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SOLDI SPRECATI E PROCEDURE D’INFRAZIONE

COSI’ L’ITALIA BUTTA UN MILIARDO DI EURO IN MULTE UE

Un miliardo e tre milioni di euro. È quanto l’Italia ha pagato finora in sanzioni all’Unione europea per non essersi adeguata alle regole comunitarie, nonostante i moniti di Bruxelles, ripetuti per anni. Andiamo con ordine: 27 Stati aderiscono alla Ue decidendo insieme le leggi, condividendone obblighi e benefici. Ogni Stato, quindi, è tenuto ad accogliere le direttive Ue fra le proprie leggi nazionali, entro due anni al massimo, e a rispettarle. Chi non lo fa finisce nel radar della Commissione, che può aprire una procedura di infrazione. La Costituzione italiana (artt.11 e 117) riconosce il primato del diritto europeo su quello nazionale, ma il nostro Paese è tra quelli che contano più procedure d’infrazione in Europa.
Iter e tempi di una procedura
Fra i primi avvisi di Bruxelles e una condanna possono passare anche 20 anni. La pratica inizia con una lettera di messa in mora dove la Commissione concede due mesi per rispondere. Segue una lettera di «parere motivato», con cui si precisano altre richieste. Bruxelles collabora, perché ha tutto l’interesse ad evitare lo scontro. Se lo Stato continua a non seguire le indicazioni della Commissione, c’è un primo deferimento alla Corte di Giustizia Ue. A quel punto, se non ti adegui, la Corte emette una seconda sentenza con la quale può decretare sanzioni economiche forfettarie e/o giornaliere finché il Paese non si mette in regola. Nel caso in cui lo Stato decida di non pagare, l’Unione si rifà riducendo gli importi dei fondi comunitari destinati al Paese in questione.
I casi in Italia e in Europa
L’ultimo aggiornamento è del 28 settembre 2023: le procedure aperte contro i Paesi membri sono 1.724. In testa la Spagna con 95, seguita da Belgio (94), Bulgaria (92), Grecia (90) e Polonia (83). I Paesi che ne hanno di meno sono Estonia (39), Lituania (40), Finlandia (45). L’Italia conta 80 infrazioni di cui 63 per violazione del diritto Ue e 17 per mancato recepimento di direttive. Le infrazioni vanno dal mancato adeguamento dei livelli di sicurezza delle gallerie (la direttiva 2004/54/CE prevede per i tunnel superiori a 500 metri uscite d’emergenza, colonnine di soccorso, livelli di ventilazione e illuminazione adeguati) all’eccessivo ricorso ai contratti a termine nel settore pubblico (la procedura del 2018 condanna l’utilizzo abusivo per diverse categorie di lavoratori tra le quali insegnanti e personale amministrativo) fino allo scorretto recepimento della direttiva antiriciclaggio.
Il primato italiano
Se consideriamo invece le infrazioni finite davanti alla Corte di Giustizia l’Italia è al primo posto con 23 procedure in contenzioso, davanti a Grecia (19), Polonia (17) e Ungheria (15). Tra le infrazioni italiane arrivate davanti alla Corte c’è di tutto: l’esenzione dalle accise sui carburanti degli yacht a noleggio (la normativa europea impone lo sconto solo per le imbarcazioni usate a fini commerciali come pescherecci e traghetti e non per chi affitta barche a uso personale); il superamento dei valori limite di PM10 nell’aria delle città italiane, il ritardo dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione verso i fornitori (la direttiva 2011/7/EU prevede un limite di 30 giorni per il saldo delle fatture, ma i nostri tempi medi si attestano ancora sui 70 giorni nel 2022) e il recupero dei prelievi arretrati sulle quote latte.
I Paesi più sanzionati
Tra i Paesi che hanno ricevuto più condanne a pagare sanzioni dalla Corte Ue solo la Grecia con 12 infrazioni fa peggio dell’Italia. Noi siamo secondi insieme alla Spagna con 6 condanne, seguono Irlanda (4), Francia, Belgio e Portogallo (3). Ma a quanto ammontano queste multe? Per calcolarle i giudici considerano non solo la gravità dell’infrazione, ma anche il Pil e la popolazione del Paese sanzionato.
Quanto stiamo pagando
Tra le condanne definitive che hanno procurato all’Italia esborsi imponenti, 3 sono legate al settore dell’ambiente , 2 agli aiuti di Stato e una agli aiuti irregolari concessi alle aziende (Corte dei Conti, relazione annuale 2021, pag.90). La condanna più pesante riguarda i rifiuti della Campania. La procedura è stata aperta nel 2007, abbiamo fatto finta di niente, e nel 2015 è partita la sanzione per la quale l’Italia ha già pagato 311 milioni di euro. E ancora oggi, a 8 anni di distanza, la Regione non ha completato una rete integrata di impianti di smaltimento. La conseguenza è che il nostro Paese continua a sborsare 60 mila euro al giorno. Restando in tema: è partita nel 2014 la condanna per 200 siti di discariche abusive disseminate su tutto il territorio nazionale (la procedura era stata aperta nel 2003): ad oggi sono già stati versati 261,8 milioni di euro. C’è da dire che la situazione è migliorata dopo la nomina, nel 2017, del commissario unico alle bonifiche: restano da risanare 18 siti e la multa semestrale è passata dagli iniziali 42,8 milioni di euro a 4 milioni. Nel 2018 è la volta dei Comuni che hanno le fogne senza i depuratori: 123 mancati interventi in 81 agglomerati, prevalentemente dislocati in Sicilia, Calabria e Campania. L’Italia è stata condannata al pagamento di 165 mila euro al giorno e sono stati già versati 142.867.997 euro. Cosa abbiamo fatto in questi cinque anni? Sono stati resi conformi solo 15 agglomerati, per quel che riguarda gli altri è come se 4,5 milioni di persone riversassero le loro fogne nei fiumi, nei canali, o in mare. Ma quanti sistemi di depurazione si mettevano a terra con 165 mila euro al giorno?
Le sanzioni per gli aiuti di Stato
Nel 2015 ci siamo beccati la condanna per il mancato recupero di 73,6 miliardi di lire (l’equivalente di 38 milioni di euro) di benefici contributivi impropri concessi tra il 1995 e il 1997 a 1.800 imprese nel territorio di Venezia e Chioggia. La vertenza si è chiusa lo scorso marzo, ma intanto l’Italia ha dovuto pagare sanzioni per 158,9 milioni di euro. La rassegna continua con la multa per gli aiuti concessi dall’Italia – in forma di sgravi contributivi – per favorire l’occupazione negli anni 1997-98. Le regole comunitarie permettevano agevolazioni alle imprese che su tutto il territorio nazionale assumevano disoccupati under 25 e laureati con meno di 29 anni. Ma l’Italia ha differenziato gli sgravi a seconda delle zone del Paese e li ha concessi anche a chi ha assunto over 29. Per questo sono già stati pagati 80 milioni di euro. Infine, la sanzione per gli aiuti di Stato (13,7 milioni di euro) agli alberghi della Regione Sardegna. La sentenza è di marzo 2020: pagati finora 47,9 milioni di euro. Il dossier del Senato «Relazione sull’impatto finanziario degli atti e delle procedure giurisdizionali e di precontenzioso con l’Unione europea» pubblicato ad aprile ufficializza il totale delle sanzioni già versate: «Hanno superato il miliardo di euro». Purtroppo, non ci fermiamo qui perché l’Italia per almeno altre 6 procedure sta rischiando condanne a breve, fra queste la violazione della direttiva europea 2004/18/CE per la proroga senza gara della concessione autostradale Civitavecchia-Livorno alla società SAT.
Il rischio balneari all’orizzonte
Per scongiurare nuove multe il governo Meloni ha approvato a giugno il «decreto salva infrazioni», che ha per obiettivo la chiusura di 13 procedure e la prevenzione di altre 11. La norma interviene tra l’altro per mettere fine a quella sulle emissioni inquinanti dell’ILVA di Taranto, prevedendo progetti di decarbonizzazione necessari a ridurre l’impatto ambientale.
Nulla di fatto, invece, sull’eterna storia degli stabilimenti balneari. Dal 2009 Bruxelles ci chiede che le concessioni delle spiagge vengano messe a gara, per rispettare il principio della libera concorrenza, sancito dalla direttiva Bolkestein del 2006. Dopo un lungo tira e molla, il 3 dicembre 2020 è partita la procedura d’infrazione. Il Ddl Concorrenza approvato dal governo Draghi prevedeva di risolvere la questione entro quest’anno, ma il governo Meloni ha detto no: se ne parlerà a partire da gennaio 2025.
Certo che se lo Stato, pur di continuare ad incassare pochissimo da queste concessioni, è disposto a far pagare a tutti noi pure le sanzioni, è davvero indigesto.
(da Il Corriere della Sera)

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