STRAGE DI CUTRO, OLTRE 40 ASSOCIAZIONI PRESENTANO UN ESPOSTO ALLA PROCURA DI CROTONE
DIVERSE SIGLE ITALIANE ED EUROPEE CHIEDONO GIUSTIZIA
Ong che fanno salvataggio in mare come Sea Watch, Sea Eye, Sos Mediterranée, Open Arms, associazioni territoriali, comitati e reti, organizzazioni come Medici senza frontiere, Medici del mondo, Alarm phone, Mem. Med, Oxfam, il sindacato Usb. Sono oltre quaranta le sigle italiane ed europee che hanno sottoscritto e depositato un esposto alla procura di Crotone chiedendo che si indaghi sulle falle nella catena di soccorsi che hanno portato al drammatico naufragio di domenica 26 febbraio a Steccato di Cutro.
“Riteniamo – si legge nelle carte – che sia necessario che siano condotte indagini accurate in relazione anche alle possibili responsabilità penali delle autorità italiane, il cui operato suscita inquietanti interrogativi”. E i reati che a detta dei firmatari si potrebbero configurare e su cui è necessario indagare sono diversi e gravissimi: omissione di soccorso, omissione di atti d’ufficio, naufragio colposo, omicidio.
La contestazione è principalmente una ed è chiara: “V’è fondata ragione di ritenere che il naufragio avvenuto al largo delle coste calabresi fosse evento prevedibile alla luce delle informazioni comunicate da Frontex ed evitabile se solo la normativa nazionale ed internazionale in tema di soccorsi in mare fosse stata puntualmente applicata da parte delle autorità a ciò preposte”.
Accuse pesanti, sostenute con un esposto dettagliato in cui, punto per punto, si mettono in fila eventi, comunicazioni e omissioni che hanno condannato quel vecchio caicco a raggiungere in autonomia la costa calabrese, nonostante le pessime condizioni del mare. Gli esiti sono noti: 72 morti accertati e un numero ancora imprecisato di dispersi. Per le associazioni, appare necessario appurare perché il centro di coordinamento e soccorso della Guardia Costiera di Roma, “pur informato da Frontex della presenza in prossimità delle coste del natante con un numeroso carico umano sottocoperta e apparentemente privo dispositivi di protezione individuale, non abbia assunto il coordinamento ed inviato assetti navali ed aerei al fine di approfondire il quadro e valutare l’esigenza del soccorso”.
Gli elementi per identificare quel caicco come “imbarcazione in difficoltà (distress)”, si spiega nell’esposto, c’erano tutti: assenza di giubbotti di salvataggio, significativa risposta termica dalla stiva e boccaporti aperti, segno che lì sottocoperta c’era gente che aveva bisogno di respirare, condizioni meteo in peggioramento. E poi, si ricorda nell’esposto, ventitré ore prima del naufragio la stessa Guardia Costiera aveva segnalato la presenza di una possibile imbarcazione in distress nello Jonio, chiedendo a tutte le navi in transito di attivare la sorveglianza attiva e comunicare qualsiasi novità al riguardo.
Per i firmatari, anche solo per questo, quando la segnalazione Frontex è arrivata sarebbe stato necessario “un immediato invio di mezzi da parte della Guardia Costiera che già coordinava l’evento SAR 384, non potendosi escludere, invero, che l’avvistamento di Frontex riguardasse la medesima imbarcazione”.
Tutti elementi da chiarire per associazioni e ong che hanno sottoscritto l’esposto, che nel testo ricordano non solo le numerose norme internazionali che regolano e obbligano al soccorso in mare, ma anche la recente sentenza del tribunale di Roma sul tragico naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa, costato la vita a 268 persone.
“La dolosa omissione ascritta ai pervenuti” Luca Licciardi (capitano di Fregata della Marina Militare) e Leopoldo Manna (capitano di vascello delle capitanerie di porto) “ha comportato” – si legge in quella pronuncia – “la morte dei migranti e dunque sussistono gli elementi costituitivi di tutti i reati ascritti” (omicidio colposo e omissione di atti di ufficio) “che, dato il tempo trascorso, sono estinti per intervenuta prescrizione”.
Circostanze in parte sovrapponibili a quanto avvenuto davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro. Ma con un’aggravante: il naufragio che domenica 26 febbraio è costato la vita a 72 persone è avvenuto in acque su cui l’Italia ha competenza. “Davanti a così tanti morti e chissà quanti dispersi, è doveroso fare chiarezza”, fanno sapere le quaranta associazioni, che chiedono alla procura di Crotone – che sul naufragio ha già aperto due fascicoli – di approfondire gli specifici aspetti segnalati. Un’altra indagine è stata aperta a Roma, dopo la presentazione di un ulteriore esposto firmato da Ilaria Cucchi e altri parlamentari.
Ma fare giustizia, ricordano le 40 sigle, non basta per fermare le morti nel Mediterraneo. “Per ridurre drasticamente il rischio di nuove tragedie è necessario mettere in piedi al più presto un sistema di ricerca e soccorso in mare adeguato e proattivo”. Che al momento non c’è.
(da agenzie)
Leave a Reply