QUELLA POLITICA DELL’ODIO FIGLIA DELL’AMERICA
L’ECCESSO RANCOROSO E’ UNA MODA AMERICANA DI SUCCESSO, LA RIPROVA DI UNA EGEMONIA CULTURALE
L’ultimo video Donald Trump, con la corona da re, che pilota un caccia e sgancia letame sul corteo dei dimostranti “No King”, dovrebbe aprirci gli occhi sul dibattito sull’odio che si è da tempo acceso in Italia. Questa tanto indagata politica dell’odio, questo flusso dell’eccesso rancoroso e vendicativo, forse altro non è che una moda americana di successo, la riprova di una egemonia Usa mai tramontata anche sotto il profilo culturale.
Quando c’era Barak Obama la tendenza era essere piacevoli, giovanili, se possibile bravi ballerini, oratori impeccabili, e ci provarono un po’ tutti a risultare obamiani anche se nessuno c’è riuscito mai fino in fondo. L’amore che vince sull’odio era il mood del momento, adottato anche da Silvio Berlusconi che ci teneva a essere rappresentato come capo generoso e benevolo con tutti. Adesso la prepotenza conquista.
Nel secondo filmato di giornata Trump si rappresenta come Carlo Magno o forse Re Artù davanti a un gruppo di sudditi che piega il ginocchio e il capo sottomettendosi al sovrano. O l’inchino o la cacca in testa: il messaggio è molto chiaro. I Maga andranno in sollucchero. «Nelle urne la scelta è tra amore e odio» dice il candidato laburista che nella serie Slow Horses fronteggia un populista stile Nigel Farage. Siamo andati assai avanti, perché la scelta adesso sembra essere soltanto tra due tipi di odio. Quelli che odiano la destra che mette a rischio «la libertà e la democrazia» – come ha detto Elly Schlein dal palco dei socialisti europei – e quelli che odiano la sinistra perché è peggio di Hamas, secondo una celebre citazione di Giorgia Meloni. Nella terra di mezzo non esiste più niente. L’analisi politica ha convinto chiunque fa politica che il segreto del successo sia nella radicalizzazione del messaggio. In ordine, solo nell’ultimo mese: da destra la celebrazione di Charlie Kirk, una delle voci più estremiste del trumpismo.
Da sinistra la beatificazione di Francesca Albanese, capitana dell’oltranzismo palestinese. Da destra la richiesta di ergastolo per quelli della Flottilla per aver messo a rischio di guerra l’Italia. Da sinistra il capo del principale sindacato che dà della
cortigiana alla presidente del consiglio. Sembra un fenomeno nuovo, ma in America la spettacolarizzazione politica dell’odio è pane quotidiano da un pezzo. Fanno furore le sfide televisive tra gente che si odia, «Un conservatore contro 10 femministe» o «un progressista contro 20 conservatori di estrema destra», ma anche «scienziati contro terrapiattisti». I canali Youtube fanno soldi portando alla rissa squadre composte da coppie con figli o senza. Sono dibattiti in cui vale tutto, inneggiare a Hitler o chiedere la sterilizzazione degli avversari anche perché, a differenza dell’Europa e dell’Italia, l’America non prevede distinzioni tra il free speech e l’hate speech: i nazisti dell’Illinois possono andare in giro con le svastiche e volendo pure con i cappucci del Ku Klux Klan. Già è una fortuna non essere arrivati anche da noi alla guerra della cacca sui dimostranti o allo show «un meloniano contro dieci amici di Shlein». Ma la strada sembra quella, tantoché pure il vecchio dibattito sulla libertà di parola ne risulta travolto: al pubblico di destra il «cortigiana» di Landini non sembra simmetrico all’«orango» di Roberto Calderoli a Cecile Kyenge, e viceversa, perché quel che conta è la squadra in cui si guerreggia (e pure quella fino a un certo punto: il voto del Pd salvò il ministro leghista dal processo per istigazione all’odio razziale). A sinistra il «come Hamas» di Meloni non è percepito come il «destra bombarola» evocato da un giro di parole da Elly Schlein, anzi: il primo giustifica il secondo. Nelle candidature tutti cercano l’estremista che fa bandiera, quello che ha dato degli anormali ai gay, quella che ha inneggiato alle Brigate Rosse, la famosa okkupante di case, quello che sputa al cittadino troppo curioso. L’invito ad abbassare i toni viene rilanciato da
una fazione all’altra, ogni giorno, come un corpo contundente. E’ evidente che non ci crede più nessuno, nessuno ne ha l’intenzione, infatti lo show va avanti con successo. Un suo pubblico, evidentemente, ce l’ha.
(da La Stampa)
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