VITA E BATTAGLIE DEL POLITOLOGO MARCO TARCHI, CREATORE DELLA “VOCE DELLA FOGNA”
“NEL 1977 SI SVOLSE L’ASSEMBLEA DEL FRONTE DELLA GIOVENTÙ PER LA CARICA DI SEGRETARIO. PRESI PIÙ VOTI DI TUTTI. GIANFRANCO FINI ARRIVO’ SOLO QUINTO NELLE PREFERENZE. MA ALLA FINE VENNE PROCLAMATO SEGRETARIO PER SCELTA DI ALMIRANTE, CHE NON MI VOLEVA PERCHÉ LA MIA VISIONE POLITICA ANDAVA NELLA DIREZIONE OPPOSTA A UN PARTITO ASFITTICO”
Lo status di scienziato della politica scorre nelle vene di Marco Tarchi. Marco è soprattutto un anticonformista. Marco, che di destra è stato, ha guardato spesso con interesse a sinistra. Le sue origini sono nel neofascismo degli anni settanta: Giovane Italia, Fronte della Gioventù, Movimento sociale italiano. Oggi che ha 70 anni cerco di fare il punto di quella storia che lo ha visto protagonista.
«Nasco a Roma, casualmente. Ci vivevamo una delle mie nonne. Fin da adolescente un lettore onnivoro e curioso, orientato verso i problemi della storia e della politica. Le mie idee, ancora acerbe, si nutrivano di un vago socialismo».
I tuoi che dicevano?
«La mia era una famiglia fascista. Orgogliosa di esserlo. Avevo 13 anni quando mio padre, avvocato, e mia madre dissero che non sarebbe stato semplice per me: siamo persone per bene ma il fatto di essere fascisti significa che ci giudicheranno come mostri».
Cosa voleva dire dichiararsi così apertamente fascisti?
«Era la loro storia, erano le loro radici. Angelo Tarchi, fratello di mio nonno, fu ministro dell’Economia corporativa durante la Repubblica sociale italiana».
Non hai mai avuto la sensazione che quella fosse la parte sbagliata?
«Per la mia famiglia non fu una scelta sbagliata. Fu una decisione coerente con i valori in cui credevano».
Quali valori ti hanno influenzato?
«Tra i motivi che mi spinsero all’attivismo politico ci fu la contrapposizione al professore di lettere. Era amico di Mario Capanna, leader del movimento studentesco».
Perché il bisogno di militanza?
«In quel momento quasi tutti i giovani della mia età avevano scelto la sinistra».
A Firenze che clima trovasti?
«Nel 1969 il clima politico era rovente. Un amico mi condusse alla sede missina di piazza Indipendenza. In quel palazzo antico avevano staccato la luce. Vidi gente del partito che parlottava a lume di candela, erano quattro gatti disperati. Ma trasformai quel deserto umano in sfida intellettuale. Nel giugno del 1969 venne Adriano Cerquetti della direzione del partito ad offrirmi la carica. Cominciò per me una vicenda che sarebbe finita nel febbraio del 1981, quando fui dichiarato decaduto dalla carica e dall’iscrizione al partito«
Chi ti ha fatto decadere?
«Giorgio Almirante in persona. Da due anni ero in completa rotta con il partito. Nel 1979 mi ero dimesso da vice segretario del Fronte della Gioventù. Nel 1977 si svolse l’assemblea del Fronte della Gioventù per la carica di segretario. Presi più voti di tutti. Anche Gianfranco Fini ha partecipato arrivando solo quinto nelle preferenze. Ma alla fine venne proclamato segretario e io solo vice».
Vieni, è possibile?
«Lo statuto prevedeva che il segretario del partito, cioè Almirante, poteva decidere chi avrebbe avuto l’incarico a prescindere dai voti. Alcuni di noi si erano opposti a quella norma e alla fine di una lunga ed estenuante trattativa ottenemmo che Almirante avrebbe potuto scegliere tra i primi tre più votati. Ricordo l’incontro notturno con Ignazio La Russa e il documento dove venne in parte ratificata la richiesta di modifica dello statuto».
A quel punto?
«Si andò alla votazione, vinsi e Fini giunse quinto. La sorpresa fu quando vidi sul documento che il numero tre, scritto a macchina, che limitava la decisione del segretario, era stato maldestramente corretto a penna con il numero 5. E questo arbitrio consentì ad Almirante di eleggere Fini a segretario del Fronte della Gioventù» .
Perché Almirante non ti vuole?
«La mia visione politica e culturale andava nella direzione opposta a un partito asfittico, immobile, incapace di recepire i fermenti giovanili della società civil, molti simpatizzanti di destra erano passati a sinistra. La parte più inquieta, di cui io fui una delle espressioni, si produsse in uno sforzo provocatorio. Fondai nel 1974 La voce della fogna, una rivista dai tratti underground che ebbe un certo successo».
La ricordo perfettamente, ma quel titolo come era nato?
«Uno degli slogan ricorrenti a sinistra era “fascisti, carogne, tornate nelle fogne”. E noi rispondiamo ironicamente con quella testata».
Vi sentivate così reietti?
«Eravamo ai margini di tutto. Ma piuttosto che piangerci addosso, o attaccarci a un passato nostalgico, riprendemmo i temi che avevano terremotato la cultura degli anni Settanta. La musica, il rock, in particolare, il cinema, la letteratura: esperienze in larga parte estranee al mondo della destra. Senza essere presente in libreria o nelle edicole, la rivista vendette quasi cinquemila copie. Poi da destra arrivarono gli attacchi».
Chi vi attacca?
«Il Centro studi evoliani cominciò a insultarci. Il loro Bollettino ci definiva disgustosi, dissacranti, culturalmente indecenti. Ricordo poi un attacco da Marcello Veneziani: eravamo colpevoli secondo lui di inseguire le mode giovanili invece che contrastarle».
Veneziani cosa faceva a quel tempo?
«Se non ricordo male era un giovane dirigente del Fronte della Gioventù. In seguito giunsero le reazioni del partito».
Intendi il Msi?
«Dall’alto è arrivato l’ordine di boicottarla. La Voce della Fogna chiuse nel 1983. Avrei fatto poi altre riviste importanti come Diorama ed Elementi, più pensate ma senza l’impatto rude e provocatorio che aveva contraddistinto quella prima esperienza».
Fu così importante e irregolare da interessare prima Giampiero Mughini e poi filosofi di sinistra come Giacomo Marramao e Massimo Cacciari.
«Sia Marramao che Cacciari avevano guardato con interesse ad alcuni pensatori di destra e a tutta la “rivoluzione conservatrice” e aprirono un dialogo con noi che sulla rivista Diorama intitolammo Sinistra e nuova destra, appunti per un dibattito. Quell’incontro fu giudicato scandaloso dalle forze più tradizionali tanto da uno schieramento che dall’altro».
I tuoi interessi culturali politici si rivolgevano al pensiero della destra francese. In particolare alla figura di Alain De Benoist.
«Lo conobbi nel luglio del 1972. Andai a trovarlo a Parigi. Trovavo stimolante l’idea che le categorie della politica andassero rifondate fuori dalla netta opposizione tra destra e sinistra. Del resto come facevi ad appropriarti da sinistra o da destra del fenomeno delle radio libere o degli indiani metropolitani, o delle prime importanti esperienze ecologiste?».
Un libro che rompe le rigide distinzioni destra e sinistra fu anche Il Signore degli Anelli. Che pensi di quel romanzo?
«Sotto le bandiere di quel fantasy si riunirono i lettori più irregolari, coloro che vedevano nel romanzo la critica alla società mercantile e al tempo stesso il richiamo al mito. La storia del modo in cui Il Signore degli Anelli penetrò nella cultura italiana deve tenere conto del ruolo che svolsero due personaggi molto lontani dal pensiero della sinistra: Elémire Zolla e Quirino Principe. Furono loro a riprendere in mano il lavoro della prima traduttrice, Vittoria Alliata, ea farne una sorta di manifesto culturale, non so quanto intenzionale».
Da quell’esperienza letteraria nacquero i “Campi Hobbit”. Chi furono i promotori?
«Diversi, tra cui io. Si riassumono in tre appuntamenti che organizzammo tra il 1977 e il 1980. I Campi Hobbit erano laboratori di pensiero alternativo».
Dicevi di essere uscito dal partito nel 1981. Come hai vissuto il distacco?
«Con dolore da un lato, perché la “decadenza da iscritto” decretata contro di me era ingiusta. Con sollievo dall’altro, perché la vita in un partito di cui non condividevo più gran parte della linea politica mi era diventata insopportabile».
Eri ha avviato una brillante carriera politica. Sei pentito di non averla fatta?
«Ho sempre reputato più importante difendere la mia libertà di pensiero, senza tuttavia abiurare alle mie scelte».
(da Repubblica)
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