POLITICI COMPIACENTI FAKE NEWS E PERSINO STUDENTESSE: LA PROPAGANDA RUSSA VIAGGIA A PIENI GIRI IN ITALIA
I CANALI TELEGRAM DEI COMPLOTTISTI ANTI-NATO DIVENTANO IPERATTIVI… LA MORTE DI NAVALNY HA DATO LA STURA ALLA DISINFORMAZIONE RUSSA
Non sorprende che, nel parlare di Aleksej Navalny, un funzionario russo lo tratti come “un evento inaspettato e tragico che dovrebbe suscitare molta comprensione umana, ma che viene interpretato in Occidente in una chiave accusatoria ai fini di fomentare l’ostilità nei confronti delle autorità russe e giustificare la frattura insanabile tra la Russia e l’Occidente”, come ha scritto su Repubblica l’ambasciatore Aleksej Paramonov. Il suo compito non è “portare pena” bensì “portare ambasciate”, esentato da ogni responsabilità. Il capo della diplomazia russa nel nostro paese non fa altro che amplificare la propaganda del Cremlino all’estero: che dunque ripeta le tesi capovolte del governo di Mosca, come quella che vedrebbe i paesi dell’ovest voler “sconfiggere la Russia per mano dell’Ucraina, da tempo intesa, adescata, preparata, caricata a servire da ordigno ibrido contro Mosca”, rientra nella normalità delle cose. Paramonov è solo il megafono ufficiale di Vladimir Putin, mentre il vero problema sono i più subdoli canali non ufficiali. Da lì infatti passa buona parte della disinformazione russa, che negli ultimi tempi da noi sta superando il livello di guardia. Telegram ne è pieno, a iniziare da Giubbe Rosse.
In una delle ultime conferenze stampa prima di svestire i panni di presidente del Consiglio, Mario Draghi aveva assicurato che la democrazia italiana era più forte dei “nemici esterni” e dei “loro pupazzi prezzolati”. Un modo schietto per sottintendere che qualcuno avrebbe potuto interferire nelle elezioni che si sarebbero tenute da lì a poco. Ora la situazione è differente: siamo alla vigilia dei due anni di guerra in Ucraina e la Russia ha iniziato il countdown che porterà alla rielezione di Vladimir Putin. Ma l’obiettivo per il Cremlino resta sempre lo stesso: fare propaganda dentro e fuori dei confini nazionali.
In quei confini doveva entrarci una delegazione composta da venti italiani per monitorare il regolare svolgimento delle elezioni. Tra questi: Gianluca Savoini, ex portavoce di Matteo Salvini e protagonista della trattativa al Metropol, e Pino Cabras, di Democrazia Sovrana e Popolare, che ad Huffpost ha confermato la notizia. È durata giusto il tempo di un battito d’ali, visto che la missione è stata annullata per un motivo non del tutto chiaro, se non il fatto che probabilmente doveva rimanere segreta. Ma è l’ennesima conferma di come sradicare il germe putiniano in Italia resti complesso.
Proprio il caso Navalny è emblematico. Di fronte all’evidenza dei fatti, chi prende le difese del governo russo spiega che anche quello americano si comporta allo stesso modo con Julian Assange o Gonzalo Lira, il giornalista cileno con cittadinanza americana morto nelle carceri ucraine. “Usare due pesi e due misure mi fa schifo”, è il giudizio di Savoini che riassume il pensiero alternativo. Che aggiunge: “A differenza di molti italiani che fanno i Badoglio, e quando va tutto male saltano dall’altra parte, in Russia se sei una persona corretta e seria non ti voltano le spalle”.
Ci aveva provato Maxim Kuzminov, il disertore che si era consegnato agli ucraini, ucciso ad Alicante poco più di una settimana fa. Il primo al mondo a scrivere il nome del pilota russo è stato Il Corrispondente, testata online nostrana ignota ai più, ma salita alla ribalta dopo questa storia ripresa perfino dall’agenzia Tass. Come abbia ricevuto questa informazione non è dato saperlo, né si sa chi abbia firmato l’articolo visto che è tradizione della testata. C’era solo il titolo: “I traditori non vivono a lungo”, il che lascia immaginare che quella fine Kuzminov se la sia andata a cercare. Un’idea confermata anche a L’aria che Tira da Amedeo Avondet, ventiquattrenne tra i fondatori dei Giovani Patrioti collegato a Fratelli d’Italia in Piemonte. “Sì, era un traditore e meritava di morire”, ha detto rispondendo all’ex responsabile dei servizi segreti, Marco Mancini.
Come abbia fatto a entrare in possesso di certe informazioni (ovvero nome e cognome di quella persona) rimane tuttavia un mistero. Essendosi arreso al nemico, Kuzminov aveva ricevuto una nuova identità e, dunque, ha molto probabilmente cambiato nome, cognome e anno di nascita per non essere identificato proprio per evitare che il suo passato potesse diventargli fatale. Che non sia dunque una vera testata giornalistica ma che faccia il gioco di Mosca sotto mentite spoglie è una probabilità che Alex Orloswki, esperto di cyber propaganda, ritiene concreta. L’indirizzo della presunta sede del giornale indicata nella gerenza (Piazza di Spagna 38, Roma) in realtà è un negozio di Valentino e la partita iva indicata non esiste.
Come Il Corrispondente “ce ne sono circa una decina in Italia”, afferma Orloswki ad Huffpost, notando comunque un salto di qualità. Un conto è diffondere la propaganda dall’esterno attraverso i propri canali, un altro è fornire gli strumenti a una persona del posto per farlo al proprio posto. “I siti di Russia Today e Sputnik sono stati banditi dalle legge europee, ma hanno dato supporto tecnico ai propagandisti locali aggirando le sanzioni. Avondet non poteva possedere quella capacità tecnica”. Ma era appunto un madrelingua e quindi non erano più necessarie le traduzioni automatiche – delle volte piuttosto visibili – per trasmettere il proprio messaggio. Un altro esempio di questo rapporto arriva dalla visita della premier Giorgia Meloni a Kiev per firmare un’intesa: per il capo della commissione affari internazionali della Duma è “solo un calcolo a fini propagandistici”, per Il Corrispondente queste partnership “rischiano di portarci a una guerra totale con la Federazione Russa con un’escalation nucleare sempre più probabile”.
A completare poi la carrellata dei propagandisti russi in Italia c’è anche chi non ti aspetti. Non è una giornalista, ma la domanda della ventiduenne Irene Cecchini rivolta a Putin durante il Forum di Mosca è sembrata comunque molto accomodante. A ritwittarla, anche Vito Petrocelli, ex senatore del Movimento 5 Stelle che ha espresso più volte lo stesso pensiero del Cremlino. La giovane Cecchini ha raccontato di vivere “benissimo” in Russia, “un paese libero che da’ opportunità a tutti” dove “non è vero che non ci si può esprimere “o che “non ci sono libertà”. Interrogata sulla morte di Navalny, ha preferito non rispondere non essendo “esperta di questi temi”. Allo stesso modo, sull’invasione dell’Ucraina, ha glissato in quanto “per rispondere a questa domanda dovrei essere un’esperta di geopolitica e non lo sono”. Peccato che sia una studentessa dell’Istituto statale di Mosca per le relazioni internazionali, università sotto patronato del ministero degli esteri russo che Henry Kissinger, non proprio amico del Cremlino, aveva definito “l’Harvard russa”.
(da agenzie)
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