PROCESSO GIULIO REGENI: DOPO 28 UDIENZE, L’ASCOLTO DI 38 TESTIMONI E L’ACQUISIZIONE DI 28 VERBALI, A POCHI PASSI DAL TRAGUARDO, IL PROCESSO PER IL SEQUESTRO E L’OMICIDIO DEL RICERCATORE ITALIANO SI BLOCCA E APPRODA ALLA CORTE COSTITUZIONALE
IL QUESITO POSTO ALLA CONSULTA RIGUARDA LA PRESUNTA “MINORATA DIFESA” DEGLI 007 EGIZIANI IMPUTATI, PER LA MANCATA NOMINA DI UN PERITO – DOPO I DEPISTAGGI E LA RESISTENZA DEL GOVERNO EGIZIANO, ORA QUESTIONI TECNICHE FERMANO IL DIBATTIMENTO, PER CHISSÀ QUANTO TEMPO
Giunto a pochi passi dal traguardo, il processo per il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni si blocca e approda — per la seconda volta — alla Corte costituzionale.
Ora il quesito posto alla Consulta riguarda la presunta «minorata difesa» degli imputati egiziani, assistiti da avvocati d’ufficio ma non ammessi al «gratuito patrocinio» perché non essendosi mai presentati non hanno dimostrato di averne titolo; di fronte a una perizia disposta dai giudici avrebbero diritto a nominare un consulente di parte, che però i loro legali dovrebbero pagare di tasca propria in assenza dei rimborsi statali previsti per la difesa delle persone non abbienti.
È compatibile questa situazione con i principi del «giusto processo» fissati dalla Costituzione? Questione squisitamente tecnica ma rilevante secondo la Corte d’assise, e in attesa di una risposta non si può andare avanti.
Dopo 28 udienze, l’ascolto di 38 testimoni e l’acquisizione di 28 verbali, mancava solo la perizia per la esatta traduzione dall’arabo della deposizione di un teste che (come altri residenti in Egitto) non è venuto in aula perché il governo del suo Paese si è rifiutato di notificargli la citazione.
Ora invece il dibattimento si ferma, per chissà quanto tempo: qualche mese nella migliore delle ipotesi, ma quasi certamente si andrà oltre il decimo anniversario della scomparsa del ricercatore friulano rapito al Cairo il 25 gennaio 2016 e ritrovato cadavere sul ciglio di una strada, con evidenti segni di tortura sul corpo, il successivo 3 marzo.
Il nuovo stop ruota intorno alla testimonianza di Mohamed Abdallah Said, il sindacalista degli ambulanti cairoti che aveva filmato un incontro con Giulio su disposizione dei militari egiziani oggi accusati per il suo sequestro (e uno per l’omicidio). Tra le diverse traduzioni del verbale raccolto in Egitto sono state rilevate alcune discrepanze, e così la Corte ha deciso di ordinare una perizia per la versione definitiva.
A questo punto gli avvocati dei quattro imputati hanno fatto presente la difficoltà a nominare il proprio traduttore di fiducia,
che dovrebbero scegliere a proprie spese senza il «gratuito patrocinio»; ma quella possibilità è preclusa dall’assenza degli imputati. Di qui la denuncia di una «minorata difesa», condivisa ieri dalla Corte che l’ha recapitata alla Corte costituzionale.
Il colonnello egiziano Uhsam Helmi
Il procuratore aggiunto Sergio Colaiocco aveva sostenuto che l’eccezione di costituzionalità proposta dagli avvocati andava superata attraverso una «interpretazione costituzionalmente orientata» dell’articolo del codice di procedura penale che regola l’accesso alla difesa garantita dallo Stato per gli imputati senza sufficienti risorse economiche.
E per sostenere questa tesi s’era appellato alla precedente sentenza della Corte costituzionale (sollecitata in quel caso dal procuratore Francesco Lo Voi) che due anni fa rese possibile la celebrazione di un processo per reati gravi assimilabili alla tortura pur in assenza degli imputati, e senza la prova che fossero a conoscenza del processo a loro carico.
I giudici della Consulta stabilirono, in quell’occasione, che i quattro militari sotto accusa erano a conoscenza dell’indagine a loro carico ma non della richiesta di rinvio a giudizio, poiché le autorità egiziane non avevano dato seguito alle notifiche per rogatoria: una situazione incostituzionale, secondo la Corte, perché non si può consentire che l’ostruzionismo di uno Stato aderente alla Convenzione internazionale contro la tortura impedisca di giudicare propri cittadini accusati di quel reato.
Quindi via libera al processo con gli imputati assenti e difesi da avvocati d’ufficio, ferme restando tutte le garanzie del «giusto processo» e il diritto, se e quando decidessero di presentarsi, a chiedere di rifare il processo con la propria partecipazione.
Dentro questa cornice, secondo la Procura, si poteva concedere il «gratuito patrocino» agli imputati, e quindi la nomina di un consulente di fiducia per la perizia, ma lo Corte d’assise ha ritenuto di no: dunque stop al processo e parola nuovamente alla Consulta.
(da agenzie)
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