RIMBORSO DI 2.400 EURO PER LE PENSIONI DA 1.300 EURO: TUTTI I NUMERI DEGLI ARRETRATI
IL GOVERNO TUTELEREBBE SOLO GLI ASSEGNI TRE VOLTE SOPRA IL MINIMO
Il Signor Rossi, come circa 2 milioni di suoi colleghi, percepiva una pensione mensile di 1.639 euro lordi (circa 1.300 netti), un trattamento pari a tre volte e mezzo il minimo.
Arrivò la crisi degli spread e l’emergenza economica, e il governo Monti fu costretto a bloccargli per due anni, il 2012 e il 2013, l’indicizzazione al costo della vita.
Da allora il pensionato Rossi ha cominciato a perdere soldi: nell’intero 2012 ha ricevuto una pensione più bassa di 567 euro, nel 2013 ha perso ulteriori 630 euro per lo stesso meccanismo di mancata rivalutazione e ha cominciato a perdere altri 17 euro per effetto del “trascinamento” (se gli fosse stata corrisposta la perequazione che gli spettava l’anno successivo l’assegno sarebbe stato più alto perchè calcolato su una base maggiore).
In tutto i suoi arretrati, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 30 aprile scorso che ha bocciato la norma del 2011, e in caso di rimborso “pieno”, ammontano a 3.007 euro per i tre anni 2012-2014.
Alla somma dovuta dallo Stato al nostro pensionato per il pregresso si aggiunge, dal 2015, la maggiorazione che dovrebbe essere incorporata nella pensione come effetto dell’intero ricalcolo pari a 1.229 euro (compresi i 32 euro dei “trascinamenti”).
Il signor Rossi potrebbe presentarsi all’Inps e chiedere indietro 4.236 euro lordi
A fare chiarezza sulla complicata questione che da giorni rimbalza tra governo, Corte costituzionale e Bruxelles, è stato ieri l’Ufficio parlamentare di bilancio, guidato da Giuseppe Pisauro, che ha messo a disposizione i conteggi esatti su quanto hanno perso i pensionati sopra tre volte il minimo negli ultimi quattro anni per effetto del blocco delle indicizzazioni. Naturalmente la cifra è al lordo delle tasse: il Signor Rossi in questione dopo aver pagato l’Irpef, in caso di rimborso completo, si troverebbe in tasca circa 2.400 euro
Il rapporto dell’Upb non entra naturalmente nella strategia del governo, orientata a una restituzione parziale in omaggio all’indirizzo della Consulta volto a tutelare soprattutto i redditi più bassi, e si limita a considerare gli effetti di una ipotetica restituzione totale e integrale. Tuttavia, in base a quanto emerso dal dibattito e dalle indiscrezioni degli ultimi giorni, non è escluso che la scelta del governo possa tutelare in pieno i diritti dei pensionati con tre volte e mezzo il minimo tra i quali si colloca il Signor Rossi.
Il focus dell’Ups, contenuto nell’ampio “Rapporto sulla programmazione di bilancio 2015”, dà conto anche di quanto perso dai pensionati con redditi più alti: chi stava nel 2011 intorno ai 2.100 euro potrebbe aver diritto, in assenza di provvedimenti correttivi del governo, a circa 5.300 euro tra arretrati e maggiorazione nel 2015; chi si aggirava sui 2.500 euro avrebbe diritto in totale a circa 6.300 euro; chi aveva una pensione di oltre 4.000 euro potrebbe vantare circa 10 mila euro per i quattro anni in questione.
Se questi sono i diritti dei pensionati stabiliti dalla Corte, dall’altra parte ci sono le esigenze di rispettare le norme imposte dall’Unione europea e dalla nostra contabilità che rendono assai rischioso un rimborso complessivo che, per il solo quadriennio 2012-2015, sarebbe di 15 miliardi (secondo i dati emersi in questi giorni dalla vecchia relazione tecnica ai provvedimenti). Il primo problema al quale il Rapporto sulla programmazione di bilancio dà una risposta è quello della contabilizzazione degli arretrati e di quanto erogato nel 2015: Sec 2010 e Manuale attuativo Eurostat dicono che il momento in cui va imputata la spesa è quello in cui nasce un diritto «automatico e incontrovertibile» a ricevere l’importo, senza ricorsi di mezzo; dunque fa fede il giorno 30 aprile, data di pubblicazione della sentenza della Corte.
Così basterebbe un intervento di 8 miliardi (0,5 del Pil) per sfondare nel 2015 il 3% nominale, con conseguente procedura per disavanzo di Bruxelles.
E in questo caso si perderebbero anche i benefici della “clausola delle riforme” chiesta per il 2016.
Roberto Petrini
(da “La Repubblica”)
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