PD, DA PARTITO DEI LAVORATORI A QUELLO DEGLI IMPRENDITORI: 130 FAVOREVOLI, 11 ASTENUTI E 20 CONTRARI
DURI INTERVENTI DI D’ALEMA “NON CI SONO SOLDI PER QUESTA RIFORMA” E BERSANI “QUI METODO BOFFO PER CHI NON LA PENSA COME TE”
La resa dei conti nel Partito democratico sul tema del lavoro va in scena alla direzione nazionale. Dopo i dibattiti sui giornali e a cavallo di Italia e Stati Uniti (dove Matteo Renzi era in viaggio nei giorni scorsi), è il tempo del faccia a faccia sul Jobs Act (qui il contenuto della riforma punto per punto).
Apre il presidente del Consiglio e lancia la sfida ai sindacati, senza escludere la possibilità di confronto.
La mozione della segreteria viene approvata con 130 voti favorevoli, 11 astenuti, 20 contrari. Un esito che il premier indica come il nuovo corso del Pd: “Noi oggi abbiamo detto con serenità che gli imprenditori sono dei lavoratori e non dei padroni e che la sinistra si candida a rappresentarli”.
E dà mandato al vicesegretario Lorenzo Guerini di trattare con la minoranza per un documento finale comune.
La mediazione alla fine salta, le minoranze votano in ordine sparso ma per il premier nulla cambia: a questo punto, intesa o meno, la direzione ha deciso e “da oggi tutti dovranno adeguarsi”.
Quindi, per quanto riguarda le discussioni interne al partito “sono belle anche quando non siamo d’accordo” però poi “alla fine si vota allo stesso modo in Parlamento. Scontro D’Alema-Renzi
Durante la direzione risponde dura la minoranza Pd, guidata da Massimo D’Alema che fa i conti in tasca all’esecutivo: ”Ho sentito frasi che hanno scarsa attinenza con la realtà . Non è vero che l’articolo 18 è un tabù da 44 anni perchè è stato cambiato 2 anni fa. Questa riforma costa più di 2 miliardi e mezzo e non bastano i soldi annunciati”.
Nel corso della direzione, oltre a D’Alema, interviene duramente anche l’ex presidente dem Gianni Cuperlo: “Non c’è un dominus nel Pd, si cerchi la sintesi”.
Il presidente del Consiglio nel suo discorso iniziale dimostra di non voler cambiare obiettivo, ma si dice disposto a modificare (seppur di poco) la strada individuata per ottenerlo.
E per questo si dice disposto ad un dialogo, anche con la minoranza democratica. La prima, importante novità è l’apertura di Renzi alle parti sociali: “Sono disponibile a riaprire la sala verde di palazzo Chigi per un confronto con Cgil, Cisl e Uil e tutti gli altri sindacati. Li sfido su tre punti: una legge sulla rappresentanza sindacale, il collegamento con la contrattazione di secondo livello e il salario minimo”.
La minoranza democratica, che resta almeno nei numeri una piccola parte di quelli che poi voteranno contro (o si asterranno) spara però a zero sul segretario Pd.
Se non fosse bastato il riscontro della “fattibilità degli annunci” di Massimo D’Alema (“Basta slogan”), arriva l’ex segretario Pd Pier Luigi Bersani: “Noi non andiamo nel baratro per l’articolo 18, ma per il metodo Boffo. Qui se qualcuno vuole deve poter dire la sua senza problemi”.
Non è da meno Pippo Civati: “Su Rai 3 domenica sera ho visto un premier che diceva cose di destra, simili a quello che diceva la destra dieci anni fa”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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