SALVINI, GIORGETTI E IL DEJA’ VU DEL “CHE FAI, MI CACCI?”
L’ULTIMO SPROLOQUIO DI UN DISPERATO: “GIANCARLO SI E’ MESSO A FARE IL FINI DELLA LEGA”… IL TIMORE NELLA LEGA E’ CHE NEL CASO MORISI SPUNTI IL NOME DI SALVINI
Dopo un lungo giro di telefonate, dalle parti di Salvini, la sensazione è quella di déjà vu, di quelli ti fanno sentire giovane assai, soprattutto quando chi ne ha raccolto sfoghi, retropensieri, ragionamenti amari, consegna al cronista questa frase, attribuendola al Capo: “Giorgetti si è messo a fare il Fini della Lega”.
E cioè: “Si è messo in testa di offrire lo scalpo di Salvini al partito di Draghi, come Fini offrì quello di Berlusconi alla sinistra”.
Ecco, prima ancora del dibattito sulle differenze (storia, caratteri, ambizioni) dei protagonisti – Salvini e Berlusconi, Giorgetti e Fini – la prima cosa che colpisce – e giustifica la sensazione di ritorno alla giovinezza – è una certa sindrome di “accerchiamento” che si respira. Al tempo stesso politica e giudiziaria.
Perché, prima ancora del merito della questione, è il timing dell’inchiesta su Luca Morisi ad essere percepito come sospetto. Non a caso, dopo il silenzio iniziale, il leader della Lega si è messo a parlare di “processo politico” e i giornali del centrodestra hanno menato la gran cassa, evocando il riflesso d’antan sulla giustizia a orologeria a pochi giorni dal voto.
Poi però c’è il merito, e il clima torbido attorno alla faccenda, con una ridda di voci su vizi privati, festini, potenziali sviluppi dell’inchiesta, attorno a cui si sbizzarrisce la fantasia dei dietrologi.
Stiamo ai fatti, ovvero alla difesa senza se e senza ma, da parte di Salvini, dell’inventore della bestia, anzi all’ordine di scuderia: “Difendetelo”.
Ordine che racconta non solo il classico doppio standard tra ciò che accade a sé e il trattamento riservato agli altri – cosa avrebbe fatto appunto la Bestia se l’indagine in questione avesse coinvolto un avversario politico? – ma anche di un colpo arrivato ad entrambi. Al cuore del salvinismo.
Sempre per stare nel déjà vu, una volta quel gran furbone di Denis Verdini ebbe a dire a Silvio Berlusconi, in occasione della loro separazione politica, che non potevano non rimanere in buoni rapporti, con una folgorante battuta da toscanaccio: “Suvvia Silvio, dopo tutti gli omicidi (politici, s’intende, ndr) che abbiamo fatto assieme”.
E infatti tra i due non si è mai registrata una sola parola velenosa. Vale anche per “Matteo” e “Luca”, a cui sono stati setacciati telefoni e computer.
E per questo in parecchi, fuori e dentro la Lega, si sentono autorizzati a pensare che prima o poi, chissà a che proposito, spunti il nome di Salvini perché, si sa, che le inchieste sono dei colabrodi.
Magari sono solo fantasie o illazioni, ma danno l’idea del clima.
Giorgetti, dicevamo, proprio qui, proprio ora, nel giorno dell’inchiesta e in piena tensione da amministrative. Cioè nel momento di massima vulnerabilità del leader leghista, affannato a saltare da un palco all’altro per limitare danni elettorali annunciati.
Stavolta la questione è seria, e anche paradossale perché la perfida uscita del Richelieu leghista almeno per un giorno ha avuto l’effetto di ricompattare tutti, sia pur contro di sé.
Il cronista è autorizzato a scrivere che la telefonata tra i due non è servita a chiarire: “questa non passa facilmente”, “è un vulnus politico e umano”, “Giancarlo non ha più neanche l’alibi della buona fede”, perché non di distinguo si tratta, ma di una trama alternativa: l’idea cioè di offrire lo scalpo di Salvini, per presentarsi come volto “presentabile” della Lega che piace “al sistema e alla sinistra”.
È chiaro che, in un clima di accerchiamento, proliferano le ipotesi più o meno complottarde, come quella secondo cui il disegno di Giorgetti sarebbe: Draghi al Colle, voto per poi ottenere un incarico, in un quadro di maggioranza risicata. Boh, chissà.
Prima ancora del “se” e del “come” conta quel che sta accadendo, che squarcia il velo dell’ipocrisia sull’“inesistenza delle due Leghe”, il “siamo tutti d’accordo”, insomma neanche la facciata si salva.
La questione politica di fondo è deflagrata, tra i due e giù pe’ li rami, a giudicare dai toni che si registrano nel chat interne. E se la questione è già deflagrata a prescindere da come andrà domenica, se domenica andrà che sul voto di lista Salvini si ritroverà dietro alla Meloni, in parecchi daranno ragione al capogruppo alla Camera Riccardo Molinari che, in privato, ha già recapitato il warning: “Così i gruppi non tengono”.
E non sarà più questione di vaccini e Green Pass, ma le antenne parlamentari registrano una crescente insofferenza proprio sul governo, ben oltre i soliti Borghi e Bagnai. Che rende per nulla peregrina la domanda che rimbalza nei Palazzi della politica: “Fino a quando Salvini la reggerà?”. Bella domanda.
(da Huffingtonpost)
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