO L’ENNESIMO TRADIMENTO”: PER FIM CISL, FIOM CGIL E UILM IL NUOVO PIANO DI DECARBONIZZAZIONE, ILLUSTRATO DA URSO, PORTA DRITTO ALLA CHIUSURA E L’UNICA STRADA È L’INTERVENTO DELLO STATO PER GESTIRE LA TRANSIZIONE
I sindacati sfiduciano il ministro Adolfo Urso e chiamano in causa la presidente Giorgia Meloni. «Sull’ex Ilva si è consumato l’ennesimo tradimento, la premier avochi a sé la vertenza», chiedono i segretari di generali di Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm.
Per i rappresentanti dei lavoratori, il nuovo Piano di decarbonizzazione, illustrato l’altra sera, porta dritto alla
chiusura. A loro giudizio, non c’è alternativa, almeno in questa fase, all’intervento da parte dello Stato con una società pubblica per gestire la transizione.
Non è soltanto l’aumento della cig, che passerebbe dagli attuali 4.450 a 5.700 unità da sabato prossimo per salire a 6mila dal primo gennaio, ad allarmare i confederali. Pesa l’incertezza sulla procedura di vendita. Il fatto che, oltre ai fondi Bedrock e Flacks, ci sarebbe un terzo potenziale acquirente, un produttore di acciaio extraeuropeo con il quale sarebbe stato sottoscritto un accordo di riservatezza (si è parlato di Qatar Steel) non contribuisce a rasserenare il clima.
La tensione resta altissima perché, come si evince dallo schema di otto pagine consegnato ai sindacati, la ricerca del compratore è in alto mare. I commissari stanno verificando con Bedrock Industries il livello effettivo dell’impegno finanziario e i livelli occupazionali e attendono da Flack Group un business plan più dettagliato.
Quanto all’altro “operatore estero”, come lo definisce il governo, c’è stato un primo incontro operativo, cui è seguita un’ulteriore richiesta di chiarimenti. A preoccupare i sindacati è soprattutto un altro aspetto. Il fatto, cioè, che rispetto all’intesa raggiunta nello scorso agosto, il governo preveda di dimezzare i tempi del processo di decarbonizzazione, portandoli da otto a quattro anni.
Secondo i sindacati, infatti, si tratta di operazioni di spegnimento graduale. Il dimezzamento dei tempi della decarbonizzazione, con la costruzione di tre forni elettrici e di almeno un impianto di
preridotto di ferro (Dri), nasce anche dalla necessità, evidenziata dai commissari al governo, di ridurre il più possibile le perdite.
Mantenere la produzione a carbone al minimo, aumentando le ore di cig, consentirebbe di non aggravare a dismisura la situazione sul piano economico-finanziario. L’ex Ilva perde più di due milioni al giorno. L’altoforno 1 è ancora sotto sequestro probatorio. L’altoforno 2 è fermo e il 4 marcia al minimo. Sull’intero complesso grava il peso di impianti ormai a fine ciclo, soggetti a guasti e bisognosi di continua manutenzione.
Il ministro Urso auspica che i sindacati tornino al tavolo (il governo li ha riconvocati per martedì a Palazzo Chigi) e che presto sia individuato un acquirente. «Quella dell’ex Ilva – dice durante il question time alla Camera – è la sfida più difficile, aggravata dal sequestro dell’alfoforno 1 da parte della Procura della Repubblica di Taranto».
Per Urso il governo sta cercando di accelerare la decarbonizzazione, facendo sì che almeno un impianto di Dri possa essere realizzato a Taranto, prendendo atto della realtà, ossia del «diniego del Comune di Taranto alla nave rigassificatrice nel porto».
(da Repubblica)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
CON UNA FINANZIARIA DI AUSTERITÀ IN DISCUSSIONE IN PARLAMENTO, E IL “PACIFINTO” SALVINI A FARE PRESSIONI, LA DUCETTA AVREBBE DIFFICOLTÀ A GIUSTIFICARE NUOVE SPESE PER ARMAMENTI (140 MILIONI DI DOLLARI COME PRIMA TRANCHE). MA GIORGIA NON PUÒ FARE UNO SGARBO SIMILE A “THE DONALD”
Il problema, adesso, è non indispettire troppo gli Stati Uniti. Perché di certo la
conferma dell’annullamento della visita di Guido Crosetto a Washington, anticipata da Repubblica e assunta su indicazione di Palazzo Chigi dopo un colloquio tra Giorgia Meloni e il ministro, non ha ben disposto gli Usa.
L’amministrazione Trump tiene molto al programma Purl: l’acquisto di Patriot e Himars americani da destinare all’Ucraina è infatti la fiche che gli europei devono garantire all’industria bellica Usa per tenere la superpotenza a bordo.
Quando in Canada è ancora mattino, Antonio Tajani sente dunque la presidente del Consiglio. Concordano sulla necessità di inviare segnali distensivi. «Non vedo perplessità nell’acquisto di armi americane per l’Ucraina», assicura il titolare degli Esteri, «vedremo cosa fare, decideremo assieme». Qualche ora dopo incontrerà il segretario di Stato Marco Rubio, a margine del G7.
Ma il responsabile della Farnesina è pienamente consapevole del nodo politico. Proverà a spiegarlo all’alleato, con un ragionamento che può essere condensato così: in prospettiva Roma è aperta all’ipotesi di aderire a Purl, ma in questa fase esistono nodi di bilancio che non permettono di offrire risposte definitive.
L’aspetto contabile, infatti, è relativo. Negli Stati Uniti, Crosetto avrebbe dovuto dare il via libera a una prima tranche di investimenti che – secondo diverse fonti – si sarebbe aggirata attorno ai 120-140 milioni di dollari. Cifre sostenibili. Ogni pacchetto vale fino a 500 milioni, ma decide ogni singola capitale la portata dello sforzo.
Berlino, ad esempio, ha firmato un contratto da mezzo miliardo. E tra i Paesi Nato sono almeno 15 – si apprende – quelli che hanno già siglato un Gfa (general framework agreement), che li vincola al progetto: oltre ai tedeschi, Svezia, Danimarca, Norvegia, i tre del Benelux e i tre baltici, Canada, Portogallo, Spagna, Slovenia e Islanda. Non il Regno Unito, né la Polonia, che però donano cifre enormi in via bilaterale (meno la Francia, ancora fuori da questa partita).
Nulla di fatto per Roma, comunque: missione rimandata. Per Meloni, la linea è sostanzialmente questa: è in corso una riflessione, non è ancora il momento delle decisioni.
A scavare, pesano soprattutto ragioni politiche. Con una finanziaria di austerità in discussione alle Camere, Palazzo Chigi avrebbe difficoltà a giustificare nuove spese per armi. La premier vuole evitare traumi politici interni – la contrarietà di Matteo Salvini, le resistenze di Giancarlo Giorgetti – e gli attacchi delle opposizioni. Meglio fermarsi, è stata la brusca indicazione, che presentarsi a Washington senza risposte certe che potrebbero irritare l’alleato.
Resta il fatto che la decisione di rimandare la missione rappresenta un’anomalia, rispetto alla normale grammatica diplomatica. Un dispiacere dato a Kiev, un gesto poco ortodosso verso Washington. Dimostra che qualcosa si è inceppato, nel cuore dell’esecutivo.
(da “la Repubblica)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
QUANDO VESPA GLI DA’ DEL “MALEDUCATO”, SCANZI ESONDA: “VAI SUI CONTENUTI, VESPA. NON MI FACCIO DARE LE LEZIONI DA UNO CHE HA TRATTATO COME HA TRATTATO UN ESPONENTE DELLA FLOTILLA”
La puntata di È sempre Cartabianca di martedì 11 novembre ha visto un inedito scontro televisivo tra Andrea Scanzi e Bruno Vespa, quest’ultimo ospite speciale per la presentazione del suo libro Finimondo.
Il tema dello scontro: i centri per il rimpatrio in Albania. Le idee del giornalista del Fatto Quotidiano lasciano dubbi a Bruno Vespa, fresco dell’intervista a Vittorio Sgarbi, ma l’obiezione del conduttore di Rai1 – “Abbi pazienza, Scanzi…” – viene bloccata subito: “Abbi pazienza lo dici a qualcun altro, Vespa”.
L’innesco della rissa televisiva
Un confronto che ha abbandonato rapidamente i toni della dialettica politica per diventare uno scontro diretto, senza esclusione di colpi. Andrea Scanzi non ha usato giri di parole:
“La Meloni aveva promesso che avrebbe risolto tutto e subito e poi ha dato la colpa alla magistratura. È un altro fallimento e c’è poco da girarci intorno”. La risposta di Vespa parte con un tentativo di ridimensionare le critiche del collega: “Abbi pazienza, Scanzi…”.
Ma il giornalista del Fatto Quotidiano non lascia passare quel tono paternalistico e replica secco: “Abbi pazienza lo dici a qualcun altro, Vespa”. Da quel momento, il confronto prende
una piega irrecuperabile. Scanzi incalza senza tregua:
Io ho avuto così tanta pazienza che ti ho ascoltato, quindi adesso tu ascolta me. Ti ripeto: sull’Albania, la Meloni ha detto sciocchezze industriali, stiamo sprecando soldi. Se devi venire in tv e negare ogni fallimento di Giorgia Meloni, te ne do atto. Ma abbi pazienza lo dici a tuo figlio, a un bimbo, non a me.
L’affondo finale: “Sei patetico”, Vespa: “Maleducato”
Il colpo più duro arriva quando Scanzi passa all’attacco personale: “Sei patetico quando difendi la Meloni, se la vuoi difendere anche qui, te ne dò atto”. Vespa tenta di sottrarsi al confronto diretto scegliendo una strategia difensiva: “Non rispondo a una persona maleducata come Scanzi, quindi rispondo a te”, rivolgendosi alla conduttrice Bianca Berlinguer. Ma Scanzi non arretra e rilancia: “Vai sui contenuti, Vespa”.
Quando Vespa prova a riprendere il controllo della situazione con un “Per favore!”, Scanzi chiude definitivamente ogni possibilità di distensione: “No, per favore lo dico io e le lezioni le dai a qualcun altro, non mi faccio dare le lezioni da uno che ha trattato come ha trattato un esponente della Flotilla”.
Il riferimento alla Flotilla – legato alla discussione che Vespa ha fatto con Tony LaPiccirella a Porta a Porta – ha aggiunto un ulteriore livello di tensione allo scontro.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
“JEFFREY POTREBBE ESSERE STATO UCCISO PERCHÉ AVEVA INFORMAZIONI POTENZIALMENTE PERICOLOSE PER ALCUNE PERSONE, INCLUSO DONALD TRUMP, CHE ALL’EPOCA DEI FATTI ERA UN PRIVATO CITTADINO”
“Spero e credo che queste nuove informazioni possano essere utili a chiarire le
circostanze dell’omicidio di mio fratello”.
E’ pesante l’insinuazione che Mark Epstein lancia parlando con Repubblica, perché lascia intendere che le rivelazioni contenute nelle mail e i documenti pubblicati in queste ore potrebbero contenere informazioni su ipotetici motivi per eliminare il finanziere al centro dello scandalo di pedofilia.
Mark non ha mai creduto alla versione ufficiale del suicidio, anche quando l’amministrazione Trump l’ha confermata nei mesi scorsi, dopo aver visionato i video ripresi dalle telecamere del carcere, rinnegando così l’impegno preso dal presidente durante la campagna elettorale di pubblicare tutti i documenti del caso rimasti ancora segreti.
Ne è convinto perché Jeffrey non gli aveva mai parlato della possibilità di togliersi la vita, non era il tipo di persona che avrebbe fatto una cosa del genere, ma soprattutto quando era stato rinchiuso in prigione si era invece concentrato sulla propria difesa legale per venirne fuori.
Cosa pensa dei messaggi appena rivelati?
“Non sapevo che sarebbero usciti, non sono stato coinvolto nella loro ricerca e nella loro pubblicazione. Francamente, non sono davvero interessato al caso di Jeffrey sul piano dei dettagli di
cosa aveva fatto, perché ormai lui è morto. Quello che invece mi interessa molto è chiarire le circostanze relative al suo omicidio”.
Secondo la versione ufficiale del dipartimento alla Giustizia e dell’Fbi, suo fratello si è suicidato in carcere. Lei non lo crede?
“No, non l’ho mai creduto”.
Perché?
“Mio fratello non aveva alcuna intenzione di togliersi la vita, voleva difendersi per scagionarsi, e io resto convinto che sia stato ucciso”.
Nelle mail pubblicate ieri suo fratello scrive che il presidente Trump era a conoscenza delle sue attività con le ragazze e aveva passato alcune ore nella casa di Jeffrey con una delle vittime, identificata dalla stessa Casa Bianca come Virginia Giuffrè. Cosa pensa di queste rivelazioni?
“Non mi sorprendono minimamente. Sono solo la conferma che Trump è un bugiardo, quando dice che non conosceva e non frequentava mio fratello. Racconta una quantità incredibile di stronzate”.
Lei ha sempre sostenuto che Jeffrey aveva un rapporto di amicizia abbastanza consolidato con Donald, prima che diventasse presidente: si conoscevano, si frequentavano e lei li aveva visti spesso insieme. Queste mail rappresentano la conferma di questa relazione personale tra loro due?
“Senza dubbio. Penso siano la dimostrazione che quanto ho sempre detto è la verità”.
Lei ha anche sostenuto che suo fratello aveva informazioni compromettenti su molte persone, incluso Trump, ma la Casa Bianca ha commentato che gli incontri del presidente con Virginia Giuffrè erano noti e lei stessa aveva sempre affermato che non era mai accaduto nulla di riprovevole con il futuro presidente degli Stati Uniti. Si sente di smentire questa versione?
“Io sono a conoscenza di quello che mi diceva mio fratello, e in varie occasioni mi aveva detto di avere informazioni compromettenti su varie persone”.
Sta dicendo che suo fratello potrebbe essere stato ucciso perché aveva informazioni potenzialmente pericolose per alcune persone, incluso Donald Trump, che all’epoca dei fatti era un privato cittadino?
“Sì, esattamente”.
(da La Repubblica)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
E 5.8 MILIONI DI ITALIANI HANNO DOVUTO RINUNCIARE ALLE CURE
Vista l’ultima Manovra, che toglie ai poveri per dare ai ricchi, c’è da crederle sulla parola. Ma quando la premier Giorgia Meloni promette che con la destra al governo la patrimoniale non vedrà mai la luce, l’affermazione è vera “fino a un certo punto”, un po’ come il diritto internazionale quando c’è di mezzo Israele (copyright del ministro Tajani).
Non è solo il lungo elenco di tasse che l’esecutivo ha rimaneggiato, per lo più aumentandole, nei suoi primi tre anni di vita a lasciare più di qualche dubbio. Ad esse vanno aggiunte pure quelle occulte, spesso generate dall’inerzia del governo. Un
esempio? L’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari – alla faccia del carrello tricolore! – che secondo l’Istat ha prodotto rincari di quasi il 25%, otto punti in più rispetto all’inflazione, dal 2021 ad oggi.
Una non tassa che però si sente eccome nelle tasche degli italiani. Con l’aggravante della totale assenza di progressività: i prezzi dei generi alimentari sono gli stessi per i poveri e per i ricchi, ma i rincari impattano decisamente di più su un pensionato al minimo rispetto al top manager d’impresa.
Un po’ come le accise sulla benzina che Meloni prometteva di abolire, finendo per abolire invece solo lo sconto introdotto dal governo Draghi per poi aumentare quelle sul diesel per equipararlo alla benzina. Risultato: il pieno dell’utilitaria dell’operaio costa come quello della fuoriserie del milionario. Ma la tassa occulta più odiosa grava sulla Sanità. Che sarebbe pubblica, cioè pagata con i soldi delle imposte pagate dagli italiani (almeno di quelli che le pagano), ma che sta diventando sempre più privata. Se è vero come è vero l’allarme lanciato dall’Istat, la spesa delle famiglie è salita quest’anno a 41,3 miliardi. Chi può paga, chi non ce la fa rinuncia alle cure: nel 2024 un italiano su dieci (5,8 milioni) non ha fatto esami o visite per le liste di attesa, per le difficoltà economiche o per quelle logistiche.
Quando Meloni giurava “mai la patrimoniale!” forse si riferiva a quella che colpirebbe i grandi patrimoni. Del resto, per chi un patrimonio non ce l’ha i problemi sono altri. Tipo mettere
insieme il pranzo con la cena. Un’impresa, visti i prezzi.
(da lanotiziagiornale.it)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
IL FLOP DEI CENTRI PER MIGRANTI… GRATTERI SU TIRANA: “I CLAN INFILTRANO LE ISTITUZIONI”
Dopo l’accordo siglato tra Italia e Albania, dal valore di quasi un miliardo di euro, per la
gestione dei migranti, il presidente albanese Edi Rama torna a Roma per incontrare Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio aveva promesso, con tono perentorio, che i centri per migranti costruiti in terra albanese «funzioneranno», ma quel modello è fallimentare.
Non c’è solo la questione dell’efficacia, sulla quale Domani può svelare nuove anomalie tra agenti rimpatriati e alloggi
inadeguati, ma anche un tema in buona parte sottaciuto, quello relativo alle scorribande criminali in quel paese. Cammina sotto traccia una domanda, a chi abbiamo dato 100 milioni di euro di soldi pubblici (destinati alla sorveglianza esterna)? Con quale paese abbiamo sottoscritto un accordo da quasi un miliardo di euro (si prevede una spesa minima di 650 milioni di euro), in cinque anni?
Gli oppositori del governo Rama, osservatori internazionali, una parte della destra italiana, hanno definito nel recente passato l’Albania un narcostato. Questa definizione è un’esagerazione? «No, tutt’altro. I gruppi albanesi hanno iniziato a trafficare in marijuana per passare successivamente all’eroina, grazie ai rapporti con la mafia turca, e infine alla cocaina, di cui sono diventati broker internazionali.
I proventi di queste attività hanno dato ulteriore potere economico e politico ai gruppi albanesi che hanno molte affinità con la ‘ndrangheta, dal familismo ai rigidi codici comportamentali, basati sulla besa, il senso dell’onore e della parola data, dalla capacità di infiltrazione nel tessuto economico-finanziario al condizionamento del settore politico-amministrativo». A dirlo è il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, intervistato da chi scrive per raccontare l’egemonia internazionale della mafia albanese.
Il silenzio
Parole pronunciate da un esperto magistrato in prima linea contro il crimine che aumentano gli interrogativi sull’esigenza di
sottoscrivere un protocollo con un paese extra-Ue, che non ha una normativa adeguata di contrasto al crimine organizzato e, ancor di più, non ha una legislazione in grado di colpire l’accumulazione illecita di patrimoni economici e finanziari. Una vicenda ancora più grave se si considera quanto rivelato da Domani in merito a un incontro accertato dalla Dia tra un cartello criminale ed esponenti imprecisati del governo Rama. Era il 2019. Una vicenda, sulla quale Rama ha scelto il silenzio, che ha sollevato un polverone politico e mediatico in Albania, ma oscurata in Italia.
La presidente del Consiglio si spertica in parole contro la mafia poi sceglie interlocutori internazionali, le cui politiche nel fronteggiare riciclaggio, corruzione e infiltrazioni sono giudicate «non all’avanguardia», dice ancora Gratteri.
A Villa Pamphili ci sarà l’incontro tra Rama e Meloni, è prevista la firma di un accordo strategico globale che comprende settori quali energia, salute, ambiente, difesa, istruzione, innovazione, migrazione e sviluppo economico. Fotografie di rito, parole di elogio reciproco anche per nascondere la fallimentare campagna d’Albania. Un anno fa aprivano i centri per migranti, quasi sempre vuoti, fiaccati dal diritto internazionale e resi così enormi monumenti allo spreco. In realtà in un caso il baraccone albanese ha funzionato benissimo. È il caso dell’agente rimpatriato.
L’unico rimpatrio? L’agente
Nel progetto fallimentare messo in piedi dal governo italiano dall’altra parte dell’Adriatico, infatti, è stato previsto anche un
carcere da 20 posti. Una struttura che si trova all’interno del complesso più grande che include il centro di trattenimento dei richiedenti asilo e il centro per i rimpatri. Destinato a chi, tra i migranti, avrebbe commesso reati nell’area considerata sotto la giurisdizione italiana.
Attualmente è presidiato da 15 agenti della polizia penitenziaria, un terzo rispetto al contingente originario che era stato distaccato in Albania. Ma che colpa ha l’agente rimpatriato? Sospettato di aver fotografato i cani randagi che si raccoglievano, sfamati dai poliziotti, nei pressi del carcere vuoto. Così, dopo un procedimento disciplinare chiusosi con l’archiviazione, l’agente è stato rispedito a casa. Insomma il rimpatrio funziona che chi è sospettato di interloquire con sindacati. Ma c’è anche altro. Rispondendo a una sollecitazione arrivata al dipartimento della polizia penitenziaria dalla Uil, si scopre una carenza strutturale. Le camere degli agenti dovrebbero essere per una sola persona altrimenti non sono a norma rispetto alle previsioni dell’accordo nazionale quadro. E, invece, cosa accade?
«Le camere dedicate al personale, pari a 30 metri quadrati, ospitano al momento massimo due unità; ciascuna stanza, munita di impianto di climatizzazione, ed il relativo bagno sono dotati degli arredi previsti dall’allegato A dell’Accordo Quadro, si ritiene opportuno evidenziare che nessuna lamentela è stata registrata da parte del personale», scrive Rita Russo, oggi direttore del personale, e prima provveditore nel Piemonte, dove il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove
Proprio Russo si occupava di quella regione quando questo giornale pose la questione del caposcorta di Delmastro, in particolare le ragioni della scelta e della selezione nonostante l’età avanzata. «Non voglio assolutamente parlare», rispose. Silenzio anche quando le chiedemmo della tramontata ispezione interna. Dopo quell’esperienza è volata a Roma a dirigere il personale nel dipartimento del Delmastro gestisce ogni nomina. E ora risponde sugli alloggi inadeguati rassicurando tutti: «Nessuno si lamenta». Anche perché se si lamentano, li rimpatriano.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
NEL CIRCO BARNUM SOVRANISTA CI MANCAVA UN MINISTRO CHE DA’ IN ESCANDESCENZE
Il ministro Valditara, (che ieri ha dato in escandescenze in Parlamento accusando la
sinistra di sfruttare i femminicidi e mostrando la sua idea di confronto), ha introdotto con una circolare la par condicio nelle scuole. E cos’è mai? Negli eventi pubblici organizzati negli istituti “aventi ad oggetto tematiche di
ampia rilevanza politica o sociale” devono intervenire “ospiti ed esperti di specifica competenza ed autorevolezza” (in quelli che non sono di grande rilevanza si può invitare anche il Gabibbo). Si devono “assicurare il pieno rispetto dei principi del pluralismo e della libertà di opinione e garantire il dialogo costruttivo e la formazione del pensiero critico”.
Le iniziative promosse devono, “attraverso il libero confronto di posizioni diverse”, favorire “una più approfondita e il più possibile oggettiva conoscenza dei temi proposti, consentendo a ciascuno studente di sviluppare una propria autonoma e non condizionata opinione”. Bisogna educare gli studenti a “cogliere la complessità della realtà che li circonda” e a fuggire “dalla logica della mera contrapposizione”.
Cos’è capitato? Secondo il Corriere (il Corriere!) c’è un nesso di causalità con un episodio specifico: “La circolare è seguita ad un convegno organizzato al liceo scientifico Righi con gli attivisti della Sumud Flotilla, cancellato a poche ore dall’inizio dopo che il deputato della Lega Rossano Sasso aveva fatto notare che sarebbe mancato il contraddittorio”.
Dunque trattasi di ritorsione con il chiarissimo intento di censurare posizioni non gradite, in assoluto sfregio dell’autonomia scolastica, assicurata dallo Stato agli istituti da 25 anni.
Gli studenti – che domani scenderanno in piazza contro la circolare bavaglio – si sono domandati chi avrebbero dovuto invitare per garantire il contraddittorio con gli attivisti della
Flotilla: i soldati dell’Idf che li hanno fermati e incarcerati? O qualche commentatore che dal salotto di casa li ha sbeffeggiati? La circolare riguarda tutti i temi di “ampia rilevanza”.
Dunque, per esempio, se si organizzasse un dibattito sulla legge 194, secondo il codice Valditara bisognerebbe chiamare gli attivisti Pro-vita che quella legge vogliono cancellare. Il diritto di abortire in sicurezza in Italia è garantito da quasi mezzo secolo: vogliamo dire che una legge dello Stato ha bisogno di un contraddittorio?
La libertà di manifestazione del pensiero è il primo diritto che definisce una democrazia, ma quando una presidente del Consiglio, come ha fatto Giorgia Meloni nelle settimane passate, scredita i cortei pacifici di cittadini per Gaza dicendoli inutili e dannosi (“Nulla per Gaza, solo disagi per gli italiani”) svela il suo disinteresse per le libertà che la Costituzione – sulla quale lei ha giurato – garantisce a quei cittadini. E quando approva norme come i decreti Sicurezza che criminalizzano gli scioperi si spinge ben oltre, mostrando in che conto tenga il dissenso e i diritti dei lavoratori. Nel caso della guerra a Gaza però dovrebbero mettersi l’animo in pace: milioni di persone si sono mobilitate a favore di una popolazione martoriata in una situazione di totale oscuramento dell’informazione. Ancora oggi i giornalisti stranieri non possono entrare nella Striscia, ci sono solo i giornalisti palestinesi, decimati da Israele (ne sono morti quasi 250). Eppure gli italiani si sono schierati senza esitazioni per il cessate il fuoco (che in un mese, secondo il Government Media
Office di Gaza è stato violato 282 volte da Israele). Le censure trovano sempre i loro antidoti, specie in un tempo in cui, volendo cercare, le informazioni sono a portata di click: non sarà facile per il governo indottrinare gli studenti. L’unico risultato di questa supposta par condicio delle idee è che la scuola sarà sempre più percepita come un luogo di costrizioni e divieti, ostaggio della pretesa dei politici di inculcare dogmi: ciò che di più lontano c’è dal pensiero critico.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
DAL LINGUAGGIO PARLAMENTARE DI MORO, BERLINGUER ED ALMIRANTE SIAMO ARRIVATI A VALDITARA
Dopo l’aspra seduta parlamentare nella quale si è litigato a proposito della legge
sull’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, culminata in una scenata del ministro Valditara, Bruno Tabacci, che è uno dei reperti della Prima Repubblica da conservare tra le (poche) cose preziose che rimangono alla politica italiana, ha commentato con amarezza: «Sono nostalgico del linguaggio parlamentare che ho studiato da Moro, Berlinguer e Almirante. C’è una retrocessione».
Siamo liberi di pensare alla solita lamentela del vecchio boomer sulla deriva dei tempi. Ma anche di valutare, con un metro il più possibile oggettivo, se la retrocessione della quale parla Tabacci ci sia stata oppure no.
Secondo me sì. E non perché quando parlavano Moro e Berlinguer e Almirante ero giovane e il mondo mi sembrava migliore. Ma perché c’è uno scarto effettivo tra quello “stare in aula”, quel parlare magari limato, magari poco spontaneo, che però rifletteva la responsabilità che la parola politica sentiva su di sé; e questo continuo apostrofarsi, da una curva all’altra, come se parlare fosse una ordinaria forma di sopraffazione (a imitazione dei social).
C’erano anche allora i faziosi e gli energumeni, ma le loro intemperanze erano contenute dalla cornice complessiva, anche nei rispettivi partiti, che ebbero una funzione educativa prima di tutto per i loro esponenti meno ispirati.
C’erano, rispetto a oggi, ben più gravi ragioni di tensione (basti pensare al terrorismo). Ma l’idea condivisa era che la politica fosse la più alta e la più importante delle forme espressive. La politica intimidiva anche i politici. Se niente più mette soggezione, si perdono le inibizioni, e il controllo delle parole ne risente.
(da repubblica.it)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
DA MANCUSO A BALDASSARRE FINO A SANTANCHE’
Chi si dimette in realtà è perduto. Questo spiega le epiche resistenze della politica italiana e i mille sottili espedienti per guadagnare tempo e non mollare. Dai rustici forchettoni democristiani all’elaborato centrotavola di Santanché è comunque la stessa zuppa alla mensa del comando. D’altra parte, in certe occasioni occorre essere realisti, è già tutto scritto in Machiavelli. Chi non avesse voglia di trovare conferma in quei diabolici testi, basta che guardi con gli occhi del cuore l’assai eloquente foto dei garanti della Privacy in formazione, l’uno al fianco dell’altro, tutti e quattro radiosi sullo sfondo di volumi rilegati in qualche esclusiva sede istituzionale.
Dicono bene, quei volti, la fatica, la fortuna, la soddisfazione di esserci, loro e non altri. E perché mai dovrebbero schiodarsi da
lì? Dimissioni mai, risuona l’antico motto. Puntuale come un orologio svizzero è giunto il Tg1, come accadde durante l’estrema e intrepida trincea di Sangiuliano, a raccogliere e propagare quel rifiuto e la sottostante verità, in gran parte inconfessabile.
E non solo o non tanto perché dietro l’imperiosa richiesta delle dimissioni aleggia l’ombra arcaica e crudele del sacrificio. No, più modestamente, ora che il sacrificio ha preso di vezzo di chiamarsi “passo indietro”, chi si dimette è perduto perché di colpo vengono a mancargli i fotografi, gli scatti in squadra e quell’estetica di conclamato splendore castale.
Una volta fuori dal giro, cessano le occasioni, le opportunità, l’orgoglio dei famigliari, l’ossequio dei condomini, i privilegi inaspettati, gli stipendioni, le vaste segreterie, le segretarie “dalle lunghe gambe”, come diceva quel maschilista di Pertini, i divanetti nelle anticamere, gli autisti, i telefonini, ovvero le ore liete del potere. Rassegnate le dimissioni, la vita diventa più difficile e costosa, come dimostrano le spesucce e i coupon che emergono nelle cronache, la pretesa di volare in classe superiore, millemiglia incluse, la carta di credito, il ristorantino, la bisteccona, le vacanze, il parrucchiere e dunque: perché mai dimettersi? Sarebbe un’ammissione di colpa, si sente dire con sospetta assiduità.
Perciò si rimane a oltranza, la riabilitazione affidata all’incerto e controverso futuro dei posteri come è accaduto al povero
Berlusconi di cui tutti o quasi hanno dimenticato la strenua e disperatissima resistenza alle lettere della Bce, ai colpi di sonno, allo spread che schizzava, alle liti con Tremonti, alle risatine all’estero, alle intercettazioni sulla patonza che deve girare, perfino a un enorme tapiro consegnato da Striscia la notizia a Palazzo Grazioli – ed era una trasmissione Mediaset!
Le dimissioni si danno e non si preannunciano, sosteneva De Gasperi, dopo tutto nato sotto gli Asburgo. Nella fase più matura della Prima Repubblica, eminentemente democristoide, chiamarsi fuori costituiva addirittura una violazione dell’ordine naturale, tanto che Antonio Gava, richiestovi a gran voce, aspettò di ammalarsi per cedere il Viminale: “Me lo ha richiesto Nostro Signore”. Nell’Italia contemporanea resistere, se non fa bene al welfare e al wellness, rianima la tribu d’appartenenza, rallegra l’umore di chi fa le nomine e celebra le conquiste del più bronzeo individualismo.
Ognuno poi ci mette del suo. Il presidente della Rai Baldassarre rimase incollato alla poltrona nonostante il consiglio d’amministrazione si fosse assottigliato fino a non entrare nemmeno “in una Smart”. Così come l’ostinazione dell’onorevole Villari, pd, richiesto di ritirarsi dalla Vigilanza per superiore pretesa veltroniana, prese le sembianze dell’imperturbabilità, poi del buonumore, quindi della burla, fino alla suprema rivelazione di un flirt in gioventù con Barbara D’Urso.
“In-fran-gi-bil-mente” sillabò in aulica lingua il ministro Mancuso contro i diktat di chi lo voleva “supino”, cioè fuori dal governo Dini. Idem il Governatore di Bankitalia Fazio, bersaglio di mille frecce, oltre che di una canzoncina del Gabibbo: “Co-co-come una cozza/ attaccato sta/ e chi lo schioderà?”. Vedi del resto la ministra Santanché, intercettata dai giornalisti nientemeno che a Gedda: “Non vedete come sto? In formissima”. Tutto questo, beninteso, in un tempo che come l’attuale ha superato ogni forma di vergogna – e più ci “mette la faccia”, si sente ripetere, più in realtà l’ha già perduta.
(da La Repubblica)
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