SULL’OLIO TUNISINO SI ACCETTANO SCUSE DA GRILLINI, LEGHISTI E COMPAGNIA DI GIRO
UN ANNO DOPO LE POLEMICHE: PRODUZIONE NAZIONALE CALATA DEL 38% A CAUSA DELLA MOSCA E DEL CAMBIAMENTO DEL CLIMA: SE NON COMPRASSIMO L’OLIO TUNISINO NON AVREMMO NEANCHE DI CHE CONDIRE L’INSALATA
Un anno dopo, qualcuno dovrebbe chiedere scusa. E non soltanto esponenti grillini o leghisti che cavalcarono in maniera sguaiata la protesta contro l’acquisto da parte dell’Unione europea di olio tunisino esente da dazi.
Anche categorie, politici pavidi, presidenti di Regione e alcune associazioni con i loro grilli parlanti dovrebbero avere il coraggio di ammettere di essersi sbagliati e per conformismo aver cavalcato l’onda populista fornendo dati fasulli.
Fake news all’olio d’oliva, insomma, dietro una sapiente regia di comunicazione a cui tanti media, pubblici e privati, hanno dato seguito.
Un anno dopo, con il calo della produzione nazionale olearia del 38%, provocata dalla mosca e da cambiamenti climatici, quell’olio fa gola a molti e di quell’iniziativa tanto criticata non si parla più.
Ma vediamo i fatti. A seguito di una missione a Tunisi, avvenuta dopo i due tragici attentati terroristici, venne chiesto all’Europa un contributo di solidarietà .
Gli attacchi avevano messo il paese in ginocchio. Turismo, artigianato, agricoltura, settore immobiliare avevano ricevuto colpi durissimi e la disoccupazione giovanile stava alimentando attività di proselitismo da parte dell’integralismo che hanno portato la Tunisia a esportare il maggior numero di foreign figthers nella guerra siriana.
In un colloquio con il presidente dell’Assemblea parlamentare tunisina ci venne chiesto un aiuto per il settore oleario. Tutti i componenti della delegazione del Parlamento europeo concordarono. Anche i grillini.
Aiutare la Tunisia, d’altronde è ragionevole: investire sulla sicurezza di quel paese è investire su noi stessi; aiutare l’economia tunisina è evitare che le persone si mettano in mare.
Tornati a Bruxelles riferimmo dei colloqui avuti e della proposta di acquistare 35mila tonnellate di olio non trattato e senza dazi da dividere tra i membri dell’Unione.
Non era un grande sforzo per i nostri paesi. Nella discussione vi furono obiezioni da parte di un deputato leghista: perchè olio e non aiuti alla pesca, propose?
L’idea fece sobbalzare noi italiani: se compri olio lo puoi dividere fra gli Stati membri, se aiuti la pesca colpisci soltanto l’Italia, e in particolare la Sicilia.
L’iniziativa, della durata di due anni, venne messa a punto e consegnata alla Commissione europea per ripartire la quantità di olio fra i diversi paesi dell’Unione.
Oggi si conoscono le cifre dello scorso anno: 2,7mila tonnellate circa sono andate all’Italia. Una quantità ridicola.
Ma per populisti, sovranisti e ciarlatani si trattava di una quantità in grado di uccidere il nostro mercato. Ma non è finita qui.
La quota di solidarietà , per regolamento, sarebbe entrata in vigore in aggiunta agli accordi commerciali esistenti tra Ue e Tunisia.
Come dire: prima si importa l’olio che abbiamo concordato e poi facciamo arrivare la quota di solidarietà .
E cosa stabilisce l’accordo Ue-Tunisia? È entrato in vigore nel 1998 e consente di far arrivare nello spazio europeo 56mila tonnellate di olio all’anno senza dazi.
L’Italia ne prende 35,9mila tonnellate; la Spagna 13,3mila tonnellate. Olio utile? Per capirlo basta dare un’occhiata ad alcune cifre.
La produzione italiana di olio d’oliva nel 2016 è stata di 298mila tonnellate, con un calo rispetto all’anno precedente del 38%.
Quest’anno il calo è ancora più forte, le previsioni indicano che non supereremo le 200mila tonnellate (-58% rispetto al 2015). Tutto questo a fronte di un fabbisogno di circa 600mila tonnellate all’anno.
Dunque, se l’Italia non compra olio, gli italiani non ne hanno per condire l’insalata.
Fra produzione nazionale, quota bilaterale e quota di solidarietà non si arriva neppure a 350mila tonnellate di olio.
E ancora: se i marchi italiani non acquistassero olio nei mercati extraeuropei andrebbero incontro al tracollo. E questo in tempi normali.
Nell’anno felix 2015 la produzione italiana è stata sufficiente per coprire il 35% del fabbisogno. Se poi ci si mette la mosca olearia o i cambiamenti climatici, i tempi si fanno davvero duri.
L’olio tunisino, insomma, è indispensabile e non fa concorrenza alla straordinaria produzione dell’extravergine italiano proveniente da singoli cultivar.
Si tratta di una piccola fetta di mercato. La grande distribuzione, invece, lavora facendo blend, cioè selezionando e miscelando oli diversi prodotti nella regione del Mediterraneo.
In un’epoca di forte calo della produzione, abbiamo bisogno dell’olio tunisino.
E con una buona collaborazione potremmo investire su una vasta area agricola di qualità , indispensabile per competere nei mercati globali.
Non dobbiamo dimenticare, come scriveva il grande storico Fernand Braudel che “là dove finisce l’olivo finisce anche il Mediterraneo”.
Con buona pace di grillini e leghisti pronti a danneggiare aziende nazionali pur di issare bandiere antieuropee.
(da “Huffingtonpost“)
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