SARAJEVO, I “CECCHINI DEL WEEKEND” CHE PAGAVANO PER SPARARE A DONNE E BAMBINI
IL SISMI SAPEVA., SI MESCOLAVANO A CHI PORTAVA AIUTI DA MILANO
I servizi segreti italiani sapevano dei cecchini, connazionali, che pagavano per poter sparare
sui civili di Sarajevo. Lo sostiene un testimone: «I servizi bosniaci hanno saputo del Safari alla fine del 1993. Tutto questo è successo nell’inverno tra il ‘93 e il ‘94. Abbiamo informato il Sismi all’inizio del 1994». La risposta del Sismi arriva dopo due mesi ed è significativa: «Abbiamo scoperto che il Safari parte da Trieste. L’abbiamo interrotto e il Safari non avrà più luogo». A parlare è un ex 007 dell’intelligence bosniaca, E. S., in cima alla lista dei testi che la procura di Milano sta per convocare per accertare quanto accaduto durante l’assedio della capitale bosniaca, tra il ‘92 e il ‘96. Quando anche gruppi di italiani – è l’ipotesi investigativa – avrebbero preso parte al turismo di guerra: pagare per poter uccidere civili inermi dalle colline di Sarajevo.
Dopo quel carteggio, secondo la fonte, non se ne parlò più, almeno tra le due intelligence che comunque avevano «rapporti frequenti». Da allora, aggiunge l’ex spia, «il servizio bosniaco non ebbe più informazioni sul fatto che il Safari si ripetesse a Sarajevo. Non abbiamo ottenuto dal Sismi i nomi dei cacciatori
degli organizzatori – ha aggiunto – ma dovrebbe esserci un documento del Sismi che attesta che a inizio ‘94 a Trieste hanno scoperto la base di partenza e interrotto l’operazione».
Nell’inchiesta milanese, portata avanti dal pm Alessandro Gobbis, si indaga oggi per omicidio aggravato dalla crudeltà e dai motivi abietti. Per provare a rintracciare chi, «almeno cinque» ma si ha contezza di un maggior coinvolgimento, partisse il venerdì da Milano, Torino, il Veneto, il Friuli, per raggiungere Trieste, poi in volo a Belgrado, e in elicottero o via terra sulle colline di un teatro di guerra con l’aiuto, oliato da quattrini, di parti dell’esercito serbo. Ex imprenditori, medici, mercenari, allora 40-50enni, con la passione per le armi, la caccia, il poligono. Come ben raccontato nel documentario Sarajevo Safari dello sloveno Miran Zupanic.
In certi casi, si ipotizza nell’inchiesta scaturita dall’esposto dello scrittore Ezio Gavazzeni supportato dagli avvocati Nicola Brigida e Guido Salvini, i cecchini italiani si sarebbero avvalsi anche di una copertura umanitaria. Quella della spedizioni di aiuti, anche provinciali, che partivano dal Milanese per portare soccorsi e conforti alla popolazione in guerra.
Un’organizzazione, laggiù, da tenere sotto traccia. «Ancora oggi, i testimoni sono sottoposti a pressioni da parte dei servizi serbi per mantenere segreta l’intera operazione – aggiunge l’ex 007 bosniaco – Nel film era prevista un’intervista con un pilota che trasportava i “cacciatori” da Belgrado alla BiH, ma prima delle riprese ha rinunciato perché gli agenti della Bia (intelligence
serba, ndr) hanno minacciato di uccidere tutta la sua famiglia».
Si è detta intanto disponibile a testimoniare l’ex sindaca di Sarajevo, Benjamina Kari?. «Nell’agosto scorso – dice – ho inoltrato una denuncia penale alla procura di Milano, tramite l’Ambasciata d’Italia a Sarajevo, che ha avviato un’indagine e mi sono resa disponibile a testimoniare». È lei a chiedere – in attesa che Sarajevo si costituisca parte offesa nel procedimento – che «si indaghi e si consegnino alla giustizia i responsabili. Coloro che, secondo un ufficiale dei servizi segreti sloveni, per sparare a un bambino pagavano di più. Parole ascoltate dagli stessi autori: ricchi stranieri amanti di imprese disumane». L’ex sindaca sostiene che «un’intera squadra di persone instancabili sta lottando affinché la denuncia non rimanga lettera morta. Non ci arrendiamo».
(da Repubblica)
Leave a Reply