TRIA, MINISTRO DIMEZZATO, SI AGGRAPPA ALLE CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA
SENZA CREDIBILITA’, COME PUO’ TRATTARE CON L’EUROPA?
La prima constatazione riguarda la credibilità che il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha perso giovedì 27 settembre.
Dopo settimane passate a dire che manteneva la barra dritta di fronte alle pressioni di Luigi Di Maio e Matteo Salvini, cioè la linea di un rapporto deficit/Pil non superiore all’1,6% per permettere un seppur minimo calo del debito pubblico strutturale (-0,1%), nel Consiglio dei ministri ha dovuto abdicare all’irruenza dei due vicepremier che si erano accordati per salire al 2,4%.
E Tria ha dovuto abbozzare, correndo a rifare i compiti, tanto è vero che l’aggiornamento del Def non è ancora pronto.
Quale è stata la prima conseguenza di tutto ciò?
I mercati hanno capito al volo che il ministro dell’Economia non ha voce in capitolo e hanno fatto due calcoli sui maggiori interessi che l’Italia dovrà pagare nei prossimi anni: lo 0,48% del Pil a regime (stima Goldman Sachs).
Poi hanno ricominciato vendere titoli del debito pubblico italiano portando lo spread tra Btp e Bund vicino a 270 punti base.
Con conseguente crollo delle azioni delle banche che hanno i bilanci pieni di titoli di Stato, che ora valgono meno di una settimana fa.
Per cercare di recuperare almeno in parte la credibilità perduta Tria si è messo al lavoro durante il week end e domenica 30 settembre ha rilasciato un’intervista a Il Sole 24 Ore spiegando che non ha mai pensato alle dimissioni e snocciolando alcuni numeri del nuovo Def la cui versione scritta e ufficiale non è ancora disponibile.
La riscossa di Tria parte dalla stima della crescita del Pil per il 2019, che balza all’1,6% dal precedente 0,9%.
Come si ottiene questo aumento così importante? Con la spesa per investimenti, grazie a 15 miliardi aggiuntivi nel triennio 2019-2021.
Da dove arrivano questi 15 miliardi in più non è dato sapere al momento, probabilmente dal maggior deficit dal momento che corrispondono proprio alla cifra che Salvini e Di Maio hanno voluto stanziare per il reddito di cittadinanza, il superamento della legge Fornero, il rimborso degli obbligazionisti traditi dagli scandali bancari, il regime forfettario al 15% per le partite iva fino a 60 mila euro.
Per gli investimenti pubblici invece si vogliono sbloccare quei 38 miliardi di fondi europei già presenti nel bilancio pubblico ma mai spesi.
Ma la domanda è: in quanto tempo i soldi in più in tasca ad alcune categorie sociali di cittadini si tradurranno in maggiori consumi?
E in quanto tempo le opere pubbliche, ammesso che vengano sbloccate, faranno sentire i loro effetti positivi sull’economia reale?
Probabilmente ci vorrà qualche anno e dunque la previsione che già dal 2019 l’Italia possa crescere al tasso dell’1,6% appare quantomeno ottimistica.
Anche perchè la tendenza di questo scorcio d’autunno è preoccupante: dopo il rallentamento registrato nel secondo trimestre dell’anno, nel terzo sono in molti ad aspettarsi una crescita zero, dovuta a meno esportazioni e meno investimenti privati. Brutto a dirsi ma i primi passi del governo Conte in economia hanno già portato a un rallentamento dell’economia.
Ma ecco che Tria ha tirato fuori il suo coniglio dal cappello: se non si raggiungeranno i livelli previsti di crescita allora scatteranno le nuove clausole di salvaguardia che incideranno sul taglio spese invece che sull’aumento delle tasse.
Così gli italiani potranno spendere in tranquillità visto che sanno a priori che le tasse non aumenteranno. Bella trovata, sembrerebbe.
Ma c’è una differenza non da poco rispetto alle clausole di salvaguardia sull’Iva. Queste si sarebbero innescate automaticamente, per decreto, e avrebbero portato immediatamente maggiori entrate.
Per tagliare le spese, invece, ci vuole più tempo e bisogna fare un’analisi accurata di quelle improduttive, per non avere l’effetto di provocare una frenata sulla crescita.
Di Maio che di questi tempi si crede Johnny Depp ha invocato un team “Mani di forbice” (ancora inesistente) in grado di tagliare le spese anche se negli anni passati i commissari alla spending review Carlo Cottarelli e Youram Gutgeld non sono riusciti nel loro intento: il primo per non aver ricevuto il necessario supporto governativo, il secondo perchè riteneva di non dover attaccare pensioni e stipendi dei dipendenti pubblici.
Ora però arriva Di Maio Mani di forbice e quello che non era riuscito prima agli altri riuscirà ai grillini. Vedere per credere.
Dunque con questo programma in tasca, che nei prossimi tre anni permetterà di ridurre di un 1% all’anno il rapporto deficit/Pil dell’Italia arrivato alla soglia di allarme del 132%, e forte della full immersion degli ultimi tre giorni, Tria si presenta oggi ai colleghi europei dell’Ecofin e dell’Eurogruppo.
Per spiegare che è vero che il deficit sale del 2,4% ma all’Italia occorre un triennio di crescita sostenuta altrimenti il paese si impalla.
E spera che intanto lo spread si raffreddi grazie alla trovata delle clausole di salvaguardia.
Quante speranze ha Tria di convincere i colleghi europei della bontà delle sue prooste? Molto basse dal momento che tutti hanno capito che il ministro dell’Economia conta molto poco, mentre conta molto di più quello che pensano Di Maio e Salvini che hanno preso i voti e controllano il Parlamento.
Può l’Italia in questo momento permettersi un ministro dell’Economia che i due vicepremier hanno ridotto a mero esecutore delle loro volontà ?
Se lo spread, invece che abbassarsi, continuerà a salire, farà venire al pettine questo nodo e anche quello dell’intera manovra economica sin qui delineata.
(da “Business Insider”)
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