VOLANO I PIATTI NEL PD: CIVATI ALL’ATTACCO, LA MINORANZA INIZIA LA GUERRA DEI NERVI
OTTO DEPUTATI CHIEDONO DI ESSERE SOSTITUITI IN COMMISSIONE, POI MARCIA INDIETRO… CIVATI: “O RENZI CAMBIA REGISTRO O NUOVO PARTITO”
Tornano a spirare venti gelidi tra la minoranza del Pd e i vertici del partito.
In attesa dell’assemblea nazionale convocata a Roma per domenica, otto deputati della minoranza del Pd in commissione Affari costituzionali della Camera hanno chiesto di essere sostituiti (e poi hanno fatto marcia indietro) per le votazioni degli emendamenti alle riforme, essendo in dissenso ma non volendo mandare “sotto” il governo e i relatori, come accaduto mercoledì scorso quando il governo è stato battuto sui senatori a vita proprio grazie ai voti degli esponenti della minoranza.
“Abbiamo lo stesso la maggioranza”, è stata la reazione ufficiosa dell’esecutivo, cui i fatti hanno dato ragione: i dissidenti, tra cui Rosy Bindi, Alfredo D’Attorre, Gianni Cuperlo, Roberta Agostini, non hanno partecipato al voto degli emendamenti all’articolo 3 del ddl Riforme (sui senatori nominati dal presidente della Repubblica), ma la decisione non ha fatto venir meno i numeri alla maggioranza che ha respinto tutte le proposte di modifica.
I deputati della minoranza del Pd sono quindi rientrati in Commissione.
“Per il momento non sono arrivate richieste di sostituzione”, ha riferito Emanuele Fiano, capogruppo in commissione e relatore alle riforme. L’unico ad essere sostituito — viene riferito — è il deputato di minoranza Giuseppe Lauricella assente per tutto il giorno. Con l’approvazione senza modifiche dell’articolo 3 rimangono nel testo i senatori di nomina presidenziale, nonostante la modifica dell’articolo 2 — su cui il governo è stato battuto — che ha cancellato dal Senato dei 100 la previsione dei 5 senatori nominati. Di fatto i 5 senatori sono ancora previsti dal testo firmato dal ministro delle Riforme Maria Elena Boschi: all’articolo 3, appunto, ma anche all’articolo 39.
La tensione non accenna a stemperarsi: passata la tempesta sull’articolo 3, la minoranza Pd minaccia ancora di abbandonare definitivamente i lavori.
Sulla decisione pesa la chiusura della maggioranza e del governo a modificare il sindacato preventivo di costituzionalità sulla legge elettorale.
La fronda del Partito Democratico (ma anche M5s e una parte di Forza Italia) chiede di cambiare la norma sul controllo preventivo di legittimità da parte della Corte costituzionale, chiedendo di rendere automatico il controllo, oppure di abbassare il quorum necessario in aula per la richiesta del parere preventivo e anche di far valere la norma anche per le leggi elettorali già in vigore prima della riforma costituzionale, in modo da sottomettere al controllo anche l’Italicum.
“Ho sempre detto che mai avrei lasciato la Commissione e che semmai mi dovevano sostituire loro — ha spiegato Rosy Bindi — detto questo se non ci dicono sì all’emendamento che introduce il giudizio preventivo della Corte sulla legge elettorale, allora con sdegno me ne vado”.
A poche ore dall’assemblea nazionale, Pippo Civati torna ad avvertire: “Se Renzi si presenta con il Jobs Act e con le cose che sta dicendo alle elezioni a marzo, noi non saremo candidati con Renzi”, ha detto il dissidente democratico durante l’iniziativa dell’associazione “E’ Possibile” a Bologna.
“Se Renzi continua così — ha aggiunto — un partito a sinistra del Pd si costituirà sicuramente, non per colpa nostra”. E a chi gli chiede cosa si aspetta dall’assemblea nazionale, Civati risponde ironico: “E’ un thriller, Renzi decide di notte… Ma io sto sereno come consiglia di fare lui da tempo: io non ho niente da perdere, qualcun altro ci perse palazzo Chigi”.
Mentre si avvicina a grandi passi la partita per il Quirinale, Civati spera in un dialogo con il M5S: “Sul presidente della Repubblica vorrei che stavolta da Grillo ci fosse un segnale chiaro, l’altra volta perdemmo un treno clamoroso. Grillo è sullo sfondo: mi aspettavo un po’ più di coraggio da Pizzarotti, un po’ più di interlocuzione con le altre forze politiche, io ho pochissimi parlamentari, Grillo invece ha ancora una larghissima rappresentanza”.
Riguardo i fischi e le contestazioni che hanno accolto Massimo D’Alema a Bari nella piazza dello sciopero di Cgil e Uil, Civati ha una sua idea: “C’è molta tensione, molta incomprensione anche tra gli elettori del Pd e c’è molto spaesamento, le persone non si sentono più rappresentate e ci individuano anche come un problema. Io ho avuto un’accoglienza migliore -ricorda Civati- ma ciò che è paradossale è che è la prima volta in cui sono andato ad una manifestazione della Cgil per la quale non solo non eravamo con loro ma addirittura eravamo oggetto degli attacchi. Quindi, è chiaro che le persone più note e che magari hanno anche qualche responsabilità in più siano più fischiate delle altre”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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