SACCOMANNI E IL MINISTERO DI HARRY POTTER
IL MINISTERO DELLE BUONE INTENZIONI CHE PROMETTE MA NON TAGLIA LA SPESA
Da quando è entrato in carica il governo di Enrico Letta non ha lesinato annunci.
Il ministro Fabrizio Saccomanni, in particolare, sembra presiedere uno di quei dicasteri che si trovano nei libri di Harry Potter.
Potremmo chiamarlo il Ministero delle Buone Intenzioni: privatizzeremo qualcosa, toglieremo l’Imu, non aumenteremo l’Iva, ridurremo la spesa, distribuiremo cioccolata e così via.
Il nodo cruciale però è uno solo: tagliare la spesa pubblica.
Ce lo continuano a dire tutti, il Fondo Monetario, la Ue, l’Ocse, e da ultimo Peter Praet, capoeconomista della Bce i quali, che ci piaccia o no, hanno più influenza sugli investitori nostrani ed internazionali di Vendola o Fassina: questo vuol dire che finchè non si vedranno passi decisi in quella direzione continueranno a permanere dubbi sulla solvibilità del nostro Paese, lo spread non diminuirà e gli imprenditori stranieri non varcheranno le Alpi.
Inoltre, senza lanciarci in diatribe stile Krugman-Resto del Mondo sugli effetti benefici o malefici dell’eccessiva spesa pubblica, per l’Italia la finanza allegra dal lato delle uscite negli ultimi 20 anni non ha certo portato fortuna, anzi.
A questo punto scattano i meccanismi giustificazionisti di chi afferma però che dire di decurtare le spese è giusto, ma insomma, alla fine proprio non si può toccare niente.
Il simbolo di questo fallimento politico ed intellettuale è probabilmente rappresentato dall’ex ministro Pietro Giarda il quale sembra aver passato molti anni ad esercitarsi con la spending review per giungere ad un nulla di fatto.
Un’altra affermazione che si sente spesso è che se non fosse per gli interessi sul debito la nostra spesa pubblica sarebbe uguale alla media degli altri Paesi europei.
Orbene, l’Europa non è un bell’esempio di crescita e peraltro gli unici che hanno tassi di sviluppo ragionevoli sono nazioni che han tagliato le spese come Germania e Svezia, e comunque gli interessi sul debito esistono e non spariranno solo lamentandosene.
Eppure, in un bilancio statale che prevede 810 miliardi di uscite c’è sicuramente molto da tagliare da subito. Se pensassimo ad una riduzione per il 2014 equivalente all’1% del Pil si libererebbero risorse pari a 16 miliardi.
Da dove cominciare?
In primis dai sussidi alle imprese che ogni anno ammontano a circa 33-35 miliardi di euro.
Secondo lo studio di Giavazzi-Schivardi, commissionato dal governo Monti, circa 10 miliardi sono immediatamente eliminabili, in quanto forniti ad imprese che operano senza oneri di servizio pubblico.
In realtà si potrebbe agire anche su molto del resto: i pesanti contributi alle imprese di trasporto, ad esempio, derivano dalla mancanza di concorrenza, prezzi irrealistici del servizio e inefficienza.
Per farla breve, ammettiamo di non poter eliminare subito tutti i 10 miliardi in quanto molti escono dai rivoli delle amministrazioni locali e diamoci come obiettivo 6,6 miliardi, i 2/3.
Se poi il governo tagliasse l’Irap di 10 miliardi, misura molto più utile di altre, risparmierebbe incredibilmente 3 miliardi. Il 30% del gettito è infatti di provenienza delle pubbliche amministrazioni anch’esse soggette alla tassa.
Se vengono approvati gli interventi in materia di eliminazione dei finanziamenti ai partiti politici e ai loro giornali, riduzione dei parlamentari e dei loro stipendi, delle spese delle Camere, degli organi istituzionali (inclusi ambasciate e rappresentanze estere delle Regioni), si possono risparmiare tranquillamente 400 milioni.
Le stime (ultima quella di Andrea Giuricin per l’Istituto Bruno Leoni) dei benefici sull’eliminazione delle province si aggirano sui 2 miliardi, ma prevedendo che per fine del 2014 non si arrivi alla fine dell’iter e ci siano costi di transizione attestiamoci ad 1 miliardo.
Secondo i calcoli del giornalista economico Cobianchi ci sono ancora 3127 “enti inutili” che ci costano 7 miliardi l’anno e 7.000 società controllate da enti locali che solo di amministratori (24.000), revisori dei conti et similia incidono per 2,5 miliardi. Basterebbe fondere il 25% di tali società (e da qui a fine 2014 si può fare, basta la volontà politica) e accorpare o eliminare un quarto degli enti inutili e risparmieremmo, magari eliminando nel frattempo la Motorizzazione civile che fa più o meno le stesse cose dell’Aci, altri 2,5 miliardi.
Procedendo alla vendita di beni pubblici, imprese ed immobili, per 20 miliardi, risparmieremmo 1 miliardo di interessi (anche se lo Stato riceverebbe meno dividendi) e con ogni probabilità ne avrebbe un benefico effetto lo spread, in quanto il debito pubblico italiano verrebbe considerato più sostenibile.
Ricordiamo che lo 0,1% di tasso di interesse in meno equivale a 2 miliardi di euro l’anno.
Ceteris paribus, la cessione di beni combinata a uno spread minore dello 0,1/0,15% sono circa altri 2,5 miliardi tendenziali.
Ecco, siamo arrivati a 16 miliardi senza nemmeno cominciare a razionalizzare la spesa per acquisti delle Pubbliche amministrazioni, la sanità , i dipendenti pubblici (alcuni dei quali godono di ampi privilegi) o accorpare le migliaia di inutili comuni sotto i 5000 abitanti (sono quasi 6000!).
Le pensioni, poi, rappresentano ancora il 16% del Pil, la riforma Fornero è un palliativo che anche nel futuro le porterà a livelli di incidenza sul Pil molto alti. Dimentichiamoci, poi, i falsi invalidi e tutto quanto rappresenta lotta a sprechi e corruzione che dovrebbe essere intrapreso da qualsiasi governo di buon senso.
Se si cominciassero ad emanare provvedimenti seri in questi settori qualche effetto benefico ci sarebbe nel 2014, il resto negli anni a venire.
Ridurre la spesa, risparmiando sui costi di intermediazione e lasciando direttamente in mano i soldi a imprese e cittadini si può, basta volerlo.
E nemmeno c’è bisogno del Ministero della Magia.
Alessandro De Nicola
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