PARLA IL NIGERIANO DEL VIDEO-SCHOCK: “UN DOVERE DIFENDERE QUELLA DONNA DALLO SCIPPATORE”
“AMO NAPOLI MA ADESSO HO PAURA: TANTA GENTE STAVA CON IL RAPINATORE”
«Perchè ho reagito? L’ho fatto per istinto, perchè sono un cristiano. E voglio bene a Napoli, i love them, questi cittadini mi danno da mangiare, da anni».
Benjamin è un fantasma, apparentemente. Uno di quelli che attraversano la città da invisibili, addossati contro l’angolo di un vicolo o il sagrato di una chiesa.
Nigeriano, rifugiato politico, sposato con una connazionale, trentacinque anni, da cinque in Italia e ormai residente in una piccola comunità di Caserta, Benjamin O. è il giovane africano che è stato l’unico a fermare il rapinatore e a difendere un’anziana vittima nel video choc diffuso ieri da Repubblica.
Custodisce un passato con sofferenza e, forse, ombre.
E al sole di mezzogiorno, sotto il monumentale bugnato della basilica del Gesù Nuovo, si guarda intorno sorpreso. Si scusa.
«Mi lasci lavorare, poi parliamo», stende il cappellino per l’elemosina.
Ti fissa negli occhi per capire come mai proprio lui, perchè ora all’improvviso – lo dice tra stupore e disincanto – sarebbe diventato un “hero”, l’eroe.
Mescola più lingue: un inglese concitato che è stato il ponte per la salvezza, il francese con cui si esprime con la moglie Cinthia, il napoletano imparato dai ragazzi di strada, l’italiano a tratti.
Benjamin, sapeva che c’era un video col suo intervento a favore della donna scippata? E che il rapinatore è in carcere?
Si avvicina all’Ipad, segue il video. «No, non lo immaginavo. però è giusto. Io non l’ho chiamata la polizia. Io ho solo cercato di fermare il bandito perchè se il male avviene proprio sotto i miei occhi non posso stare fermo, non posso girarmi».
Sua moglie dice che ha paura, adesso. È così?
«Sì, ho un po’ di paura. È vero. Ma io lo so che Dio sta con me, io credo e sono sicuro che mi protegge. Difatti oggi sono tornato qui, sullo stesso posto. Chi fa del bene è protetto dall’Alto. Io stesso prego per quelli che mi aiutano qui, per quelli che sono cittadini normali, come quella signora scippata, che ogni giorno si fermano, mi danno quello che possono».
Com’è andata quel pomeriggio? Era il primo febbraio.
«Ho sentito e ho visto. La donna urlava “Ci sono i documenti!”, non voleva perdere le sue cose, e intanto quello la buttava giù col motorino. Mi sono piegato a raccogliere la borsa, la signora era molto stordita, diceva “Quello mi poteva uccidere”. Poi dicevo: “questo roba”, voglio dire “ruba”. Ma alcuni mi credevano, altri no. Ho cercato di fermarlo, ma lui voleva andare via, scappare».
Si è chiesto perchè era solo a cercare di fermare il rapinatore? Secondo lei, quella folla non ha capito com’erano andati i fatti? Oppure non voleva rischiare?
«Io ho visto questo: alcuni la pensavano come me, erano dispiaciuti per la signora, forse avevano paura. Ma altri, secondo me, erano d’accordo con lui, col ladro. Perchè gli dicevano di andare, di stare attento, facevano quella faccia che significa “è andata così, andiamocene tutti a casa”».
Chi le ha detto “grazie”, dopo quell’episodio?
«Alcune persone sono state buone con me, mi hanno fatto i complimenti. La signora che è stata scippata, io non so neanchecome si chiama o dove abiti, ma lo sa?, mi ha dato 20 euro. Non me l’aspettavo».
Lei, ventiquattro ore dopo il clamore di quel video choc, è ancora al suo solito posto di “lavoro”. Questa storia non ha mutato la sua visione di Napoli?
«No, difatti. Voglio bene a questa città . Mi sento vicino a questi cittadini,i love them.I ladri ci sono ovunque. Qui però vedo anchepersone che mi fanno un regalo o mi stanno vicino. Le confesso una cosa. C’è una signora che abita qui nei paraggi che ogni dieci giorni, esattamente ogni dieci giorni, mi regala una bellissima colazione: venti euro. La paga al bar, mi fa fare caffè, cornetto, e poi ricevo il panino, o la pizza».
Benjamin, quando comincia il suo pezzo di vita italiana?
«Quasi sei anni fa. Sono andato via dalla Nigeria perchè lì c’è la guerra. Mi hanno ucciso mio padre, hanno ucciso altri miei parenti. Sono un rifugiato politico, anche se non sono riuscito ad ottenere quel certificato. Ora ho un permesso di soggiorno, ma non ho più un lavoro. Non è che io non voglia lavorare, lo dica. Non lo trovo, lo scriva».
Com’è arrivato in Italia? È passato da Lampedusa, e magari per uno dei nostri Cie, i centri di identificazione ed espulsione?
«Ho preso una nave, poi sì, sono passato per Lampedusa. Ho lasciato in Nigeria due figli. Poi sono stato nel Centro di Caltanisetta (poi chiuso, dopo un rogo e una rivolta ndr). Oggi vivo a Caserta».
Che ricordo ha della permanenza nel centro?
«Non voglio ricordare nulla. Perchè altrimenti ricordo anche la fuga dalla Nigeria, quello che mi hanno fatto e che ho lasciato».
Tutti i giorni viene da Caserta a Napoli in treno per stare nel centro antico? E racimolare questi spiccioli?
«Every day, sì».
Ti saluta con un mezzo sorriso, l’abito di eroe non gli piace, sembra stia più a suo agio in quello di fantasma.
Conchita Sannino
(da “La Repubblica”)
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