TORNA LA VOGLIA DEI VICINI DI CASA: “QUALCUNO A CUI CHIEDERE IL SALE”
SI DIFFONDONO IN TUTTA ITALIA I SOCIAL STREET
Ore 11 di un sabato mattina a Milano. Il ritrovo è al bar all’angolo tra via Maiocchi e via Stoppani per fare colazione.
Così da sette mesi. Sono in venti, non fanno in tempo a sedersi, due baci sulle guance e le parole sono già spedite sui progetti.
Elena è lì con il fidanzato Riccardo. Si sono trasferiti dalla provincia di Potenza per lavoro e sono i primi ad aver stretto amicizia con Lucia, di Varese, che si occupa di teatro.
Caterina, stilista, ha l’accento fiorentino. Simona è nata a Pantelleria e organizza eventi. La sua omonima, romana, fa la guida turistica.
Anna la mamma, Erica la grafica, e Luca l’ingegnere informatico, che ha portato i suoi due bambini, di sette e nove anni, ed è l’unico milanese della combriccola.
Fino a Natale a malapena avevano incrociato i loro sguardi, non sapevano di abitare nella stessa via o di condividere il pianerottolo del palazzo.
Sono trentenni e quarantenni che oggi fanno parte della Social street di via Maiocchi e dintorni, la seconda più grande d’Italia dopo quella di via Fondazza a Bologna.
“A metà dicembre ho distribuito volontani per promuovere il gruppo dei residenti del quartiere su Facebook. Nel giro di qualche giorno c’erano 200 adesioni, oggi siamo in 800, a volte ci conosciamo solo per nickname ma è già un passo avanti ” spiega Lucia Moroni.
In via Maiocchi, 700 metri, dietro a Corso Venezia, in realtà non manca niente, dall’asilo alla scuola elementare, il parco, il supermercato, la palestra, la sartoria, la galleria d’arte. “Ma manca tutto — osserva — se hai paura di chiedere il sale al tuo vicino o un aiuto al bottegaio di fianco”.
La piccola comunità cresce. Oltre alle colazioni collettive e agli aperitivi settimanali, c’è il gruppo running del martedì, dalle otto alle nove, prima del lavoro, seguito da spuntino a casa di qualcuno.
Quello di acquisto solidale di miele, olio e caffè; quello di cinema, di lettura, di ricamo e delle gite nei musei della città . Presto partirà un servizio di dog-sitting.
Mentre sono già attivi una banca del tempo per scambiarsi gratuitamente le competenze e il bookcrossing, cioè il baratto dei libri: “Un bar vicino ha messo a disposizione uno spazio per il deposito” racconta Elena, dispiaciuta di non aver partecipato al debutto del social swap party, il baratto dei vestiti usati, allestito per due giorni nella sede vicina di un’associazione.
“Un successone, la stanza sembrava un negozio e ognuno ha postato su Facebook la foto dell’abito che avrebbe regalato e una di quello che si è portato a casa”.
Sono ormai un rito a grande richiesta le “case aperte” una volta al mese.
“Dieci di noi aprono la porta a gente sconosciuta della zona” lei è ancora incredula. La prima volta, il 9 febbraio, nel monolocale di Lucia, 23 metri quadrati, erano in 10 a cucinare cràªpe. La casa di tre studenti universitari si era trasformata in un laboratorio di shooting fotografico. Da Raffaella si sfornavano crostate, in un altro appartamento c’era un workshop di pittura per bambini curato da una pittrice di Brera mentre la storica dell’arte si era inventata un gioco di società per far conoscere i monumenti della zona. E un ragazzino aveva invitato i coetanei sul divano a sfidarsi alla play station. Le case ruotano, le attività cambiano, la gente resta. Il social network è usato per comunicazioni di servizio e richieste di vario tipo: “Conoscete un idraulico economico e bravo?” “Avete una bicicletta pieghevole che non usate più?” “Ho due biglietti per balletto alla Scala, qualcuno viene?”.
Hanno messo in piedi anche il sito web Viamaiocchi.it   che raccoglie le cronache della piccola comunità .
Al bar “Stoppani”, quello all’angolo, c’è una bacheca di legno per proporre idee e segnalare eventi.
Qui si fa anche la raccolta di alimenti che alcuni di loro ogni sera distribuiscono ai senza tetto della via fino alla Stazione Centrale.
“Non vogliamo diventare un’associazione: troppi vincoli e la spontaneità si spegne” chiude Elena.
Un fenomeno nazionale
Le social street nel nostro Paese sono 165 e quelle in cantiere aumentano a macchia d’olio.
Da Trento a Palermo (dove i residenti hanno raccolto quasi due mila firme per chiedere al sindaco Orlando di multare chi abbandona i rifiuti nelle strade).
L’ultima a Torre del Greco, in provincia di Napoli. L’elenco è sul portale Socialstreet.it  . L’idea è venuta a Federico Bastiani, 36 anni, originario di Altopascio, un paesello di sette mila abitanti nella provincia di Lucca, catapultato a Bologna per lavoro (fa l’addetto stampa di Loretta Napoleoni): “Dopo tre anni — spiega — non conoscevo ancora i vicini, mi sentivo un estraneo nella mia via”.
Una di quelle con i portici caratteristici, di 450 metri, 91 numeri civici e due mila abitanti. Così a settembre Federico inaugura un gruppo su Facebook che in tre settimane conta cento persone e oggi ne sfiora 900.
Il virtuale è diventato reale: “Quando esco dal portone saluto tutti. Ho scoperto che a 30 metri abitava un’altra famiglia con un figlio, che ora gioca con il mio”.
Si fa fatica a stare dietro a tutte le iniziative: “Il gruppo — riassume Federico — si alimenta da solo, le persone lanciano idee e chi è interessato si organizza”.
Aperitivi, colazioni, cene sociali, feste di compleanno, baratto, babysitting, carsharing, picnic, trekking fuori porta.
“Ogni martedì dalle 5 alle 6 mamme e bambini si ritrovano all’oratorio. E nel tempo libero puliamo i portici da graffiti e sporcizia visto che il Comune non lo fa”.
Mano tesa dagli esercenti del quartiere: una volta alla settimana il cinema sconta il biglietto a cinque euro; prezzi ridotti in pizzeria e al bistrò francese.
A Bologna e provincia di strade social ne esistono più di 50: “Stiamo costruendo una rete per esportare il modello in altre aree della città e dialogare con il Comune”.
Ma non è un miracolo solo del nord.
Manuela Baglivo, 35 anni, due anni fa torna da dove è venuta, cioè Tricase, nel Salento: “Ho speso 13 anni fuori tra studio e lavoro. A Bologna facevo l’insegnante precaria, lavoravo un giorno, un mese o un anno, poi da capo in attesa. Non ne valeva la pena, quindi sono tornata a casa dei miei genitori: ma che avrei fatto? Non conoscevo più nessuno, non avevo stimoli. Un giorno ho letto un articolo sulla social street di Via Fondazza e ho pensato subito di copiarla”.
L’esperimento di Tricase riguarda il centro storico e 150 persone, molti over 50 e under 25.
“Gli altri sono partiti. Della mia età saremo una decina”. Ma è tutto in fermento.
“Da quando si è sparsa la voce della social street, molti coetanei sparsi al Nord stanno pensando di mollare tutto e ritornare qui”.
Manuela non si stupisce: “La social street è la soluzione che tutti vorrebbero ma a nessuno viene in mente”.
Social salentino Poi c’è la disoccupazione, e il tempo bisogna inventarselo da capo, guai a soffocarlo nella vergogna.
Come funziona lì? Il Comune presta una sala per la riunione mensile, tutti i pomeriggi le case sono aperte per caffè e quattro bagole.
C’è chi cucina sempre in abbondanza e su Facebook invita gli altri a cena. Nei fine settimana si organizzano tour guidati per la città e mercatini dell’usato (ma chi vuole vende), ogni 15 giorni si puliscono le strade del centro, e si aiutano gli anziani a pagare le bollette, fare la spesa, andare dal medico.
“Prima però devi fargli capire che non li vuoi fregare — Manuela se n’è accorta subito -. Ci sediamo a parlare con loro, hanno paura dei furti, con la crisi sono diventati diffidenti. Tornare a fidarsi dei vicini di casa non è impossibile, soprattutto perchè non ci sono di mezzo soldi e politici”.
A ottobre faranno insieme la raccolta delle olive per conto terzi in cambio di bottiglie di olio.
In ballo c’è anche la ristrutturazione di alcuni edifici storici. Dove non c’è lo Stato, insomma, ci pensano le persone.
E la formula finora sembra funzionare.
Chiara Daina
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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