VIVACCHIARE AL TEMPO DELLA CRISI, PREVALE TREMONTI: CHI MINACCIAVA FUOCO E FIAMME HA DOVUTO METTERE MANO AGLI ESTINTORI
SULLA PROPAGANDA ELETTORALE HA AVUTO LA MEGLIO LA FORZA DEI NUMERI: NESSUNO TAGLIO ALLE TASSE SAREBBE POSSIBILE IN QUESTO MOMENTO SENZA RISCHIARE LA BANCAROTTA… E BOSSI SI RITROVA CON UN PUGNO DI MOSCHE
La lunga e tremebonda giornata di vigilia del varo della manovra economica s’è conclusa ieri più per sfinimento che per vero accordo.
E’ rimasto deluso chi pensava, ed erano in tanti, che Berlusconi, come già fece nel luglio del 2004, alla fine sacrificasse Tremonti, e con lui il rigore dei conti pubblici, sull’altare della maggioranza, della stabilità politica e della necessità di recuperare consensi dopo due sconfitte elettorali.
Ma non ha potuto cantare vittoria neppure chi si aspettava che Bossi, mortificato nelle sue principali aspettative, dall’allentamento dei vincoli per la finanza locale al rifiuto dell’allungamento dell’età pensionabile per le donne, cogliesse l’occasione per far saltare il banco.
Al di là delle versioni di comodo, che parlano di una ritrovata «collegialità », la verità è che sui singoli obiettivi e sulle strategie personali, in conclusione, ha avuto la meglio la forza dei numeri e l’espediente di limitare al massimo gli interventi quest’anno e il prossimo, riservando le stangate più pesanti al 2013 e 2014 e a chi si troverà a governare nella prossima legislatura.
Ma anche se fino all’ultimo le cose potranno cambiare, per consolidare il fragile compromesso siglato ieri, sulla necessità di una manovra da quaranta miliardi, che potrebbero diventare quarantasette, per evitare di finire nel giro dei Paesi a rischio dell’Europa, nessuno ha potuto tirarsi indietro.
Ha un bel dire Berlusconi, di voler mantenere a qualsiasi costo la promessa fatta agli elettori ormai quasi vent’anni fa di tagliare le tasse.
Al momento, più di una legge delega che dia al governo i mezzi per l’eventuale riforma, senza alcuna certezza che davvero sarà fatta, non si può andare.
E ha un bel dire Bossi – soddisfatto neppure un po’ – che il Nord, i sindaci della Lega e i Comuni rigorosi hanno il diritto di spendere i soldi che hanno risparmiato: attualmente una qualche concessione ai cosiddetti virtuosi rischierebbe di aprire uno spiraglio, e poi una fessura, e poi un tunnel, a quelli che tali non sono stati, ma vogliono egualmente fare di testa loro.
Forse non si era mai vista una situazione del genere, in cui il governo, per non dire il principale ministro del governo, impone dall’alto, a qualsiasi livello, una linea obbligata: ma neppure si può far qualcosa per cambiarla, senza rischiare le sanzioni europee.
Si dirà che in un quadro del genere, dettaglio più dettaglio meno, Tremonti l’ha avuta vinta nuovamente, e i due principali soci del governo, gli alleati di ferro Berlusconi e Bossi, che avevano minacciato fuoco e fiamme in mancanza di una svolta nella politica economica, hanno dovuto metter mano agli estintori.
In realtà , sottotraccia s’intravede una tela che nel giro di pochi giorni ha cambiato contenuti e contorni.
Entrato nell’ultimo giro di trattativa, prima delle decisioni, a braccetto con il Senatur, Berlusconi s’è subito spostato al fianco del suo vituperato ministro dell’Economia quando ha capito che una forzatura sui conti e sul taglio delle tasse in questo momento poteva risultargli esiziale.
Il suo obiettivo principe era e resta arrivare al 2013 e concludere la sua seconda intera legislatura a Palazzo Chigi: al di là delle modeste realizzazioni del governo, rappresenterebbe per lui, fissato con i record sportivi, una sorta di scudetto, visto che nessun presidente del Consiglio della Prima o della Seconda Repubblica c’è mai riuscito.
Per questo s’è adattato a galleggiare, vivacchiare, durare purchessia, proseguendo nel percorso precario in cui è entrato da dicembre dell’anno scorso.
Bossi ha mezzo partito che vuol rompere, tutto o quasi il suo popolo che gli chiede di farla finita con il Cavaliere, ma si è convinto che non era il momento di buttare giù il governo e tagliare l’alleanza con il Pdl: non sarebbe stato un buon affare, nè per lui nè per il suo partito.
Romperà , questo è certo, un minuto prima delle elezioni, quando verranno.
E la Lega tornerà a correre da sola.
Resta da dire di Tremonti: stavolta più di altre ha visto la morte con gli occhi, e s’è salvato alla sua maniera: senza muovere un dito, senza spostarsi di un centimetro.
Marcello Sorgi
(da “La Stampa“)
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