RIFORME. LA PAROLA “SINISTRA” E’ ORMAI UNO SCIOGLI LINGUA, URGE UNA MORATORIA
QUANDO LE PAROLE DIVENTANO LISE E CONSUNTE, MOSTRANO L’USURA DEL TEMPO E’ MEGLIO CAMBIARLE
Quando le parole diventano lise e consunte, mostrano l’usura del tempo e i danni dell’uso scriteriato, è meglio cambiarle, o smettere di usarle. Se una parola vuol dire troppe cose, allora non vuole più dire niente, se chiunque può usarla a vanvera e interpretarla in un milione di modi, o tirarla di qua e di là a seconda della convenienza, finisce che genera solo confusione.
Direi che è il tempo di chiedere una moratoria di qualche anno sulla parola “Sinistra”, che risulta ormai la più grossa truffa in commercio dopo lo scioglipancia di Wanna Marchi, che almeno qualche speranza ai gonzi la dava, e la sinistra invece manco quello.
Basta una rapida occhiata all’eterna pochade italiana per rendersi conto di quanto sia intricata la matassa in un Paese dove si considera “di sinistra” Renzi, a volte persino Calenda, ma anche gli operai che chiedono il contratto scaduto da anni, ma anche i centri sociali, ma anche il Pd, sia quello di destra che quello di sinistra. È (sedicente) di sinistra Minniti che firma gli accordi con i libici perché tengano i migranti nei loro lager, e sono di sinistra le Ong che vanno a salvarli in mare quando quelli riescono a fuggire. È di sinistra chi ha scritto e votato il Jobs act, una legge contro i lavoratori, ed è di sinistra chi lo contesta, compresi i lavoratori, non tutti, perché molti, stufi di questo balletto delle millemila sinistre, hanno votato a destra.
Non passa giorno che qualcuno indichi questo o quello come fulgido esempio di sinistra, cosa che fanno soprattutto i furbetti della sinistra di destra. Esultanza scomposta a ogni passo, o dichiarazione, o decisione di leader che di sinistra non hanno nulla (per esempio Starmer, in Inghilterra, oggi bastonatissimo dai sondaggi dove si impone una sinistra vera, quella di Corbyn), e ieratica indicazione della via, sempre moderatissima, ovviamente. Dall’altra parte ci si arrampica sugli specchi per trovare parole più precise. Vera sinistra, oppure sinistra-sinistra,
oppure sinistra radicale. Non si sa più che fare per districare la matassa, ma ancora una volta ci pensa la sinistra rosé a risolvere il problema: generalmente chi dice cose di sinistra (o che un tempo sarebbero state sacrosantamente di sinistra, tipo ridurre le diseguaglianze, o migliorare la posizione delle classi meno abbienti) viene bollato come “populista” e morta lì. Altro vezzo divertente è di far seguire l’aggettivo “liberale” ad ogni parola di senso compiuto, per cui c’è una “sinistra” che continua a berciare di “democrazia liberale”, come se non essere liberali (parola superelastica, che va da Pinochet a Einaudi) impedisse di essere “di sinistra”. È di sinistra aiutare i ricchi, così staranno un po’ meglio i poveri, ed è di sinistra lottare per aumentare le tasse ai milionari. In parole povere è di sinistra tutto quanto fa costantemente a botte, in un testacoda perenne che genera mal di testa e giramenti di capo (oltre che di coglioni).
Si aggiunga che, secondo la destra, è di sinistra tutto quello che non è riconducibile direttamente alla destra, quindi abbiamo un Sala sindaco del cemento “di sinistra”, e comitati di inquilini che chiedono il diritto a un abitare decente, che però non possono opporsi troppo, cioè non possono essere troppo di sinistra, perché sennò “vince la destra”. In tutto questo trionfa l’imbarazzo e domina l’autoanalisi. Sei di sinistra? Boh, dipende.
Date retta, urge una moratoria, e intanto che si sviluppi la ricerca di altre parole, meno consunte, più sensate, meno scioglipancia alla Wanna Marchi.
Alessandro Robecchi
(da ilfattoquotidiano.it)
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