SPARISCE IL FONDO TAGLIA-TASSE: “PER ORA MEGLIO EVITARE TESORETTI” LA SCELTA DI MONTI
IL PREMIER LO CANCELLA IN EXTREMIS PER IL TIMORE DI CREARE TROPPE ASPETTATIVE E DI FAR NASCERE MOTIVI DI SCONTRO TRA I PARTITI… A SORPRESA INSERISCE INVECE L’IMU ALLA CHIESA
Dopo ore di discussione, con il Consiglio dei ministri che si protrae fino alle dieci di sera, è Monti a tagliare la testa al toro.
Via quell’articolo dal decreto legge: il fondo per la riduzione delle tasse, da alimentare con i proventi della lotta all’evasione, si farà (forse) ma non ora. Non tutti i ministri erano d’accordo, tuttavia per il premier il rischio dell’operazione stava diventando troppo alto: “Ho paura – ha spiegato infatti il capo del governo durante il consiglio dei ministri – che se creiamo la mistica del “tesoretto” alla fine si alimentano aspettative e appetiti che non possono essere soddisfatti”.
Appetiti dei ministri, certamente. Ma quelli Monti è in grado di gestirli senza ansie.
È soprattutto ai partiti che pensava il capo del governo quando ha deciso di cancellare la norma.
Nell’esecutivo, del resto, molti osservano che le elezioni amministrative sono alle porte e tra un anno ci sarà la campagna per le politiche.
Appuntamenti in vista dei quali i partiti sono pronti a scatenarsi.
Anche perchè le stime parlavano di un gruzzolo da diversi miliardi di euro. Mai calcolato con precisione, ma negli anni 2006-2010 la cifra che i governi hanno pensato di ottenere dalla lotta all’evasione è stata pari a 63 miliardi di euro.
Oltre 12 miliardi all’anno, una cifra enorme. Il Professore teme quindi che con il Fondo tutti possano pensare che le risorse si moltiplichino all’infinito.
Il “tesoretto” dunque avrebbe destabilizzato la maggioranza, scatenando liti a non finire tra i partiti e, forse, anche all’interno del governo.
E tuttavia per Monti il problema più serio sarebbe stato fuori dai confini.
“Ci muoviamo su un sentiero ancora troppo stretto – fa notare un ministro – e il rischio di non centrare la meta purtroppo ancora esiste. Come dice Monti: è vero che ci siamo allontanati dal ciglio, ma il baratro è ancora davanti a noi”. Insomma, ha prevalso l’imperativo del risanamento.
Ogni euro in più, per ora, dovrà essere messo a bilancio per raggiungere il pareggio. In Europa, ma soprattutto sui mercati, se Roma iniziasse di nuovo a fare la cicala sarebbe annullato d’un colpo quel “tesoretto” di credibilità accumulato a caro prezzo da Monti in questi primi 100 giorni.
“Non ce lo possiamo permettere”.
A costo di scontentare i leader della maggioranza, che nell’ultimo vertice gli avevano chiesto in maniera corale di “dare un segnale” sulla riduzione delle tasse.
Per Monti, quindi, l’obiettivo rimane, ma ancora è troppo presto: se ne riparlerà quando effettivamente l’esecutivo sarà in grado di sapere gli incassi dall’evasione.
Senza contare che il premier ci tiene a seguire un percorso di “serietà ” con atti “concreti” e non per “apparire”.
E tuttavia il problema del fondo “abbassa-tasse” non è l’unico che ha impegnato ieri il premier.
È un momento difficile per il governo – con il decreto sulle liberalizzazioni bersagliato dalle lobby al Senato e la riforma del lavoro frenata dall’ostilità dei sindacati – e Monti ha cercato di nuovo la sponda del Colle.
Le due ore passate ieri dal premier al Quirinale sono servite non solo a illustrare il decreto sulle semplificazioni fiscali ma, soprattutto, a spiegare la ragione di quell’emendamento sull’Imu alla Chiesa presentato in Senato.
Una mossa che sembrava contraddire la lettera spedita proprio il giorno prima da Napolitano alle Camere e al governo per evitare di ingolfare i decreti con emendamenti fuori contesto.
Niente affatto, ha detto Monti al capo dello Stato, la questione dell’Imu rientra perfettamente nella materia del decreto sulle liberalizzazioni.
Non a caso, nel comunicato di palazzo Chigi, si rivendica la “stretta attinenza” della norma “ai temi della concorrenza, della competitività e della conformità al diritto comunitario, che sono alla base del decreto”.
Napolitano si è trovato d’accordo. E ne ha discusso anche con i presidenti delle Camere. Un triangolazione istituzionale che viene confermata anche dall’entourage di Schifani.
“L’ammissibilità della proposta emendativa – dicono da palazzo Madama – non contrasta affatto con i criteri richiamati dal presidente della Repubblica”. Quanto al decreto, per Monti è stata una mossa obbligata: la condanna di Almunia sarebbe arrivata a maggio, con il rischio di dover chiedere al Vaticano gli arretrati Ici degli ultimi 5 anni.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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