SUI DAZI MELONI E L’UE HANNO PERSO TUTTO, ANCHE L’ONORE
LA PREMIER PARE UNA PROPAGANDISTA DI TRUMP CHE VUOL CONVINCERE GLI ITALIANI A DIGERIRE IMPOSIZIONI CHE LEI STESSA NON E’ STATA CAPACE DI CONTRASTARE
Le guerre dei dazi di Donald Trump sono globali. E sono calibrate rispetto al nemico e quindi differenziate. Il come vengono calibrate, ci fa comprendere la sua strategia imperiale, per nulla folle o clownesca.
Trump sta usando le tariffe con tre propositi, elucidati dai suoi vari comunicati e post: fare cassa con il commercio estero per poter diminuire le tasse ai suoi amici oligarchi senza mandare a gambe all’aria il bilancio del suo paese; indebolire le economie più forti e che sono direttamente competitive degli Stati Uniti; e facilitare questi due piani mettendo i paesi daziati l’uno contro l’altro. Le sue guerre sono due, una direttamente combattuta e una (questa sì) per procura, scatenata tra i suoi subalterni. Un esempio illustra questa triplice strategia.
I dazi sul vino
Imporre dazi del 15 per cento sul vino importato dall’Italia intende non solo fare cassa a spese dei nostri produttori e lavoratori e, magari, estendere la produzione americana, ma soprattutto e nel frattempo indebolire la produzione italiana mettendola contro i suoi concorrenti diretti ma più deboli, i quali non aspirano ad altro che a rafforzarsi a spese del più grande produttore (come lo è l’Italia, seconda solo alla Francia).
Ecco dunque che, a fronte del 15 per cento sul vino italiano, Trump ha negoziato il 10 per cento su quello, per esempio, della Nuova Zelanda. Come si suol dire, Trump sta istigando una guerra tra poveri (simbolicamente presi): assumendo che tutti i vassalli della Casa Bianca siano e restino tali, alcuni si avvantaggeranno a scapito di altri e nessuno penserà a unire le forze contro il potente. Divide et impera.
Il principale nemico
La guerra è guerra. L’Europa è il nemico maggiore di questa guerra dei dazi ed è anche il più domabile, perché nonostante la sciocca idea per cui le ideologie sono finite, l’Europa è segnata, nel suo Dna, dall’ideologia dell’ordine occidentale guidato dalla madre antica della democrazia moderna.
La Ue non riesce a essere protagonista alla pari. E anni di dominio monopolistico dell’alta tecnologia made in Usa, che ha privato il Vecchio Continente dell’industria del futuro, rendono questa subalternità quasi fatale.
Detto ciò, resta difficile da spiegare l’atteggiamento della nostra presidente da copertina. Giorgia Meloni ha mostrato di voler costruire di sé l’immagine di moderatrice: modera la destra postfascista in casa propria, modera il radicalismo della destra in Europa, modera la disposizione critica di Trump nel consesso europeo. In effetti, non modera proprio nulla.
La sua politica securitaria è liberticida, la sua idea di democrazia è autocratica, la sua politica internazionale è senza personalità. Sta facendo sponda all’inquilino della Casa Bianca, agevolandone la politica internazionale e commerciale. Non un cenno di critica, seppure sommesso.
Il ruolo di Meloni
Circa il Medio Oriente, se ne esce con una frase criptica per cui sembra essere controproducente (a chi?) riconoscere lo stato palestinese (riconoscimento ormai simbolico, visto il piano israeliano di occupare la Cisgiordania, ma molto importante in questo momento drammatico per i palestinesi affamati e totalmente vulnerabili).
Circa l’Europa, di fronte a Trump, Meloni se ne esce con una frase a dir poco imbarazzante: «Una guerra commerciale non conviene a nessuno, nemmeno agli Stati Uniti». Ci si chiede che cosa andrà a dire a quel che resta dell’industria italiana con i dazi sull’alluminio Usa al 50 per cento e ai cittadini italiani che si troveranno sulle bollette del gas e della luce il peso dell’obbligo di comprare gas liquido dagli Stati Uniti.
A volte sembra che Meloni stia facendo la campagna pubblicitaria per Trump, per far digerire imposizioni che né lei né gli europei sono stati capaci di contrastare. Come quando Meloni ha giustificato la tassa Nato (chiamiamola come deve essere chiamata l’imposizione, neppure contestata, del 5 per cento del Pil nazionale per comprare armi americane e rafforzare gli eserciti nazionali, parte dell’Alleanza), dicendo che «se vuoi la pace devi preparare la guerra».
Mettiamo tra parentesi la logica antidemocratica di questa massima antica. Chiediamo invece alla nostra presidente del Consiglio perché non ha applicato questa massima alla “guerra dei dazi” che è stata dichiarata dall’amico Trump per danneggiare, tra gli altri, il suo (di Meloni) paese. Quindi, l’opportunismo (antica tattica della destra italiana antica) serve a chi? Non serve a dare un’immagine onorevole del nostro paese (in Europa l’Italia ha assunto la posizione di paese paladino di Trump) e, soprattutto, non sostiene la politica economica italiana. Il vassallaggio e il sovranismo sono antitetici.
(da editorialedomani.it)
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