Maggio 10th, 2011 Riccardo Fucile
IERI SERA IL PRESIDENTE DELLA CAMERA HA PRESENTATO A MILANO IL LIBRO “L’ITALIA CHE VORREI” CON MASSIMO CACCIARI….E PARLANDO OGGI A MOLA, IN PUGLIA, RISPONDENDO AGLI STUDENTI, HA STIGMATIZZATO: “BERLUSCONI RISPETTI LA LEGGE”
L’incipit è di Gianfranco Fini: «Le prossime elezioni amministrative a Milano saranno decisive per definire il futuro rapporto Pdl-Lega».
La conclusione implicita del discorso del presidente della Camera è di Massimo Cacciari: «Se il centrodestra perde a Milano entra in una spirale di crisi tutto il sistema di alleanze di Pdl e Lega».
Elezioni ad alta tensione.
Con il leader di Fli che tira la volata al candidato del Nuovo Polo, Manfredi Palmeri: «Non è un candidato di parte, è il vero candidato della città ».
Prima la presentazione del libro «L’Italia che vorrei» con Cacciari all’Umanitaria (organizzata da una vecchia conoscenza della politica milanese, Fausto Montrone), poi la cena con i sostenitori di Palmeri all’Hotel Melià .
«Il risultato delle prossime amministrative – dice Fini – va ben al di là della decisione di chi potrà essere il futuro inquilino di Palazzo Marino».
Soprattutto per capire il futuro del centrodestra.
Il risultato del Nuovo Polo sarà essenziale per determinare il possibile nuovo corso: «Non sono un megalomane. Futuro e Libertà – continua Fini – forse sarà anche allo 0,1%, ma il semplice fatto che non perda occasione per attaccarci a testa bassa, dimostra che Berlusconi sa bene che il Terzo polo otterrà un consenso molto maggiore di ciò che lui va dicendo. Il Terzo polo raccoglie un sentimento presente nella pubblica opinione, che si è stancata del teatrino della politica».
Palmeri continua la sua campagna.
Portandosi sempre dietro la sedia vuota a simboleggiare il mancato confronto con Letizia Moratti: «Hanno ragione sia la Moratti sia Pisapia quando si accusano reciprocamente di non essere alla guida di coalizioni non adeguate alla città . Sono tutti e due al traino dei partiti più estremi nelle rispettive aree e schiacciati dalle e sulle posizioni più radicali. Milano, soprattutto in questa fase critica, non può essere governata dividendo ma unendo le migliori forze della città ».
Gianfranco Fini, incontrando gli studenti nella chiesa del Sacro Cuore a Mola di Bari, ha lanciato un nuovo messaggio all’ex alleato Berlusconi: “Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è un cittadino come tutti quanti gli altri: è tenuto quindi anche lui a rispettare le regole e le leggi della Repubblica italiana”.
Parlando di giustizia, Fini ha precisato quelli che secondo lui sono i ruoli dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario nei confronti della Costituzione: “Non esiste nemmeno da parte del Parlamento la possibilità di agire senza rispettare la Costituzione. Questo vale per il Parlamento, per il Governo, per la Magistratura e per il presidente della Repubblica”.
Rispondendo a una domanda degli studenti, il presidente della Camera ha ribadito: “In Italia nessuna carica può fare tutto senza rispondere del proprio operato ad altri. Sono i ‘pesi e i contrappesi’ previsti dalla Costituzione. Se così non fosse – ha continuato il leader di Futuro e libertà – ci sarebbe una situazione di squilibrio e mancherebbe una separazione rigida dei poteri”.
In riferimento al ruolo del Parlamento Fini ha sottolineato che le leggi non possono essere fatte solo in ragione della maggioranza che c’è in quel momento: “La legge deve rispettare la Costituzione, per questo c’è nell’ordinamento un organo supremo che valuta la conformità delle leggi ossia la Corte Costituzionale”.
Quanto alla proposta, rilanciata ieri da Berlusconi, di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sull’operato dei pubblici ministeri, secondo Fini si tratta di una cosa mai vista.
“Chiedere alla maggioranza che sostiene il governo di approvare una proposta di legge per una commissione parlamentare che debba indagare sui pm che stanno processando il presidente del Consiglio – ha sostenuto il presidente della Camera – mi sembra che non accada in nessuna democrazia del mondo”.
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Maggio 10th, 2011 Riccardo Fucile
PREPARA LA CORSA A SINDACO DI GENOVA NELLA CORNICE ESCLUSIVA DI VILLA ROSETTA A MULINETTI… OLTRE 250 INVITATI PER QUELLO CHE LA STAMPA DEFINISCE UN “GRANDE EVENTO MONDANO E POLITICO”… LA DITTA DI CATERING CHE GESTISCE LA VILLA E I COSTI DELLA CENA…E’ QUESTA LA SINISTRA DEI LAVORATORI, DEI PRECARI E DEGLI INDIGENTI?
Non sarà propriamente una cena per pochi intimi e neanche una festa tra cassa integrati. 
Non sarà rivolta ai giovani precari e alle donne disoccupate che spesso cita nei suoi interventi politici.
Non avrà come location la Sala Chiamata del porto o le aziende in crisi del ponente genovese.
Il prossimo compleanno della senatrice genovese del Pd Roberta Pinotti che festeggerà i suoi “primi 50 anni” sta assumendo la dimensione di un grande evento mondano e politico.
Una lunga lista di invitati eccellenti del mondo politico e imprenditoriale renderanno omaggio il 20 maggio alla senatrice che potrebbe lanciare così la sua candidatura a sindaco di Genova.
Non a caso tra i 250-300 invitati non figura l’attuale sindaco della città , Marta Vincenzi, stesso partito, ma in rotta di collisione con la Roberta e una buona parte della nomenklatura piddina genovese.
E’ indicativo il luogo prescelto per la festa di compleanno: la splendida Villa Rosetta a Mulinetti, a pochi chilometri da Recco, con vista mozzafiato sul mare.
Un luogo da Vip, un ambiente ricercato ed esclusivo, prescelto per matrimoni e cerimonie dall’alta borghesia genovese.
Leggendo il quotidiano locale, il Secolo XIX, viene evidenziato che la villa è un lascito della famiglia Queirolo Caffarena all’opera Don Orione e che in passato è stata pure sede distaccata del Centro di Solidarietà .
Probabilmente al Secolo XIX è stata passata la notizia per dare una immagine in fondo edulcorata, quasi che si fare una festa in quel luogo corrisponda a una opera pia.
In realtà la completa gestione della villa è stata da tempo affidata a una ditta specializzata di catering che stabilisce i relativi prezzi, certamente adeguati alla cornice e al servizio, ma non proprio proletari.
A parte l’affitto della location esiste poi un tariffario per la cena, con relativi orari di impegno del personale.
Il compleanno della Pinotti dovrebbe alla fine costare intorno ai 30.000 euro alla luce dei 250-300 invitati, forse anche qualcosa di più, dato che si parla di 100 euro a persona, esclusi gli extra servizi.
Fermo restando che ognuno è libero di impegnare le cifre che vuole e può, sarebbe interessante conoscere il parere della base elettorale del Pd che rincorre il voto dei ceti popolari e di tante famiglie genovesi che non riescono ad arrivare alla fine del mese.
E’ questa la sinistra dei precari, dei lavoratori, di chi spera nel cambiamento?
Sono questi i vezzi e le abitudini della casta politica di riferimento?
In momenti difficili come questi, è opportuno far veicolare un messaggio di opulenza e sprechi che rappresentano uno schiaffo per tanti genovesi indigenti?
Che città vuole rappresentare la Pinotti e il Pd?
Quella dei salotti buoni o quella del popolo?
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Maggio 10th, 2011 Riccardo Fucile
HANNO SBORSATO SOLO 22.000 EURO PER IL 20% DI UN GIORNALE CON UN GIRO D’AFFARI DI 40 MILIONI DI EURO, MA CHE RISCHIA IL CRAC SENZA CONTRIBUTI PUBBLICI… L’80% RESTA DELLA FONDAZIONE SAN RAFFAELE
Il primo annuncio risale al dicembre scorso, giusto pochi giorni prima di Natale.
Maurizio Belpietro e Vittorio Feltri diventano editori, annunciarono i diretti interessati con tanto di conferenza stampa.
I gemelli del gol del giornalismo di destra tornano a lavorare insieme e si comprano il 20 per cento dell’Editoriale Libero, che pubblica l’omonimo quotidiano.
I dettagli dell’operazione rimasero però nel vago, a cominciare dal prezzo d’acquisto delle quote, il 10 per cento ciascuno, rilevate dai due giornalisti.
C’è voluto qualche mese, ma alla fine il contratto è stato depositato.
E così si scopre che Belpietro e Feltri se la sono cavata davvero con poco. Per diventare azionisti di Libero hanno sborsato ciascuno 11 mila euro.
Poca cosa davvero, almeno a prima vista.
Solo 22 mila euro in tutto per assicurarsi il 20 per cento di un giornale che dichiara una diffusione di oltre 100 mila copie e vanta un giro d’affari superiore a 40 milioni di euro.
Possibile?
Nel contratto siglato il 28 febbraio scorso e da pochi giorni disponibile nelle banche dati della Camera di commercio compare nel ruolo di venditore la Fondazione San Raffaele, che resta proprietaria dell’80 per cento.
A conti fatti, quindi, l’intera società editoriale dovrebbe valere non più di 220 mila euro e le azioni sono passate di mano al valore nominale.
Nessuna transazione milionaria, quindi.
Libero vale quanto un bilocale nel centro di una grande città e i due direttori-editori si sono ricavati giusto un paio di stanzette gentilmente messe a disposizione dal padrone di casa.
Già , ma chi è il proprietario di Libero?
A libro soci, come detto, compare come azionista di controllo la Fondazione San Raffaele.
Quest’ultima sarebbe un ente senza scopo di lucro “impegnata — si legge nei documenti ufficiali — nella ricerca e gestione sanitaria nonchè nella diffusione della cultura e dell’informazione”.
L’Editoriale Libero, controllata dalla Fondazione San Raffaele, si limita a pubblicare il giornale.
La testata, cioè in sostanza il marchio del gruppo, è invece di proprietà della Finanziaria Tosinvest, di proprietà della famiglia Angelucci, che lo cede in affitto all’editore.
Questo schema complicato non nasce per caso.
Secondo l’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom) la complessa struttura proprietaria è stata ideata apposta per consentire agli Angelucci di incassare, senza averne diritto, milioni di contributi pubblici per i loro giornali. Una lunga indagine dell’Agcom, conclusa a febbraio, è arrivata alla conclusione che il giornale diretto da Belpietro con Feltri direttore editoriale è controllato in realtà da Antonio Angelucci, l’imprenditore della sanità laziale, nonchè deputato del Pdl, a cui fa riferimento anche il Riformista.
L’Autorità di controllo ha quindi condannato Angelucci a pagare una sanzione di 103 mila euro perchè servendosi di vari schermi societari ha cercato di nascondere il suo ruolo di editore di entrambi i giornali.
In questo modo sia Libero sia il Riformista negli anni scorsi hanno potuto accedere ai finanziamenti pubblici per l’editoria, che invece, in base alla legge, non possono andare a due testate collegate tra loro.
Risultato: quei soldi incassati senza averne diritto dovranno essere restituiti. In particolare, Libero dovrà rinunciare a 12 milioni di contributi messi bilancio nel 2009 come crediti per contributi e ad almeno altri 6 milioni per il 2010.
Particolare importante: senza quei contributi i conti di Libero sono destinati a sprofondare travolti dalle perdite.
Nonostante i generosi aiuti di Stato, nel 2008 così come nel 2009 il bilancio si è chiuso praticamente in pareggio, con profitti di poche migliaia di euro.
Non si conoscono ancora i dati del 2010, ma è difficile che la situazione sia cambiata di molto.
Il ritorno di Feltri, fondatore e a lungo direttore di Libero prima di andarsene al Giornale, è stato interpretato come una sorta di ultima spiaggia per salvare una testata in declino.
Adesso però, se davvero si chiude il paracadute dei soldi pubblici, il quotidiano berlusconiano rischia davvero il crac.
A meno che gli Angelucci non si decidano a mettere mano al portafoglio per chiudere le falle del conto economico.
A questo punto, bilanci alla mano, forse è più facile spiegare il modico prezzo pagato dalla nuova coppia di vertice per comprarsi una fetta della società editrice.
L’Editoriale Libero è una fabbrica di perdite, coperte fin qui solo grazie ai contributi pubblici.
E allora quei 22 mila euro versati dalla coppia Belpietro-Feltri sono una sorta di scommessa sul futuro del giornale.
Se il verdetto dell’Agcom fosse in qualche modo riformato allora nessun problema.
Se invece la sentenza dovesse diventare esecutiva, la società sarà costretta a batter cassa per molti milioni di euro.
A quel punto i due giornalisti editori dovranno decidere se fare la loro parte sborsando, questa volta, qualche milione, oppure sfilarsi dall’impresa.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 10th, 2011 Riccardo Fucile
PREMIER E PARTITO HANNO INTERESSI DIVERSI: NELLE COMUNALI DI DOMENICA L’IMPERATIVO CATEGORICO PER BERLUSCONI E’ CONQUISTARE IL SINDACO A MILANO E NAPOLI…. SE ALTROVE IL PDL CROLLERA’ LO ADDEBITERA’ AI DIRIGENTI DEL PARTITO
Per la prima volta gli interessi del Pdl coincidono solo in parte con le fortune elettorali del
Fondatore (una volta erano in due, ma l’altro ha fatto la fine di Remo).
Mai come ora Berlusconi è parso pronto a sacrificare il partito pur di salvare se stesso.
Nelle Comunali di domenica l’imperativo categorico del premier è: conquistare il sindaco nelle due metropoli in bilico, Milano e Napoli. Espugnare entrambe al primo turno sarebbe una prova di salute politica inaspettata; ma pure vincere i ballottaggi all’ombra tanto del Vesuvio che della Madunina gli andrebbe di lusso.
E in fondo in fondo perfino un pareggio, che equivarrebbe a riprendersi solo Milano lasciando Napoli alla sinistra, darebbe al Cavaliere la chance di tirare avanti con il governo, ammaccato ma ancora vivo, fino al capolinea della legislatura (primavera 2013).
Se tra sette giorni Berlusconi avrà centrato almeno uno di questi obiettivi, potrà dire: «Io cado sempre in piedi».
Per il Pdl è diverso. Quasi l’opposto.
Nell’ansia di sfangarla, Silvio mette in secondo piano la sorte della sua creatura politica.
Anzichè aiutarla a crescere, a piantare radici sul territorio, a tirar su una nuova classe dirigente, in qualche caso Berlusconi la trascura; in altri la sacrifica senza pietà .
Col risultato che il Pdl affronta il voto con la gioia del cappone sotto Natale, quasi vittima designata dal padre padrone.
E’ possibile, per fare un piccolo esempio, che la decisione berlusconiana di correre capolista a Milano possa rappresentare una spinta alla candidata Moratti.
C’è chi ne dubita e anzi teme l’effetto-boomerang della campagna ossessiva contro i magistrati, questo eccesso di personalizzazione sul premier tirata al punto che gli spot radiofonici pro Cavaliere implorano: «Se mi vuoi bene, votami».
Berlusconi teme la scarsa affluenza, l’astensionismo.
Il suo nome si perde in fondo alla scheda, bisogna cercarlo con cura…
Sta di fatto che Silvio si comporta come un’idrovora, asciuga lo stagno delle preferenze (se ne può esprimere al massimo una), i candidati Pdl boccheggiano tutti tranne l’unico che non dovrebbe nemmeno figurare in lista, quel Lassini venuto alla ribalta coi manifesti anti-pm.
Ma il vero conflitto d’interessi tra il premier e il suo partito riguarda essenzialmente Bossi.
Per quieto vivere, il Cavaliere consentì mesi fa alla Lega di presentarsi con candidati propri, contrapposti a quelli del Pdl, dove meglio credeva.
In pratica, Berlusconi diede il via a una sfida dove i suoi campioni sono destinati al massacro.
Per il semplice motivo, dicono in via dell’Umiltà , «che noi combattiamo con le mani legate».
Bossi fa una campagna spregiudicata, ormai si distingue su tutto, specie sulle decisioni impopolari, da Parmalat al nucleare.
Il caso più eclatante? La Libia, che provoca al premier vistosi cali di immagine.
Il Carroccio non si fa scrupoli di condannare la guerra. Il Pdl invece non ha scampo, può solo trangugiare le scelte governative, subendone gli alti (pochini) e i bassi (parecchi).
Ricapitolando con le parole di Osvaldo Napoli il quale, tra l’altro, da domenica sarà vicepresidente vicario Anci e di contese locali ne capisce: «Tolte Milano e Napoli, che sono affare di Berlusconi, tutto il resto andrà in carico al partito. Ed è lì che il Pdl dimostrerà di esserci o no».
Specie nel confronto diretto con la Lega. A Bologna. A Trieste. In quello che sta diventando il simbolo della disfida, con Bossi che vi comizia un giorno sì e l’altro pure, cioè Gallarate.
Guerra crudele perchè, se al primo turno la spunta il candidato sindaco del Pdl, poi non è detto che la Lega dia un sostegno compatto nel ballottaggio, specie a Trieste.
E comunque lo scontro fratricida è destinato a spingere in alto i padani nel voto di lista, a detrimento di chi si capisce.
In generale la prospettiva del Pdl è grama.
Ben che vada al partito del Cavaliere, può liberare Rimini dai «comunisti», e allora giù il cappello.
Tuttavia rischia di perdere Latina, mai a sinistra negli ultimi 90 anni, comprendendo l’era del Fascio.
Ai vertici Pdl si spera in un colpo di reni a Catanzaro e a Cosenza, si teme invece per Reggio Calabria…
I triumviri Pdl (Verdini, Bondi, La Russa) incrociano le dita ma sanno già come va a finire: salvo miracoli, Berlusconi darà la colpa a loro.
Ugo Magri
(da “La Stampa“)
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Maggio 10th, 2011 Riccardo Fucile
ANCHE IERI ALLONTANATI DI PESO DUE CONTESTATORI FUORI DAL TRIBUNALE DI MILANO, MENTRE LA SANTANCHE’ PUO’ INSULTARE I MAGISTRATI, BERLUSCONI DEFINIRLI CANCRO E I SUOI FANS OCCUPARE DA SETTIMANE IL PIAZZALE DEL TRIBUNALE
Giorgio Ambrosoli, Emilio Alessandrini, Guido Galli: le tre gigantografie campeggiano sopra l’ingresso principale del palazzo di giustizia di Milano. L’avvocato “eroe borghese” ucciso da un killer mafioso mandato da Sindona e i due magistrati milanesi ammazzati dai terroristi.
Nel giorno della memoria, così il presidente del tribunale, Livia Pomodoro, ha voluto ricordare tutti i caduti per la legalità .
Una risposta ai manifesti che dicevano “Via le Br dalle procure” e alle dichiarazioni di Silvio Berlusconi sui giudici “cancro della democrazia”.
Mentre all’interno del palazzo il presidente del Consiglio ripeteva i suoi attacchi, fuori la scena è occupata da una trentina di fan di Berlusconi e una dozzina di oppositori.
Una signora pittoresca inalbera su un manico di scopa un collage autoprodotto contro i “magistrati politicizzati” e scritta a pennarello: “Silvio è uomo dell’amore, non dell’odio”, con tanto di ragazza bunga-bunga ritagliata da un giornale.
Quando da un’uscita laterale del tribunale esce Daniela Santanchè, i contestatori l’accolgono con grida ironiche: “Daniela, ti vogliamo bene. Daniela passa di qua. Daniela ti vogliamo anche sul calendario”.
Non avevano ancora sentito le sue dichiarazioni alle telecamere: “Oggi è la giornata della memoria, bisogna ricordare tanti magistrati caduti per difendere lo Stato dal terrorismo, ma qualche pm non serve lo Stato. Ha ragione Berlusconi, certi magistrati sono un cancro della democrazia. Io aggiungerei: una metastasi”.
E ai cronisti che la incalzano: “Volete un nome? La Boccassini è un cancro della democrazia”.
Poco prima delle 14, l’auto di Berlusconi esce dal tribunale.
Nessun discorso, questa volta, solo un saluto con la mano dal finestrino.
Un cinquantenne s’infila tra i sostenitori di Silvio.
Ha un cartello che dice: “Un’Italia senza Berlusconi è un’Italia migliore, un’Italia senza berlusconiani è un’Italia perfetta”.
Si chiama Adriano Montanarelli, viene subito circondato dai poliziotti in borghese e portato via di peso.
Ai cronisti che gli chiedono la sua appartenenza, spiega di non aver mai fatto politica, ma di essersi iscritto un anno fa al Pd.
A metà mattinata era stato il presidente di un autoproclamato “Movimento per la giustizia”, Pietro Palau Giovannetti, a essere sollevato di peso dai poliziotti e allontanato.
“Vergogna , vergogna”, urlano i contestatori del presidente del Consiglio.
E poi: “Democrazia, democrazia”. E “Siamo tutti Scilipoti”.
Ma l’auto blu del presidente è già lontana.
Ma che strana democrazia: da settimane la claque del premier occupa il marciapiede davanti a Palazzo di Giustizia e nessuno li ha mai identificato o allontanati.
Se però un cittadino con uguali diritti si permette di esprimere dissenso, viene trascinato via di peso, identificato e spintonato lontano.
A quando una disposizione per restituire al Palazzo di Giustizia milanese la sua dignità ?
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Maggio 10th, 2011 Riccardo Fucile
I SOCCORSI IN MARE AL BARCONE DI IMMIGRATI PROVENIENTE DAL NORDAFRICA CON 500 PERSONE A BORDO…”NON PENSI AL PERICOLO, MA SOLO A TIRARLI FUORI”…E’ QUESTA LA NOSTRA ITALIA, QUELLA DEI VALORI E DELLA SOLIDARIETA’, NON QUELLA DEI RAZZISTI E DEI PUTTANIERI
“Davanti a te ci sono donne con gli occhi sbarrati su quel mare nero che si agita sotto di
loro e sbatte violento contro rocce appuntite come lame. Non ti chiedono di essere salvate, ma allungano le braccia per mostrarti il loro bambino. È lui che devi strappare dalle onde, è lui che devi portare a riva. Questo implorano in una lingua che non conosci. E allora che fai, pensi ai tuoi di figli, alla tua di famiglia, alla tua di casa?”.
C’è un’Italia che l’altra notte a Lampedusa ha stracciato il motto nazionale del “tengo famiglia” e ha gettato cuore, corpo e anima sulla scogliera di quel lembo d’Europa vicinissima ai dolori dell’Africa.
Sono uomini che indossano una divisa (finanzieri, poliziotti, carabinieri), volontari e persone comuni che le divise le vedono nelle serie tv, nessuno di loro ha avuto bisogno di ordini.
Tutti hanno capito subito quello che bisognava fare: lanciarsi nelle acque fredde sotto la scogliera del Cavallo bianco e salvare quell’umanità naufraga. L’appuntato scelto della Guardia di finanza Cristian Scuderi ai suoi di figli non ha pensato neppure per un attimo.
“Diciamo che ci ho pensato dopo e il freddo che avevo addosso per gli abiti bagnati da ore è diventato insopportabile”.
Come gli altri suoi colleghi era lì, nella notte tra sabato e domenica.
A un passo dalla tragedia. “Non avrei mai immaginato che nella mia vita avrei contribuito a salvare 500 vite. Ero sul peschereccio assieme a un mio collega, lui tentava di governare un timone sfasciato, quando c’è stato l’impatto con le rocce è stato terribile. La barca si è incrinata tutta su un lato, la gente si muoveva disordinatamente, vedevo donne che stringevano bambini piccolissimi tra le braccia. Il terrore aveva preso tutti. Alcuni si erano nascosti sotto coperta, il posto più insicuro in caso di naufragio, e non volevano muoversi. Sono caduto in una botola, mi sono rotto il mento, ed è proprio vero che quando l’adrenalina è a mille non senti neppure più il dolore. Ai miei figli ho pensato dopo, quando ho visto quei bambini terrorizzati dal mare. Li abbiamo salvati ma per ore non hanno sorriso, avevano lo sguardo fisso nel vuoto”.
Quando sul radar si avvista un “obiettivo” (così vengono chiamate le barche dei boat-people), una motovedetta della Guardia di finanza lo avvicina, se ci sono le condizioni di vento e di mare si cerca di trainare l’imbarcazione in porto, ma quella notte il mare era forza 4 e il vento di scirocco soffiava forte. È in momenti come questi che entrano in azione i “saltatori”, li chiamano così i finanzieri addetti a saltare sulla barca e a pilotarla in acque sicure.
Il nocchiere Giuseppe Cappuccio è uno di loro. “Quando ti avvicini alla barca non devi avere esitazioni. Sei sulla motovedetta, le onde puntano a sbatterti contro la fiancata dell’imbarcazione che devi abbordare. Ci vuole massima sincronia fra te e il comandante della motovedetta, ti devi concentrare e scegliere il momento giusto per saltare. Se sbagli finisci in acqua e rischi di essere schiacciato tra le due fiancate o di annegare e risucchiato dalle eliche”.
Così è morto uno dei tre profughi della scogliera del Cavallo bianco. Schiacciato.
“Quando sono salito sul peschereccio mi sono messo subito al timone. Sembrava l’inferno, la gente urlava impaurita. Li tranquillizzavo dicendogli ship, ship, sta arrivando la nave, siete salvi. Quando ho capito che i comandi non rispondevano più e il peschereccio era fuori controllo e stavamo andando a sbattere sulle rocce ho urlato a tutti di abbracciarsi. Ho usato i gesti e quel poco di inglese che so. Si stringevano tutti. L’impatto è stato tremendo. Un tonfo che non dimenticherò mai”.
Divise e taccuini. Elvira Terranova è una cronista dell’agenzia AdnKronos, da mesi fa la spola tra Palermo e Lampedusa, la notte del naufragio era anche lei sugli scogli.
“Quando ho visto quella scena il cuore mi è arrivato in gola: 500 persone rischiavano di annegare a pochi metri dalla salvezza. Ho chiuso il taccuino e l’ho messo in tasca, ho appoggiato a terra la digitale e d’istinto mi sono gettata in acqua per diventare un anello di quella grande catena umana. Mi passavano i bambini fradici d’acqua, infreddoliti, impauriti. Un piccolo l’ho preso in braccio, era nudo, solo una croce al collo, un pezzo di ghiaccio. Ricordo un ragazzo che è uscito dall’acqua salvato dai sub, mi ha vista e mi ha abbracciata. Che Dio ti benedica, mi ripeteva in continuazione”.
Corrado Empoli è un Commissario di polizia, dirige gli uffici di Canicattì, ma è da mesi a Lampedusa.
Per la sua umanità lo chiamano il “Montalbano dei migranti”.
“Avevamo appena concluso uno sbarco con 800 persone, tutto era andato bene, quando intorno alle 4 abbiamo sentito le sirene di una motovedetta, alle nostre spalle, verso la collina, sentivamo delle urla. Ci siamo andati e abbiamo visto l’inferno. È stata durissima, ho visto uomini delle forze di polizia, civili e volontari, dare il massimo, senza risparmio”.
Accanto al commissario il giovanissimo tenente della Finanza Miserendino, 28 anni appena.
Si è buttato in acqua vestito, ha allungato le braccia con le mani aperte senza sosta per prendere bambini da passare ai volontari sugli scogli.
Sempre così per ore.
Quando tutto è finito, tutta la gente era in salvo, i suoi uomini tornati sulla terraferma ad asciugarsi, è sparito.
Lo hanno visto su uno scoglio, la testa fra le mani.
Libero di piangere, finalmente.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Maggio 10th, 2011 Riccardo Fucile
SUL TAVOLO DI TREMONTI IL PROGETTO PER TAGLIARE GLI SPRECHI: BOCCIATO IL METODO DEI TAGLI LINEARI E A PIOGGIA… ATTESI TRE ANNI PER AVERE IL QUADRO TEORICO, QUANTI NE TRASCORRERANNO ORA PER L’INTERVENTO REALE?
Tra una decina di giorni il ministro dell’Economia si ritroverà sulla scrivania il primo rapporto analitico su come tagliare la spesa pubblica.
Lo studio suggerirà come snellire il bilancio dello Stato mettendo al bando le inefficienze: dagli sprechi delle auto blu, ai farmaci che in alcune regioni raggiungono costi esorbitanti; dalle tecnologie a volte obsolete a volte troppo sofisticate, comunque poco adatte alle capacità dei dipendenti; fino agli enti inutili e mai estinti.
Ci sono voluti tre anni per avere un quadro della situazione?
Non erano già stati garantiti da Calderoli interventi in tal senso?
Nulla, siamo sempre alla fase teorica: se per quella ci sono voluti tre anni, per quella pratica chissà quante altre chiacchiere dovremo ascoltare.
Giulio Tremonti aveva affidato questa gravosa analisi ad un tecnico bipartisan tra i più accreditati in via Venti Settembre: Piero Giarda, dal 1996 sottosegretario alle Finanze nel primo governo Prodi, è oggi coordinatore del “Gruppo di studio sulle voci di spesa nel bilancio pubblico”.
Il lavoro in verità mette in discussione il metodo Tremonti, quello dei “tagli lineari” e indiscriminati ai bilanci ministeriali che tante polemiche sta suscitando.
Suggerisce, semmai, la strada inglese della selezione delle spese (“spending review”).
Soluzione – spiega il rapporto – che porterebbe a “cancellare interi pezzi dell’intervento pubblico perchè non più rilevanti”.
All’interno dello studio di 40 pagine sono elencati orrori burocratici degni suddivisi in tre grandi categorie: inefficienze produttive, gestionali ed economiche.
Ecco alcuni esempi: due o più impiegati per svolgere mansioni che talvolta nemmeno necessitano di intervento umano; l’uso spregiudicato di costose auto blu, oppure di risorse e mezzi pagati profumatamente dallo Stato. L’analisi promette di indicare opere pubbliche vitali con cantieri semideserti, e opere inutili ben sovvenzionate, portate a temine con incredibile (e sospetta) celerità .
La Relazione della Corte dei Conti del 2009 segnala già casi clamorosi di spreco.
Uno dei temi centrali è quello delle auto blu, un disastro tutto italiano nel quale il ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, promette da tempo di mettere le mani.
In questo ambito, l’obiettivo resta quello di tagliare la spesa annua di almeno la metà entro il prossimo anno.
Perchè le uscite, in questo specifico settore, raggiungono la ragguardevole cifra di 4 miliardi l’anno.
Sono soldi spesi per mantenere in vita il sistema dei “taxi” di Stato, 10 mila dei quali sono a completa disposizione del mondo politico.
Secondo lo studio messo a punto dalla Pubblica amministrazione, in Italia le auto blu da tagliare sono 90 mila.
Meglio puntare – si suggerisce – sulle più convenienti formule “tutto compreso” offerte dai noleggiatori di flotte auto.
Altra battaglia che si annuncia durissima per i tecnici di Tremonti è quella dei farmaci.
Un recente studio del Codacons punta l’indice proprio sui costi esorbitanti in alcune regioni: in Sicilia, ad esempio, i medicinali costerebbero più che nel resto d’Italia, con scarti che vanno dai 20 euro ai 250 euro.
Sullo sfondo l’analisi lascia intendere che solo il taglio degli sprechi di Stato potrebbe portare ad un alleggerimento delle tasse.
Tasse che sono una delle maggiori zavorre per l’economia italiana.
Da un lato, scoraggiano gli imprenditori dal rischiare denaro in nuove attività . Dall’altro, lo Stato spende tanti soldi riscuotere i tributi: e gli oneri – a volte – sono superiori ai benefici incassati.
Lucio Cillis
(da “La Repubblica“)
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Maggio 10th, 2011 Riccardo Fucile
COSA DICE LA NORMATIVA VIGENTE, QUANTI MIGRANTI SONO GIA’ ARRIVATI IN ITALIA, COSA PREVEDE L’ACCORDO CON LA TUNISIA, DOVE VERRANNO SISTEMATI I LIBICI, COME STA FUNZIONANDO L’ORGANIZZAZIONE….LE TANTE RISPOSTE ALLE DOMANDE CHE SI PONE IL CITTADINO ITALIANO
Chi ha lo status di profugo?
Negli ultimi giorni sono sbarcati 1500 migranti: il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha dichiarato che sono profughi e non migranti. Perchè?
Quando si parla di profughi si intende chi si è allontanato dal Paese di origine per le persecuzioni o per una guerra, ma è un’indicazione generica.
Dal punto di vista giuridico si usa più propriamente la parola rifugiati: sono coloro che hanno ricevuto dalla legge dello Stato che lo ospita o dalle convenzioni internazionali lo status di rifugiato e la relativa protezione, ovvero l’asilo politico.
Come si fa ad essere sicuri che tra i profughi non si mescolino dei clandestini?
E’ impossibile esserne sicuri. «Save the Children» ricorda che molti profughi provenienti dalla Libia, originari dei Paesi del Corno d’Africa, sono ai confini della Tunisia, nei campi di accoglienza.
Ma è altrettanto vero che molti tunisini possono mescolarsi ai profughi, arrivare sulle stesse imbarcazioni e sfuggire ai controlli per l’identificazione, una volta in Italia.
Da qualche giorno, infatti, sembra essersi rotta definitivamente la tregua degli sbarchi di immigrati a Lampedusa.
Proseguono gli arrivi di tunisini che, invece, vengono considerati migranti economici e, dunque, non rientrano fra coloro che hanno diritto alla protezione prevista dall’Italia e comunque dallo status di rifugiato.
Che cosa prevede l’accordo sottoscritto con la Tunisia il 5 aprile?
Il rimpatrio per i migranti arrivati dopo quella data, ma anche per altri 800, giunti prima che fosse siglata l’intesa, numero raggiunto nei giorni scorsi. Prevede, poi, un’azione preventiva di cui Maroni non ha precisato i dettagli, se non promettendo che si sarebbero «chiusi i rubinetti» degli arrivi e che si sarebbe realizzato un rafforzamento della collaborazione tra forze di polizia.
Qual è il bilancio degli arrivi finora?
I migranti giunti in Italia sono 33 mila dall’inizio dell’anno, secondo i dati forniti dall’agenzia europea Frontex.
Una trentina ha pensato a una soluzione diversa dalle previsioni: il ritorno volontario in patria. L’Oim, l’organizzazione Internazionale per le migrazioni, ha annunciato, che sta sostenendo i primi casi di ritorno volontario di nordafricani già in possesso di permesso di soggiorno temporaneo.
La procedura, finanziata con fondi europei, è gestita dal ministero dell’Interno e si avvale del programma «Partir» messo a punto dall’Oim, che in due anni ha permesso il ritorno volontario di oltre 400 migranti, che hanno ottenuto un biglietto aereo e 200 euro.
L’Italia chiede da mesi maggiore solidarietà e aiuto da parte dell’Ue. Che cosa farà l’Unione?
Al Consiglio d’Europa di giovedì si parlerà del rafforzamento dei controlli sui confini del Frontex. Sono le richieste italiane, e il governo spera adesso alcune aperture dopo l’irrigidimento iniziale.
Nel frattempo è in corso l’accoglienza dei profughi nelle strutture italiane. Come procede?
Con molte difficoltà . Le regioni dovranno trovare 10mila posti per accogliere gli immigrati e, per questo motivo, verrà ripartito dal commissario straordinario per l’emergenza, nonchè capo della Protezione civile umanitaria, Franco Gabrielli, un primo stanziamento di 5 milioni di euro.
Nonostante ciò, molte Regioni protestano.
In Lombardia, per esempio, dove il sindaco di Lodi ha denunciato confusione nell’assegnazione dei profughi del Nord Africa ai singoli Comuni. E ha chiesto di attenersi agli accordi Stato-Enti Locali di inizio aprile.
Che cosa prevedono questi accordi?
Piccoli insediamenti di immigrati distribuiti in tutta Italia, no alle tendopoli, coinvolgimento in prima battuta della Protezione Civile, insieme con le Regioni e gli enti locali, concessione dell’articolo 20, ovvero del permesso temporaneo di soggiorno.
E soprattutto si sottolineava che vi sarebbe stata una divisione equa dei profughi sul territorio e un’organizzazione delle risorse.
Ed invece?
C’è stata molta disorganizzazione.
Il sindaco di Lodi racconta di come si pensi di risolvere il problema pagando l’albergo ai profughi per 10 giorni, lasciandoli poi in carico ai Comuni, senza che si assegnino loro risorse adeguate.
A Gallarate 48 rifugiati hanno trascorso la notte sui furgoni della Protezione civile. Sono originari della Libia, tutti richiedenti asilo, ma Gallarate li ha mandati via, sostenendo di non aver ricevuto alcuna comunicazione ufficiale del loro arrivo.
Flavia Amabile
(da “La Stampa“)
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Maggio 10th, 2011 Riccardo Fucile
ANNA LAZZARIN, PRIMO CITTADINO DI VEGGIANO, IN VENETO: “SIAMO IN TANTI A DOVER GESTIRE L’EMERGENZA DA SOLI”… E ZAIA NON SA NEANCHE DI COSA SI PARLA
“Davanti alle scelte difficili siamo stati lasciati soli dai partiti, dobbiamo studiarci le ordinanze e applicarle seguendo l’istinto e le necessità del territorio, nessuno ci dice come”.
È la solitudine dei primi cittadini, dei tanti sindaci di piccoli paesi che si sentono lontani dal partito e abbandonati dai politici regionali e nazionali del loro stesso schieramento.
Accade per esempio ad Anna Lazzarin, sindaco di Veggiano, un concentrato di campi arati e villette lungo la statale che collega Padova a Vicenza , e di asili nido ricavati in austere ville venete in mezzo a parchi potati di fresco.
A Veggiano abitano molti agricoltori, ma anche famiglie giovani con bambini. Persone piene di progetti rimasti impigliati sotto la piena che i primi di novembre ha danneggiato case, campi, ristoranti e negozi, in un filotto di paesi rovesciati dal fango e dall’acqua.
“Prima ero un sindaco come tanti, avevo la mia privacy, poi la mia alluvione ha cambiato tutto”.
Lazzarin la chiama “la mia alluvione”, che le fa suonare il cellulare ogni momento, per cui riceve cittadini ogni minuto della giornata.
“Vengono a suonare a casa mia, mi chiedono aiuto; io capisco, ma non ho più pace”.
Dopo l’alluvione uno staff di psicologi dell’Ulss ha preso postazione in municipio per fronteggiare le ansie di cittadini (e anche del sindaco ).
“Io ho una farmacia: le persone vengono a chiedere tranquillanti per calmare l’ansia, qualcuno cova un esaurimento nervoso”.
Sì perchè Anna Lazzarin, 46 anni e tre figlie da crescere (l’ultima ha 7 anni) è anche la farmacista del paese, un’attività che gestisce in società col fratello. Una signora laureata e benestante, con un impegno nella vecchia Dc confluita poi nel Pdl: “Non mi sono mai tesserata, oggi non mi riconosco più in questo partito e in un governo che non mi rappresenta, nè come piccola imprenditrice nè come amministratrice pubblica”.
La sindachessa è stata eletta nel 2007 grazie a una strana alleanza Pdl-Pd contro la Lega, un sodalizio che tuttora dura.
“I leghisti in consiglio comunale mi votano sempre contro, anche se sono direttive dalla Regione e quindi provenienti dai vertici della Lega”.
Dopo l’alluvione la sindachessa manda a memoria le ordinanze del governo sugli aiuti. “Zaia mi prende in giro, dice: allora sindaco so che è un’esperta di ordinanze di Berlusconi è vero?”.
Una dedizione da cui invece Zaia è lontano, almeno secondo Lazzarin, che ha messo in piedi una squadra di sindaci arrabbiati e agguerriti quanto lei, uniti dallo stesso sentimento di abbandono e solitudine.
Sono i primi cittadini dei luoghi più colpiti dall’alluvione, i sindaci di Bovolenta, Casalserugo, Ponte San Nicolò e Saletto.
Il primo aprile dopo molte insistenze sono stati ricevuti da Zaia. “Si è presentato con il super dirigente incaricato dell’alluvione Mariano Carraro, l’assessore alla protezione civile, quello all’ambiente e 12 tecnici. Quando li abbiamo visti ci siamo detti: allora gli abbiamo davvero fatto paura”.
E quindi? “Mi sono chiesta: c’è qualcosa di peggio dell’alluvione? Si, è trovarsi davanti a un presidente di Regione impreparato e confuso, che non sa nulla e non si è informato per niente di quello che noi e tutti gli altri paesi colpiti abbiamo dovuto sopportare”.
La sindachessa ha chiesto 13 milioni di danni, ne sono già arrivati 3,9.
“Non voglio gli altri soldi subito, vorrei sapere quanti me ne daranno e soprattutto quando”.
Invece dalla riunione non è uscita nessuna certezza, anzi: “Io esponevo i fatti e Zaia continuava a chiedere ai suoi se era vero quello che dicevo perchè non ne sapeva nulla”.
Alla fine Zaia ha pregato i sindaci di non informare dell’incontro la stampa e Carraro di andare a Roma a chiedere altri soldi.
Ha assicurato che sui tempi dei lavori pubblici e sulle erogazioni per quelli privati avrebbe informato i sindaci entro Pasqua.
“Siamo a maggio e ancora non sappiamo nulla”.
Erminia della Frattin
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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