REGGIO CALABRIA, LA MARCIA DEI LAVORATORI DELLE TEDOPOLI: “SIAMO STANCHI DI MORIRE E FARCI TRATTARE DA SCHIAVI”
IL CORTEO CON 500 PERSONE A GIOIA TAURO DOPO L’ENNESIMA VITTIMA
Una manifestazione imponente, oltre 500 persone in marcia verso Gioia Tauro, che bloccano la provinciale, paralizzano il traffico.
Trattati da invisibili, hanno deciso di mostrarsi. Dopo l’ennesimo omicidio stradale costato la vita a Gassama Gora, bracciante maliano di 34 anni, travolto e ucciso da un automobilista che non si è neanche fermato a prestargli soccorso, i braccianti hanno deciso di dire basta.
Di fermarsi un giorno e di incrociare le braccia perchè — si legge in una lettera urlata al megafono prima di mettersi in cammino — “non vogliamo privilegi, non vogliamo aiuti, non vogliamo elemosine. Pretendiamo diritti e dignità ”.
Il corteo si muove rapido, è un fiume che dalla zona industriale va giù verso l’abitato. I cartelli rimediati da vecchie scatole gridano che “Anche la vita dei neri conta” e “Schiavi mai”, al megafono si rievocano i morti di emarginazione sociale, di ghetto, di freddo, di fatica, di incidenti degli ultimi anni. In testa, cammina anche il padre del 34enne ucciso. Una foto tra le mani, la disperazione sul viso.
“Noi possiamo andare a lavorare ovunque, ma chi raccoglierà le vostre arance? Chi pianterà i vostri ortaggi? Oggi nessuno di noi andrà al lavoro. Neanche un frutto verrà raccolto – si legge nella lettera – Vogliamo mostrare a chi tanto ci disprezza, a chi ci considera solo degli schiavi cosa sarebbe la Piana senza i lavoratori africani”. E la richiesta che a gran voce arriva dal corteo è di un incontro con il ministro del Lavoro, “perchè se moriamo bruciati nelle nostre tende o sui campi o mentre siamo in bicicletta è solo per le condizioni in cui siamo costretti a lavorare. Ma non siamo animali, non siamo bestie da soma” dice uno dei lavoratori in testa al corteo. E con le istituzioni locali? “No, con loro no. Basta tavoli, basta promesse. Ne abbiamo sentite troppe e non è mai stato fatto niente”.
Da decenni presenza fissa nella Piana di Gioia Tauro e vero motore dell’economia agricola della zona, i braccianti continuano a lavorare per lo più a nero per pochi spicci a cassetta o a giornata, impiccati a permessi di soggiorno provvisori dalla regolarizzazione monca e impossibile per i più prevista dal decreto Rilancio, da anni sono costretti a vivere in alloggi provvisori, tendopoli che avrebbero dovuto essere “soluzioni temporanee” e sono diventati bivacchi permanenti senza elettricità , nè servizi.
Assembramenti obbligati anche in periodo di Covid. Promesse rimaste sulla carta dei comunicati con cui sono stati annunciati anche i servizi di trasporto pubblico che avrebbero dovuto permettere ai lavoratori di spostarsi da e verso i campi.
“Migliaia e migliaia di persone sono costrette a muoversi dopo il tramonto per strade buie e pericolose. Eppure i pali dell’illuminazione ci sono ma sono sempre spenti. Eppure a pochi passi c’è un’area altamente sensibile come il Porto. Eppure la notte è buio pesto. E allora diventa facile domandarsi: è solo una scelta dettata da motivi economici o c’è altro dietro quel perenne black-out?” chiedono dal sindacato Usb.
Quello costato la vita a Gassama Gora è solo l’ultimo di una lunga serie di incidenti che hanno coinvolto i braccianti, più o meno casualmente — in passato è stato persino individuato e fermato un gruppo che intenzionalmente li braccava — travolti mentre su bici scassate si spostano per le strade della Piana.
“L’incidente è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso — dice Ruggero Marra di Usb – Le condizioni in cui i lavoratori sono e sono stati costretti a vivere, anche in piena pandemia, sono inaccettabili. La loro rabbia è comprensibile. Sfruttati nei campi, in mano a caporali che per costringerli a lavorare hanno tentato di convincerli che il Covid19 sia malattia da bianchi, obbligati a rischiare la vita ogni giorno per quattro spicci, costretti a vivere in ghetti, baraccopoli e tendopoli”.
Su alcune tende, blu istituzionale, si mostra orgoglioso il logo del ministero dell’Interno, sbiadito da anni di intemperie. Al pari dell’interesse ad ascoltare la voce di migliaia di lavoratori essenziali per l’economia agricola della zona e affrontare i loro problemi. Da tempo strutturali, ma che continuano ad essere trattati come emergenza.
(da agenzie)
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