UN GRANDE ITALIANO: NICOLO’, IL 25ENNE DI CREMONA CHE FA LEZIONE AI BAMBINI DEL CAMPO PROFUGHI SULL’ISOLA DI SAMOS
INSEGNA LORO INGLESE E GRECO: “BISOGNA FARE IN MODO CHE I BAMBINI TORNINO A SENTIRSI BAMBINI”
In fondo alla classe, dietro gli ultimi banchi del campo profughi, c’è un cartello: «All children have a right to an education» («Tutti i bambini hanno diritto a un’educazione»).
E in fondo questa è la vera missione di Nicolò Govoni, 25 anni, originario di Cremona.
Un compleanno movimentato, il suo, il peggiore degli ultimi anni. Un naufragio nell’Egeo che invece delle candeline si è portato via i fratelli di alcuni suoi bambini, quelli con cui oggi passa le giornate, con i ricordi di Cremona — il liceo Manin, l’esame di maturità e quel biglietto di sola andata per il mondo — che continuano a fare da sfondo.
La scelta di partire dopo il liceo. Prima l’India, con la laurea in giornalismo e il sogno, raggiunto, di fondare un orfanotrofio.
«In Italia ho fallito — racconta -, ancora e ancora. Sentivo i miei insegnanti dirmi che non sarei andato da nessuna parte».
Da pochi mesi l’approdo nel campo profughi di Samos. Lì, Nicolò, i sogni in tasca e il portafoglio vuoto, ha trovato la sua strada: una vita a sostegno dei diritti umani, là dove il mondo finisce e il bisogno di ritornare alla normalità si fa ogni giorno più intenso.
L’arrivo a Samos
«Sono arrivato nell’isola di Samos a settembre con l’intenzione di restarci due mesi, per poi cominciare un master negli States. Qui ho trovato una situazione disastrosa — racconta Nicolò al Corriere della Sera —. Un campo in grado di accogliere 700 profughi ne aveva, al suo interno, 2500. Uomini, ragazzi, ma soprattutto donne e bambini che cominciano il viaggio della fortuna a bordo di un barcone, in bilico tra la vita e la morte».
La situazione, a Samos, è tra le più drammatiche.
«La realtà della Grecia è quella di minorenni che si prostituiscono con vecchi per raccattare dieci euro con cui mangiare. Ci sono intere famiglie che dormono in mezzo alla foresta, con una doccia ogni duecento persone, i servizi igienici fatiscenti, un dottore per duemila anime. Nessuno dice che qui, in un lembo della «civilissima» Europa, c’è ancora gente che vive nuda, in mezzo ai topi e alla scabbia».
I primi giorni in Grecia sono bastati a Nicolò per decidere di invertire i piani. «Ho preso il telefono, ho chiamato a casa e ho detto: “Mamma, io a New York non ci vado”».
Il lavoro con i piccoli profughi
I «fratelli» di Nicolò sono 22, vengono da Siria, Afghanistan, Iraq e Palestina. Nelle orecchie portano il rumore delle bombe. Sono i bambini a cui fa lezione ogni giorno, con un programma educativo che prevede ore di inglese, greco, geografia, ma anche sport e educazione sessuale.
La settimana scorsa il giovane volontario ha portato i suoi «fratelli» dal dentista, perchè «l’obiettivo — spiega — è quello che i bambini tornino a sentirsi bambini». Govoni ha cambiato vita, vive di elementi essenziali, «al di fuori del campo non c’è alcuna vita».
«Qui peggio della Siria»
Certi ricordi non possono essere cancellati. «Se chiudo gli occhi rivedo il giorno di quella sommossa, il mio benvenuto in questa terra. Un gruppo di persone, nella notte, ha spaccato gli alloggi dei miei bambini. Un ragazzino il giorno dopo tremava. Mi ha guardato e ha detto: “Qui è peggio della Siria”. Una pausa di silenzio e quella confessione che torna a fare rumore: “A mia madre, al telefono, dico che va tutto bene. Ha speso tutti i suoi soldi per pagarmi il viaggio. Se le dicessi che qui rischio ancora di morire le verrebbe un colpo”».
La mamma lo segue da Cremona
La famiglia di Nicolò lo segue da Cremona, dove non torna da quattro anni. Sua madre Cristina continua a sperare che un giorno torni a casa. Ce lo racconta facendosi forza. «Le cose meravigliose che fa ogni giorno il nostro Nicolò ci rendono sopportabile la sua assenza».
Il desiderio di Govoni di fare del bene supera la distanza. «Nella mia classe c’è un bimbo vittima di abusi. Ho inviato un report al governo greco perchè intervenisse, ma hanno ignorato gli abusi fisici ricevuti dal bambino e di conseguenza anche la mia richiesta».
Nicolò ha scritto un libro perchè queste situazioni non vengano ignorate, perchè non si disperdano, negli occhi di chi ha visto la guerra, di chi non si è arreso, mettendosi alla ricerca della vera felicità .
«Un giorno, andando a letto dopo una giornata circondato dai bambini, ho realizzato di non essere solo in questa grande missione. Se è vero che l’infanzia è un diritto di tutti, non arrendiamoci: c’è ancora molto lavoro da fare».
(da “Il Corriere della Sera”)
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