PERCHE’ SILVIO ALLA FINE HA CEDUTO ALLE LARGHE INTESE
LA REGIA DEL COLLE, IL PRESSING DI LETTA E CONFALONIERI: “MEDIASET CROLLA”
«Silvio, tre mesi così non li reggiamo. Da qui alle elezioni resteranno solo macerie. Napolitano insiste su Monti: dobbiamo accettare».
Gianni Letta ha ricevuto dal presidente della Repubblica una missione ad alto rischio. Convincere il Cavaliere e sondare la disponibilità anche del centrosinistra al “governo europeo”.
Sul Colle è attiva una “sala operativa” per arrivare all’esecutivo d’emergenza: Napolitano sente Draghi, il neo governatore Ignazio Visco, Bersani, Casini, Confindustria, alcuni grandi imprenditori e i sindacati.
A palazzo Grazioli Letta si trova però di fronte un Berlusconi ancora tormentato. La Borsa sprofonda, lo spread abbatte nuovi record, il Cavaliere ha appena ribadito a radio e tv il suo mantra: elezioni, elezioni.
Ma, dopo lo shock provocato dalle parole del sottosegretario, sarà un pressing a tutto campo.
Non solo Frattini, Alfano, Fitto, lo stesso Verdini.
A farsi sentire è il cuore dell’azienda: Fedele Confalonieri.
Si presenta a via del Plebiscito e, per un’ora intera, apre gli occhi all’amico di una vita: «Mediaset sta crollando, perdiamo il 12 per cento. Devi accettare il governo Monti, altrimenti ai tuoi figli non lascerai più nulla… «.
Arriva la telefonata di Ennio Doris, amministratore di Mediolanum, l’allarme è lo stesso.
Considerazioni che aprono una breccia.
E tuttavia la diffidenza su Monti prevale ancora sul realismo. Il Cavaliere preferirebbe al limite Giuliano Amato o lo stesso Letta. «E Bossi, che non vuole assolutamente Monti?».
Berlusconi teme la rottura irreparabile dell’alleanza storica con il Carroccio.
Anche perchè la Lega gli ha appena suggerito, dopo quello di Angelino Alfano, il nome di Giulio Tremonti come presidente del Consiglio.
Fuori intanto i gruppi parlamentari del Pdl si squagliano, alcuni suoi ministri già si propongono a Casini per restare al loro posto nel nuovo governo.
Altri corrono a smarcarsi dall’ipotesi di elezioni a tutti i costi.
Nel toto-ministri entra anche Formigoni, che lascerebbe così un posto libero alla Lega in Lombardia per Roberto Maroni.
Berlusconi, che ai suoi appare «stordito », alla fine deve arrendersi per la seconda volta: dopo le dimissioni accetta anche l’odiato governo tecnico.
«È come nel ’94 – ragiona il Cavaliere nel lungo vertice a palazzo Grazioli – , siamo di fronte al bivio fra un governo del ribaltone e le elezioni. Ma io non so se stavolta siamo in grado di affrontare la fase che ci dovrebbe portare al voto. Sono cose che preferirei non dire… Se andiamo alle elezioni e a palazzo Chigi ci sono ancora io, cosa faccio se c’è il default?».
È la prima volta che dalla bocca del capo del governo affiora la parola indicibile: default. «Posso assumermi io questa responsabilità ?».
È fatta, le ultime resistenze cadono.
Gianni Letta comunica l’ultima novità : «Silvio, Napolitano sta per annunciare pubblicamente la nomina a senatore a vita di Monti. Che ne dici?».
E Berlusconi: «Mi pare a questo punto un’ottima idea».
Per Letta è il segnale del via libera e il sottosegretario ne informa subito il capo dello Stato. La rete del Quirinale si è chiusa.
Monti è «una figura di prestigio », una personalità che «da tempo», precisano al Colle, era stata individuata come meritevole del laticlavio a vita. Ma il segnale è chiarissimo lo stesso, il capo dello Stato ha messo in campo una “riserva della Repubblica” per tentare di realizzare il progetto di un governo di tutti.
A spingerlo ad accelerare è la reazione drammatica dei mercati e anche alcune dichiarazioni che lasciano di stucco.
Quelle ad esempio del ministro La Russa, che sposta in avanti di alcune settimane le lancette per l’approvazione della legge di stabilità .
Resta poi aperto il balletto surreale sulla data delle dimissioni fino alle voci di un improbabile reincarico allo stesso Cavaliere.
Napolitano, alle cinque del pomeriggio, mette fine con una nota ufficiale alle parole in libertà : dimissioni «certe», legge rapidissima, come convenuto con Fini e Schifani, e poi consultazioni lampo per un nuovo governo o elezioni.
Scrive anche che, in ogni momento, «è possibile adottare provvedimenti d’urgenza ». È un passaggio dedicato ai partner e agli investitori stranieri che temono l’impasse e non sanno che anche un governo dimissionario può fare argine ricorrendo ai decreti legge.
Alla decisione di bruciare le tappe contribuiscono alcune allarmate telefonate.
Mario Draghi, capo della Bce: «Presidente, i mercati non hanno capito la tempistica delle dimissioni di Berlusconi. Non si fidano ».
Ignazio Visco, governatore di Bankitalia: «Presidente, la situazione è pesantissima. Il rendimento sui Btp decennali è arrivato quasi al 7,5%, possiamo resistere solo fino all’8%».
Il capo dello Stato riceve Tremonti e concorda i contenuti e il timing del maxi-emendamento per l’Europa.
Poi prepara il terreno con l’opposizione sentendo Bersani e Casini: da loro riceve il via libera all’operazione Monti.
E anche Gianni Letta, nel frattempo, ha chiuso la sua missione impossibile.
Il governo Berlusconi non c’è più e il governo Monti avanza.
Ma al Cavaliere resta l’ultima consolazione.
Davanti ai suoi, sospira: «La giornata di oggi ha dimostrato a tutti gli sciacalli che il problema dello spread non ero io. Ho lasciato ma è stata la giornata più nera per i Btp».
Francesco Bei e Umberto Rosso
(da “La Repubblica“)
Leave a Reply