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TUNISIA, L’ITALIA STA SBAGLIANDO TUTTO

FINANZIAMO I CRIMINALI DELLA GUARDIA COSTIERA LIBICA E NON SIAMO IN GRADO DI AIUTARE UN PAESE AMICO, ANZI GLI TOGLIAMO PURE GLI AIUTI FISSATI PER LA COOPERAZIONE

Che la Tunisia stia affrontando un crinale molto complicato della sua storia recente è innegabile. Che nelle ultime settimane si sia registrato un incremento sostanziale delle partenze — con un’evoluzione problematica della logistica di tali partenze — in particolar modo dalle aree intorno a Zarzis, Sfax, Sousse e Nabeul e dalle isole Kerkenna lo è altrettanto.
Che la Tunisia sia sull’orlo del collasso politico-economico sistemico che ha conosciuto l’Albania all’inizio degli anni Novanta, e che ha causato un’ ondata migratoria senza precedenti, quello è invece un tentativo alquanto maldestro di securitizzare ulteriormente una questione che dovrebbe essere invece gestita politicamente, e compresa nelle sue sfaccettature. Che sono molto più variegate di quanto gli italiani pensino.
Queste narrative non aiutano i rapporti bilaterali: essere dipinti come un paese in via di disfacimento non è apprezzato a Tunisi, anche perchè la Tunisia in effetti non è un paese in disfacimento.
È un paese che, nel 2020, affronterà  la peggior recessione della sua storia indipendente a causa del Covid-19. È un paese che nel corso degli ultimi 10 anni ha visto (non) crescere il suo Pil, con media annuale dello 0%, come notato dall’ex governatore della banca centrale giusto qualche settimana fa. Ma non uno stato in via di fallimento.
È un paese dove le conquiste democratiche post-2011 sono a rischio per la prima volta, e dove l’impatto della crisi economica del Covid-19 può portare a un ritorno di un autoritarismo più o meno palese.
È un paese dove c’è un’ansia sociale marcata, che filtra e “esagera” le percezioni di paura e di instabilità . E questa ansia sta fomentando populismi vari: quello conservatore-sovranista, con vaghi richiami ad un pan-arabismo un po’ vetusto dell’attuale presidente Kais Saied, oppure i “populismi opposti” che stanno emergendo in questi mesi in Parlamento, con quegli attori politici nuovi estranei alla logica del consenso, che ha guidato le scelte di tutto il panorama politico tunisino nel corso degli ultimi dieci anni: il populismo nostalgico-modernista di Abir Moussi, la pasionaria benalista che sta emergendo sempre di più come idolo modernista contro gli islamismi vari ed eventuali che popolano il Bardo, e l’islamo-populismo dell’ambizioso e controverso avvocato Seiffedine Maklouf, passato dall’essere l’avvocato di molti membri di Ansar al-Sharia a leader di una nuova formazione islamista con venature radicali, la coalizione della Dignità .
Tutti questi tre attori, in un modo o nell’altro, rappresentano una sfida per l’attuale presidente del Parlamento, Rachid Ghannouchi, leader del partito islamista di EnNahda che della logica del consenso è stato uno dei pilastri. Certamente, la Tunisia rischia di vedere la propria transizione — o meglio, il proprio consolidamento democratico — sgretolarsi. Ma, nel corso degli ultimi anni, la Tunisia ha anche mostrato una resilienza fuori dal comune.
Molti decantavano il De Profundis della giovane democrazia tunisina già  nel 2014, quando lo scontro tra EnNahda e il blocco modernista stava per far deragliare il paese, o nel 2015, quando la successione di attentati (Museo del Bardo, Sousse, Avenue Mohammed V a Tunisi) mise l’economia in ginocchio. Ma, nonostante ciò, la Tunisia è rimasta in piedi.
L’Italia dovrebbe capire che questo aspetto della sua narrativa sulla Tunisia è importante per avere relazioni proficue. A torto o ragione, i tunisini si sentono molto vicini agli italiani, non solo geograficamente. Per anni, i canali della Rai erano merce comune nelle case dei tunisini, la popolarità  di personaggi come Raffaella Carrà  o Pippo Baudo tra i tunisini di mezza età  è sorprendente.
Ma, negli ultimi anni, in Tunisia, è cresciuta la percezione che l’Italia politica veda la Tunisia solo come barriera nella gestione delle migrazioni e non come un partner complessivo.
L’Italia ha mandato vari segnali non positivi, in questo senso: l’assenza di un rappresentante istituzionale di peso italiano ai funerali del presidente Beji Caid Essebsi giusto un anno fa — unico paese tra i paesi limitrofi che non mandò una delegazione di peso — ebbe un impatto devastante in questo senso, soprattutto se misurato rispetto alla risonanza del discorso che il presidente Macron fece in quella sede.
Le frecciate di Salvini da ministro degli Interni alla “Tunisia che ci manda i galeotti.”
Una certa passività , anche del nuovo esecutivo giallo-rosso, nel coinvolgere la Tunisia diplomaticamente, ad esempio sulla Libia.
Il problema di questa mancanza di attenzione, inoltre, è che svilisce anche il capitale di relazioni sociali ed economiche esistente, che è molto significativo: Eni, Terna, e tanti altri sono attori con un ruolo significativo, ed apprezzato, in Tunisia. Inoltre, c’è anche una contraddizione di fondo.
La Tunisia ha accordi per il rimpatrio con l’Italia sin dal 1998, rappresentando per anni paese modello da questo punto di vista. L’aumento delle partenze dimostra che la Tunisia ha difficoltà  crescenti nel gestire il fenomeno.
Le cause sono tante: differenti priorità  per le forze di sicurezza, dislocate in altri luoghi per gestire proteste crescenti; un quasi automatico “ritorno” delle partenze dopo mesi di confinamento; il tentativo di gruppi criminali di “sfruttare” a proprio vantaggio la crisi economica vendendo il sogno dell’eldorado europea.
In termini generali, che la Tunisia sia un paese (relativamente) sicuro, è abbastanza pacifico: basti vedere l’efficacia con cui la pandemia è stata gestita in Tunisia, con una prontezza che molti paesi europei non hanno avuto, ed è un paese dove i casi autoctoni di Covid-19 sono oramai ai minimi da mesi.
La narrativa standard si focalizza sulla presenza di giovani istruiti ma senza possibilità  pronti ad affrontare il viaggio verso l’Europa — l’Italia — vedendo questa come unica alternativa. Questa è solo parte della verità . La realtà  è molto più complessa e sfumata, e il fenomeno ha sfaccettature diverse.
Ad esempio, c’è la realtà  della fuga dei cervelli, sentita come una vera e propria emergenza sociale di lungo periodo: è vero che i giovani tunisini istruiti hanno difficoltà  ad accedere a buone opportunità  lavorative in Tunisia, in particolar modo se non hanno legami di tipo familiare e personale con chi può aprire loro le porte di tali opportunità .
Ma queste giovani donne e uomini raramente si imbarcano. Essi emigrano con altri mezzi, andando principalmente in Francia, Germania e Canada.
Questa dinamica è sorprendente solo per chi non conosce bene la Tunisia: molti laureati tunisini parlano almeno tre lingue fluentemente, e il capitale umano è considerevole. In particolar modo gli ingegneri informatici tunisini sono figure professionali molto ricercate dalle aziende high-tech del mondo francofono. Tra le nuove generazioni, inoltre, l’inglese è sempre più utilizzato e la gioventù — in particolar modo urbana — tunisina è estremamente legata, e reattiva, alle tendenze culturali globali. L’Italia è però largamente esclusa da questi flussi.
Poi vi è la realtà  della Tunisia sia come hub migratorio sia come paese di ricezione di migranti, in particolare dall’Africa saheliana e sub-sahariana. Questo è un fenomeno visibilmente in crescita. Molti di essi lavorano, spesso illegalmente, nel settore dei servizi e delle costruzioni. Alcuni si fermano in Tunisia, mentre altri utilizzano la Tunisia come tappa di passaggio per raccogliere i soldi per tentare l’approdo in Europa.
A vedere i numeri degli ultimi viaggi, essi però non rappresentano la maggioranza di coloro che stanno provando il viaggio dalla Tunisia
Vi è poi la realtà  di coloro che provano il viaggio in mare, il popolo degli haraga — dal nome delle imbarcazioni — spesso di fortuna — utilizzate per la traversata. Questo mondo però è anche esso più variegato e diversificato di quello che si pensi, ed è in evoluzione. Molti sbarchi recenti sono avvenuti su piccole imbarcazioni private, relativamente nuove. La prossimità  geografica permette viaggi del genere, soprattutto in condizioni climatiche buone.
Sui social italiani ha fatto molta specie la foto di un barboncino sbarcato insieme a tunisini che sembravano più turisti che altro. Caso limite, che ha scatenato le fantasie e ironie — spesso becere — degli internauti su come i migranti prendano “in giro” l’Italia.
In realtà , la giustificazione data dalla proprietaria del cane — “ho vissuto qui e volevo tornare” — si lega a un problema che chiunque è stato in Tunisia può misurare da sè: la frustrazione esistente tra tanti tunisini per la scarsità  di opzioni legali per raggiungere l’Europa.
Ottenere un visto per un tunisino, anche solo temporaneo, è impresa molto ardua. Molti, quindi, provano direttamente la fortuna illegalmente. Ci sono poi varie tipologie di giovani, in genere tra i 18 e i 25 anni, che provano questi viaggi e le cui motivazioni sono varie. Adottare un modello unico è fuorviante.
Per alcuni, il viaggio non è necessariamente un tentativo di andare in Italia per stabilirsi, ma viene visto come una sorta di passaggio dall’adolescenza alla maturità , perchè in famiglia ci sono storie di parenti che hanno fatto viaggi simili in passato, quando era più facile e parte di una mobilità  mediterranea di lungo periodo data quasi per scontata.
Vi è poi la realtà  dei migranti economici, e quella esiste ed è destinata a rimanere un elemento costante, a meno che non vi sia un cambiamento radicale nell’economia politica tunisina.
Per le giovani e i giovani tunisini del sud e delle zone interne, spesso, tentare il viaggio di fortuna verso l’Europa è vista come un’opzione migliore che non cercare la fortuna a Tunisi o nei centri urbani del Sahel tunisino.
In Tunisia i sentimenti regionalisti sono particolarmente forti, sebbene vi sia una certa ritrosia nel parlarne pubblicamente. Il regionalismo ha un impatto sulla mobilità  sociale. I tunisini del sud si sentono discriminati, sia socialmente sia dalle scelte di politica economica che, nei decenni, hanno penalizzato aree come Kasserine, Gafsa, Sidi Bouzid. Non è un caso che la miccia della rivoluzione nel dicembre 2010 sia esplosa in quest’ultima realtà .
I tunisini della capitale, invece, spesso si lamentano dell’arrivo in massa di gente dal sud e dalle zone rurali dopo la rivoluzione del 2011. Chi parla il dialetto del sud spesso è discriminato, e vi è la percezione che in Europa sia più facile partire da zero.
Poi vi è la realtà  dei giovani che vengono dalle periferie disfunzionali di Tunisi, luoghi difficili come Hay Ibn Khaldoun, Ben Arous, Ettadhamen, Bahr Lazrag e via discorrendo. L’Houmani — appellativo in dialetto tunisino traducibile in italiano come “ragazzo di quartiere”, figura popolarizzata dall’hip-hop tunisino post-rivoluzione — è quel giovane che campa alla giornata, senza prospettive, non istruito: molti di essi, data la mancanza di prospettive, decidono di provare la traversata.
Cosa può fare l’Italia rispetto alla Tunisia?
L’idea di fermare completamente le partenze è irrealistica. Che la Tunisia possa fare di più e meglio per controllare i propri confini è vero. Però, il contesto attuale per la Tunisia è complicato. Il paese non è al collasso, ma al tempo stesso ha seri problemi economici e di ordine pubblico che lo rendo meno efficiente. Inoltre, come già  detto, il messaggio che l’Italia ha mandato negli ultimi anni di visione della Tunisia esclusivamente come bastione contro i migranti riduce la capacità  di Roma di influenzarne le scelte.
In tal senso, l’Italia può fare due cose.
In primis, lavorare per mandare il messaggio che la Tunisia non sia solo migrazioni e ricalibrare la narrativa sulla Tunisia in disfacimento: la Tunisia ha problemi, ma sono gestibili, in particolar se vi è una cooperazione intelligente e funzionale, in particolare con l’Italia.
E qui vi è la seconda opzione: l’Italia può lavorare con la Tunisia per alleviarne i problemi economici.
Il debito tunisino sta schizzando alle stelle, e nel 2021 la Tunisia avrà  seri problemi a finanziarsi, soprattutto qualora non vi sia un nuovo accordo col Fondo Monetario Internazionale (Fmi), che però avrà  con un costo sociale elevatissimo se attuato.
L’Italia, essendo uno dei principali creditori tunisini, potrebbe muoversi per guidare un fronte lanciando una proposta di rinegoziazione dei termini di pagamenti del debito tunisino, cosi da dare respiro alle finanze pubbliche.
Inoltre, la Tunisia è impegnata in un negoziato con l’Unione europea sul cosiddetto “Deep and Comprehensive Free Trade Area (Dcfta)”, accordo che però ha ricevuto svariate critiche da parte tunisina. L’Italia potrebbe guidare un fronte per accogliere alcune delle istanze tunisine, cosi da dimostrare che l’interesse di Roma per Tunisi non si limita a controlli e rimpatri di migranti.
In tal senso, se il ministro degli Interni Lamorgese fosse stata accompagnata, nella sua toccata e fuga tunisina, dai ministri dell’Economia Gualtieri o dal ministro degli Affari Europei Amendola — con quest’ultimo che è probabilmente l’attore politico dell’attuale esecutivo con una percezione più chiara e sensibilità ‘ più marcata rispetto a problemi mediterranei che l’Italia deve affrontare — questa missione sarebbe stata più effettiva, e avrebbe mandato un messaggio diverso.
Ma si può ancora rimediare.

(da TPI)

This entry was posted on venerdì, Luglio 31st, 2020 at 21:59 and is filed under denuncia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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