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“IL PADRE E LA MADRE DEI BAMBINI NON SI SONO MOSTRATI COLLABORATIVI” : CLAUDIO COTTATELLUCCI, PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE DEI MAGISTRATI PER I MINORENNI E LA FAMIGLIA, DIFENDE LA DECISIONE DEI COLLEGHI DELL’AQUILA CHE HANNO TOLTO I TRE BIMBI ALLA FAMIGLIA DI NATURISTI CHE VIVE NEL BOSCO, IN PROVINCIA DI CHIETI

Novembre 25th, 2025 Riccardo Fucile

“DALLA POLITICA PAROLE INAUDITE. SI È PROVATO IN 13 MESI A MUOVERSI CON DELLE PRESCRIZIONI. ERA STATA CHIESTA UNA VISITA NEUROPSICHIATRICA PER I BAMBINI. A PROVOCAZIONE, I GENITORI HANNO CHIESTO 50.000 EURO A FIGLIO PER FARLI VISITARE”… BARBARA ROSINA, PRESIDENTE DELL’ORDINE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI: “L’ALLONTANAMENTO È L’EXTREMA RATIO, PREVISTA SOLO QUANDO TUTTI I TENTATIVI FALLISCONO”

«L’unica cosa di cui non si sentiva il bisogno in questa vicenda così delicata e complessa è di una contrapposizione manichea». Da Claudio Cottatellucci, giudice del tribunale di Roma e presidente dell’associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia, parte un invito «ad avere fiducia nel processo».
Presidente Cottatellucci, quello che tutti si chiedono è appunto quale sarà ora il processo che attende questa famiglia divisa.
«Cominciamo spiegando che il provvedimento adottato dal tribunale dei minori de l’Aquila è provvisorio. I giudici sperano ancora di attivare i genitori in senso positivo. Dalle carte, se ci si prendesse la briga di leggere il decreto prima di utilizzare parole inaccettabili di condanna sull’operato dei magistrati, appar evidente che si è provato a percorrere la strada del recupero delle funzioni genitoriali, ma senza fortuna. Il padre e la madre di questi bambini finora non si sono mostrati collaborativi».
L’istruttoria su questa famiglia va avanti da più di un anno. Sono state provate altre strade prima di portare via i bambini?
«Ma certo che sì, come sempre si fa in questi casi. Questi tredici mesi non sono stati un tempo morto. I tribunali provano prima con delle prescrizioni, ma sono misure civili non penali. E se le famiglie non le osservano c’è poco da fare.
Era stata chiesta una visita neuropsichiatrica per valutare la condizione dei bambini, è stata rifiutata. Anzi, a provocazione, i genitori hanno avanzato la richiesta di 50.000 euro a figlio per farli visitare. E allora, quando ogni altra strada è sbarrata, si arriva davanti al dilemma che nessun giudice dei minori affronta a cuor leggero».
Lei conosce personalmente la giudice Cecilia Angrisano che ha preso questa decisione?
«Intanto la decisione è stata collegiale, frutto di confronto. La collega è esperta ed equilibrata e immagino quanto sia difficile questo momento per lei, che ora è molto preoccupata per questa escalation di odio e attacchi».
Provocata anche dagli interventi della politica?
«Certamente ho sentito parole inaudite, come sequestro di persona, uno stravolgimento dell’alfabeto minimo. Ci vorrebbe più rispetto non solo per i giudici ma proprio per l’esercizio della giurisdizione. La sollecitazione del ministero della Giustizia, l’annuncio di un’ispezione, il richiamo al prossimo referendum sulla separazione delle carriere che non c’entra proprio nulla. Per fortuna il Csm ha aperto una pratica a tutela dei colleghi de l’Aquila. L’esperienza di Bibbiano non ha insegnato nulla ».
Che ora quale potrebbe essere?
«Questa famiglia ha un avvocato che sta suggerendo delle strade e ha dieci giorni per proporre appello, c’è un curatore speciale che sta seguendo questi minori.
Non ci sono solo i giudici, c’è una platea di soggetti con un unico obiettivo: il benessere dei minori ».
«Non possiamo consentire che la sofferenza dei bambini diventi uno strumento di propaganda». Barbara Rosina, presidente dell’Ordine nazionale degli assistenti sociali, è amareggiata per l’ondata di polemiche esplosa con il caso della cosiddetta «famiglia del bosco», in Abruzzo
Rosina, perché ogni volta che emerge un caso di tutela minorile
si parla di «bambini strappati»?
«C’è chi continua a usare ogni vicenda che coinvolge minori per fare propaganda. Dire che gli assistenti sociali “strappano” i figli significa ignorare che le decisioni non vengono mai prese da soli: sono condivise con magistrati, psicologi, educatori, psichiatri. Esistono protocolli nazionali, linee guida, valutazioni tecniche. Nessun intervento nasce all’improvviso».
Il caso di Bibbiano ha inciso?
«Abbiamo dovuto ricostruire la fiducia con le famiglie seguite. È stato un lavoro enorme, perché quei casi hanno amplificato la narrativa falsa secondo cui gli assistenti sociali agiscono per impulso personale. È molto pericoloso veicolare un messaggio del genere».
Come si lavora con una famiglia in difficol«Partendo sempre dal supporto. Le segnalazioni aprono percorsi lunghi: mesi, alcune anche più di un anno. Si propongono interventi educativi a domicilio, sostegni scolastici, accompagnamenti quotidiani, aiuti pratici per la gestione della vita familiare.
L’obiettivo è mettere i genitori nelle condizioni di farcela.
L’allontanamento è l’extrema ratio, prevista solo quando tutti i tentativi falliscono e quando c’è un rischio reale per la salute, la
crescita o la sicurezza dei bambini».
Eppure, se pensiamo al caso abruzzese, nel dibattito si sostiene che quei bambini sarebbero stati «più felici» in famiglia. Cosa ne pensa?
«Che l’amore non basta. La letteratura scientifica è chiara: servono scuola, cure sanitarie, relazioni sociali, una rete familiare, un contesto che favorisca uno sviluppo sano. Non è un’opinione, è un dato».
Cosa accade durante l’allontanamento?
«La premessa è che nella maggioranza dei casi è temporaneo. Ad ogni modo, non è mai l’obiettivo finale».
Da dove nasce questa ostilità verso gli assistenti sociali?
«Dal fatto che siamo una delle pochissime professioni che entrano nelle case per valutare la sicurezza dei bambini. Questo genera paura e conflitto».
La presidente del Consiglio e il ministro della Giustizia stanno valutando l’invio di ispettori. Che effetto le fa?
«È legittimo verificare gli atti. Ma annunciare “ispezioni” prima ancora di dialogare con i professionisti significa usare un gesto tecnico come arma politica. Così si costruisce il sospetto e si indebolisce un sistema che tutela i più fragili. È gravissimo,
perché delegittima la capacità dello Stato di proteggere i minori».
(da La Stampa)

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LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE: “OBBLIGATORIO RICONOSCERE I MATRIMONI GAY CONTRATTI NEGLI STATI MEMBRI”

Novembre 25th, 2025 Riccardo Fucile

IL TRIBUNALE DEL LUSSEMBURGO SI E’ PRONUNCIATO SUL CASO DI UNA COPPIA POLACCA SPOSATASI IN GERMANIA

«Uno Stato membro ha l’obbligo di riconoscere un matrimonio tra due cittadini dell’Unione dello stesso sesso che è stato legalmente contratto in un altro Stato membro in cui hanno esercitato la loro libertà di circolazione e di soggiorno». In altre parole, i matrimoni gay contratti nell’Unione europea restano validi anche se nel Paese d’origine dei coniugi questo tipo di unioni non sono riconosciute. A stabilirlo è stata la Corte di Giustizia dell’Unione europea, che si è pronunciata sul caso di due cittadini polacchi, sposati in Germania, che hanno chiesto che il loro certificato di matrimonio fosse trascritto nel registro civile polacco affinché il matrimonio fosse riconosciuto in Polonia.
L’obbligo di rispettare lo stato coniugale all’interno dell’Unione
La richiesta dei due cittadini era stata respinta dalle autorità del loro Paese sulla base del fatto che la legge polacca non consente il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Tuttavia, la Corte di giustizia ha ritenuto che il rifiuto di riconoscere un matrimonio tra due cittadini dell’Unione, legalmente contratto in un altro Stato membro, sia contrario al diritto dell’Unione perché viola la libertà e il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Sul caso, risalente al 2018, la Corte ha spiegato: «Gli Stati membri sono quindi tenuti a riconoscere, ai fini dell’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione, lo stato coniugale legittimamente acquisito in un altro Stato membro».
Il diritto a proseguire la propria vita familiare
La Corte ha chiarito che la Polonia non è obbligata a introdurre il matrimonio tra persone dello stesso sesso nel proprio ordinamento nazionale, tuttavia ha ricordato che, sebbene le norme in materia di matrimonio rientrino nella competenza degli Stati membri, questi ultimi sono tenuti a rispettare il diritto dell’Unione. Nel caso in questione, i coniugi polacchi, in quanto cittadini dell’Unione, godono del diritto di condurre una normale vita familiare, che non deve essergli negata al momento del
ritorno nel loro Stato membro di origine. Quando dei cittadini dell’Unione, sottolinea la Corte, «creano una vita familiare in uno Stato membro ospitante, in particolare in virtù del matrimonio, devono avere la certezza di poter proseguire tale vita familiare al momento del ritorno nel loro Stato membro di origine».
(da agenzie)

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I RUSSI NON STANNO VINCENDO LA GUERRA IN UCRAINA, MA QUANDO SI TRATTA DI MANIPOLARE I FATTI, SPIANANO SEMPRE TUTTI

Novembre 25th, 2025 Riccardo Fucile

MOSCA È RIUSCITA A FAR PASSARE PER GIORNI IL MESSAGGIO CHE IL PIANO IN 28 PUNTI PER LA PACE IN UCRAINA FOSSE LA VERSIONE DEFINITIVA DI ACCORDO CON GLI STATI UNITI. LA STESSA CASA BIANCA SI È INTESTATA L’INTESA, MEDIATA DA STEVE WITKOFF, CHE SI È FATTO INTORTARE DALL’INVIATO DI PUTIN, KIRILL DMITRIEV

Il sito russo The Insider ha preso il vecchio piano di Istanbul, proposto dai russi nel 2022 come condizione per fermare l’invasione dell’Ucraina, e i ventotto punti che la scorsa settimana hanno fatto irruzione nella diplomazia mondiale.
Il giornale online, conosciuto soprattutto per le inchieste sull’intelligence di Mosca, ha analizzato le due proposte punto per punto e ha concluso che dopo tre anni e mezzo di guerra i russi vogliono ancora di più dagli ucraini e il piano redatto dall’inviato di Trump Steve Witkoff, e dall’uomo d’affari russo, Kirill Dmitriev, è ancora più punitivo per Kyiv rispetto a quello presentato a Istanbul.
La differenza la fa la sicurezza dei russi di avere a Washington un’Amministrazione compiacente. Non è una questione di fronte e conquiste, bensì di rapporti personali, tanto che la Russia è certa di poter prendere di più pur avendo fallito nel suo piano di arrivare a Kyiv e rovesciare il governo ucraino.
Le più grandi differenze stanno nelle questioni economiche e nella pretesa del riconoscimento americano della sovranità russa sulle regioni ucraine di Crimea, Luhansk e Donetsk.
L’analisi di The Insider dimostra che i russi si sentono più sicuri di ottenere con la diplomazia quello che non hanno ottenuto sul campo di battaglia.
Nonostante il piano in ventotto punti presentasse pesanti tracce russe e probabilmente è stato lo stesso Dmitriev a parlarne per primo alla stampa internazionale per mettere pressione a Kyiv, colpita dallo scandalo sulla corruzione, il Cremlino è rimasto in silenzio.
Ha iniziato a parlare con molta vaghezza quando la posizione americana di totale adesione alle richieste russe sembrava ormai irreversibile e in quel momento Vladimir Putin si era limitato a dire che la bozza era una buona partenza, ma ci sarebbe voluto del tempo.
Dopo le proposte europee, sulla stampa russa iniziava a vedersi l’impronta dei temniki, qualcosa di più di una velina, vere istruzioni che le istituzioni distribuiscono alla stampa russa. Ieri i giornali russi erano tutti contrari al piano, definito inaccettabile e
sporcato dagli ucraini e dagli europei.
Due quotidiani, l’Izvestia e la Rossiyskaya Gazeta avevano anche lo stesso titolone: “Plan ili propal”, gioco di parole da un modo di dire russo che possiamo tradurre come “O tutto o niente”.
Poi ha iniziato a parlare il Cremlino, nella persona di Yuri Ushakov, il consigliere di Putin per la politica estera, che ha descritto le proposte europee come incompatibili con gli interessi di Mosca.
Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha poi escluso che un incontro fra russi e americani avverrà questa settimana, come aveva lasciato intendere invece la Casa Bianca.
Per Mosca, quello con Kyiv, non deve essere un negoziato. Vuole una resa e non cambierà idea soprattutto se a Washington c’è un fidato inviato di Trump digiuno di diplomazia che scrive piani a quattro mani con un funzionario russo. Il piano è stato ribattezzo da osservatori europei e americani Dim-Wit. Sono le prime lettere dei due cognomi, ma se unite formano la parola dimwit, in italiano: idiota.
(da Il Foglio)

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CORRUZIONE IN RUSSIA: 9 MILIARDI DI RUBLI SPARITI DAL MINISTERO DELLA DIFESA

Novembre 25th, 2025 Riccardo Fucile

TRA GLI ACCUSATI UN’EX VICEMINISTRA DEL DONETSK

Se la corruzione è una bella gatta da pelare per Volodymyr Zelensky, non è da meno neanche per Vladimir Putin. Poche settimane dopo l’esplosione del caso che ha portato alle dimissioni di due ministri del governo ucraino, il ministero della Difesa di Mosca è stato travolto da uno scandalo. Secondo il tribunale della capitale russa, una serie di alti dirigenti e politici avrebbe fatto sparire 9 miliardi di rubli destinati alla realizzazione di quattordici appalti pubblici.
Il giro di corruzione negli appalti in Russia
Tra i principali imputati nel mirino dei giudici moscoviti c’è l’ex viceministro dell’Edilizia della Repubblica popolare del Donetsk, Yulia Mervazova. Secondo l’agenzia di stampa Tass, il tribunale ha ordinato il sequestro di tutti i beni degli imputati per un valore di centinaia di milioni di rubli tra onti bancari,
abitazioni e altri bei immobili di loro proprietà. Una scelta compiuta «a tutela della causa civile» nell’ambito di un procedimento «per frode di particolare gravità».
(da agenzie)

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GUASTI E INCIDENTI: SUI TRENI CONTINUANO I MAXI RITARDI

Novembre 25th, 2025 Riccardo Fucile

CAOS FERROVIE: FINITI I CANTIERI, I RITARDI DI ORE CONTINUANO… OLTRE AI PROBLEMI STRUTTURALI IMPATTA LA SATURAZIONE DI LINEE E STAZIONI DELL’ALTA VELOCITA’… E NEL 2026 ANDRA’ PEGGIO

Mentre, more solito, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini si occupa di tutto lo scibile umano o quasi, compreso il caso della “famiglia del bosco”, tranne che del dicastero di sua competenza, gli utenti delle ferrovie italiane sono alle prese con un’altra stagione di passione. Finita l’estate, chiusi i cantieri del Pnrr lungo le principali direttrici di traffico, molti credevano che l’incubo dei ritardi sarebbe terminato. Errore: sebbene non più al picco, come durante i periodi degli interventi straordinari sulla Roma-Firenze, con l’autunno sono arrivati nuovi disagi. Tra guasti alla rete e investimenti mortali (molti dei quali ahimè volontari), gli ultimi due mesi hanno riportato il calvario sulle linee ad alta e bassa velocità. E i dati
delle ricerche indipendenti sono lì a dimostrarlo.
La cronaca delle ultime settimane è una via Crucis.
– Domenica 26 ottobre, stazione di Villastellone, in provincia di Torino: un uomo viene travolto da un treno della linea Cuneo-Torino Porta Nuova che viaggiava verso il capoluogo piemontese, morendo sul colpo. Linea bloccata, 200 passeggeri trasferiti sui pullman.
– Martedì 4 novembre, un uomo finisce sotto il Frecciarossa Venezia-Napoli all’altezza di Pontelagoscuro (Ferrara), mandando in tilt il traffico ferroviario locale e sulla direttrice Bologna-Padova, con ritardi accumulati che toccano anche i 170 minuti.
– Martedì 13 novembre: una donna viene falciata da un convoglio nella stazione di Praia a Mare (Cosenza). Le linee ferroviarie di tutta Italia finiscono nel caos, ritardi sino a 7 ore sull’Alta velocità Reggio Calabria-Torino, in molte stazioni viaggiatori bloccati fino all’1 di notte.
– Mercoledì 19 novembre: guasto alle linee in prossimità della stazione di Milano Certosa, il problema inizia intorno alle 14.30 e viene risolto solo dopo le 16.30, i treni Alta velocità, Eurocity e Regionali accumulano ritardi fino a 50 minuti, alcuni Regionali
vengono cancellati o subiscono limitazioni di percorso.
– Domenica 23 novembre: un uomo muore sotto un treno alle 11 nella stazione di Firenze Rifredi, ritardi fino a 120 minuti inclusa la linea Alta velocità.
L’autunno e il periodo prenatalizio, purtroppo, portano con sé un incremento degli incidenti lungo le linee ferroviarie, quasi sempre mortali. Quando le vittime sono ferite la situazione è più semplice, perché i servizi sanitari di emergenza portano via rapidamente la persona, la polizia scientifica e il magistrato di turno intervengono ma i tempi tecnici dei rilievi sono più rapidi, solitamente tra l’ora e l’ora e mezza. Ma se di mezzo c’è un cadavere, come nella maggioranza dei casi, tra rilievi e recupero possono passare dalle 3 alle 6 ore.
Questo però non spiega tutto quanto sta accadendo sulle linee ferroviarie italiane. Secondo una analisi di Altroconsumo, che ha monitorato i dati di puntualità registrati da Rete Ferroviaria Italiana (Rfi), considerando i tempi di percorrenza dell’Alta velocità (sia Frecciarossa che Italo) e degli Intercity registrati tra il 25 luglio e il 5 settembre sui soli collegamenti diretti lungo 54 tratte diurne tra le principali città italiane, i Frecciarossa di Trenitalia ritardano nel 31% dei casi, Italo nel 20%. Ma i tempi
di percorrenza dell’Alta velocità sono comunque più lunghi rispetto al passato e il “mito” delle tre ore sulla tratta Milano-Roma è ormai solo una leggenda: la media dei tempi attuali è di 3 ore e 20 minuti, ma in caso di cantieri e di lavori il viaggio supera le 4 ore e può arrivare anche a 5. Gli Intercity invece accumulano ritardi nel 41% delle tratte analizzate. Alcune tratte poi sono peggio di altre: in particolare la Bari Centrale-Milano Centrale, la Salerno-Torino Porta Nuova e la Napoli Centrale-Venezia Mestre. Tra le cause ci sono i lavori di potenziamento della rete, i guasti e i problemi alla rete elettrica, ma anche il sovraffollamento dei convogli. Dati rilevati anche dalle analisi di Trainstats, che a novembre hanno segnalato picchi di ritardi per i treni Av.
Ferrovie dello Stato ribatte con dati diversi e sostiene che la situazione starebbe migliorando. Secondo Fs, nella prima metà di novembre i treni Alta velocità hanno registrato una puntualità pari all’80%: quattro treni su cinque, sia Frecciarossa sia Italo, sono arrivati in orario o entro 10 minuti di ritardo, mentre nello stesso periodo del 2024 la puntualità era stata del 71,8%. Ma basta un investimento e cambia tutto: nelle giornate in cui una persona finisce sotto un treno l’indice di puntualità cala dal 30 al
50%. Discorso simile per un guasto in snodi nevralgici.
Un altro fattore che impatta, però, è quello della saturazione di linee e stazioni ad Alta velocità. Secondo dati di Fs, in 15 anni le linee Av italiane sono passate dai 188 treni al giorno del 2009 ai 400 del 2024. E dal 2026 in Italia con la liberalizzazione arriveranno anche i treni Av francesi di Sncf, in concorrenza con Trenitalia e Italo. Con un investimento di 800 milioni, Sncf vuole coprire le tratte Torino-Milano-Napoli-Reggio Calabria e Torino-Milano-Venezia. Ulteriore traffico significa linee e stazioni sotto maggiore stress, specie nei centri di punta quali Milano Centrale, Firenze Santa Maria Novella e Roma Termini. Significa meno minuti tra una corsa e l’altra, “tracce” orarie più ravvicinate. Se per qualsiasi motivo un convoglio rallenta, quelli successivi devono fare lo stesso o fermarsi. Su alcune percorrenze, come Roma-Firenze, esiste il bypass della vecchia linea a bassa velocità sulla quale sono già dirottati Intercity e interregionali. Ma non dappertutto è possibile dispacciare i convogli su altre linee. L’ingolfamento aumenterà ancora e la via Crucis quotidiana si farà ancora più probabile.
(da ilfattoquotidiano.it)

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REGIONALI HORROR PER FRATELLI D’ITALIA: IL PARTITO DELLA MELONI È STATO DOPPIATO DALLA LEGA IN VENETO, STRACCIATO DAL CAMPO LARGO IN CAMPANIA E PERDE CONSENSI RISPETTO ALLE EUROPEE

Novembre 25th, 2025 Riccardo Fucile

ORA TEMONO DI DOVER RIMETTERE IN DISCUSSIONE IL PATTO SULLA LOMBARDIA, PRENOTATA DA GIORGIA MELONI IN CAMBIO DELLA CANDIDATURA DEL LEGHISTA STEFANI IN VENETO… IN CAMPANIA NON SONO SERVITI A NIENTE GLI INVESTIMENTI (CAIVANO E ZES), I CONDONI, I BLITZ DI ARIANNA MELONI, LA POLEMICA SUL “GOZZO” DI ROBERTO FICO E MEN CHE MENO LA CANDIDATURA A CAPOLISTA DI GENNARO SANGIULIANO

La notte luandese è più cupa del previsto per Giorgia Meloni. Dall’Angola, dove partecipa a un vertice dell’Unione africana, la premier deve fronteggiare le proporzioni di una sconfitta alle regionali sì annunciata, ma non nei termini che lo spoglio via via racconta.
Il Carroccio in Veneto doppia i suoi Fratelli (giù al 18,6%, quasi la metà rispetto ad Europee e Politiche) e già rimette in discussione il patto sulla Lombardia, prenotata da FdI.
In Campania lo scarto con i giallorossi è monstre, 25 punti, la lista della fiamma arranca poco sopra al 10% e per tutta la sera rischia il sorpasso di FI, «per noi un risultato lusinghiero», gongola Antonio Tajani.
Qui l’amarezza dei meloniani è commisurata agli sforzi profusi: gli investimenti da Caivano alla Zes, il condono elettorale, i blitz di Arianna Meloni, la contrapposizione con il governatore uscente, Vincenzo De Luca, e la campagna sul “gozzo” del suo successore, Roberto Fico.
E la Puglia? Nella terra di Marcello Gemmato, dove la premier trascorre le estati, per FdI il confronto con Politiche ed Europee è spiacevole (23,6% e 27% contro il 18,5% di ieri). Va meglio rispetto alle regionali del 2020 (12,6), che però è un’era politica fa.
Dall’Africa, la premier sente lo stato maggiore del partito, riunito a via della Scrofa, da Arianna a Giovanni Donzelli. La narrazione da far trapelare fuori è che mettendo nel computo tutte le regioni al voto in autunno è finita «3-3». Ma dentro la preoccupazione serpeggia. Anche in vista del referendum sulla giustizia. Formalmente, Meloni liquida la pratica su X: foto con il neo-governatore del Veneto, Alberto Stefani. La parola sconfitta non c’è. Né un rimando alla Lega. Il successo del delfino di Matteo Salvini è «una vittoria della coalizione»
Il vero timore di FdI è che il patto sulla Lombardia — motivo per cui i Fratelli hanno lasciato il Veneto ai leghisti — venga ridiscusso. Salvini davanti i microfoni, a Padova, dice e non dice. «Se gli alleati avranno proposte valide le ascolteremo, siamo una coalizione».
Però a domanda secca sul Pirellone fa il vago: «Mancano due anni, chi vivrà vedrà. La Lega in Lombardia può raggiungere lo stesso risultato del Veneto». E il centrodestra? «Momento complicato».
I colonnelli del segretario sono più diretti. Massimiliano Romeo, numero uno della Lega Lombarda e capogruppo in Senato, dice così: «Queste elezioni confermano che le regionali sono tutta
un’altra partita. E al Nord c’è la Lega».
Il risultato del Veneto è quello più bruciante. FdI puntava alla prima piazza. Donzelli pronosticava solo qualche giorno fa un 25 a 20 sulla Lega. Invece FdI è lontanissima, tallonata dal Pd. Anche in Campania la corsa di Cirielli era sì complicata, iniziata tardi, dopo le bizze con FI che gli avrebbe preferito un civico. Ma lo scarto è extralarge. Mentre Meloni parlava di una regione «contendibile», anche nelle chat private con i ministri, invitati a non risparmiarsi per la remuntada. Gli azzurri già punzecchiano: «In Campania contavamo di avere un risultato migliore», parola di Maurizio Gasparri.
(da Dagoreport)

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DUE PARTITI IN UNO, L’ETEROGENESI DI SALVINI: SI SALVA GRAZIE A ZAIA

Novembre 25th, 2025 Riccardo Fucile

LA GHIRBA GLIEL’HA SALVATA ZAIA

Passerà alla cronaca (non scomodiamo la storia) come un caso di scuola di eterogenesi dei fini applicato a Salvini. L’eterogenesi dei Salvini. Perché, c’è poco da fare, la ghirba gliel’ha salvata Luca Zaia, il grande interprete di una Lega opposta rispetto a quella incarnata dal leader leghista.
Da un lato autonomia e pragmatismo, Draghi e gestione oculata del Covid, Europa e imprese. Dall’altro Ponte sullo Stretto e Le Pen, no vax e dazi, Putin e condoni per Napoli.
Ecco, dicevamo, opposta. E anche mal tollerata senza neanche troppa dissimulazione. Ricordate quando Salvini, in piena campagna elettorale, dichiarò che avrebbe spedito l’ex governatore a Roma, dopo avergli impedito di formare una lista
e dopo non averlo difeso sul terzo mandato?
Invece, proprio lui, Zaia, da capolista, evita col suo consenso quella che sarebbe stata una debacle per tutti. Ovvero, il sorpasso da parte di Fratelli d’Italia come era accaduto alle Europee dello scorso anno. Allora, il partito di Giorgia Meloni raggiunse il 38 per cento, tre volte la Lega. Risultato prevedibile del film che sarebbe iniziato: crisi di nervi, possibile processo interno, fine delle speranze di mantenere, quando sarà, un proprio candidato in Lombardia.
Certo, rispetto alla volta scorsa, non c’è paragone. Nel 2022, la lista Zaia prese il 44 e la Lega il 16. Sommate, il 60 per cento, più o meno quanto ha raccolto Alberto Stefani con tutta la coalizione.
Però il 35 per cento del listone leghista, guidato dall’ex governatore e dai suoi uomini, consente di dire che la “ditta” non è fallita.
Insomma, facciamola breve. Il voto è la grande rivincita della “Lega nord” sulla Lega sovranista e vannacciana che, dopo la figuraccia in Toscana, conferma una sua flessione, rispetto alla volta scorsa, anche in Puglia e Campania.
Politicamente parlando, la ditta si salva quando tutela il suo core business e quel principio identitario, su cui la Lega si affermò trent’anni fa. La contraddizione è politicamente enorme, perché della leadership investe linea, parole d’ordine e classe dirigente. Ora il tema è squadernato.§
E non è questione di amarcord. Riguarda anche il ruolo da agire nel governo, di qui alle politiche: la sfida ideologica da destra a Meloni non funziona, il “sindacato di territorio” o, se volete, il “partito del Pil” consente invece di avere uno spazio sia di azione politica sia di rappresentanza di interessi
Quanto e come potranno coesistere due partiti in un corpo solo? Il quesito nasce spontaneo guardando i numeri e le conferenze stampa separate di Zaia e Stefani (con Salvini). Probabilmente rimarranno in un corpo solo e la leadership, almeno fino al voto, non sarà in discussione.
Però non ci vuole Cassandra per prevedere che il partito del Nord costringerà Salvini, nell’immediato, ad essere meno arrendevole sui tavoli delle candidature.
Sul resto è lecito avere dubbi. Gli uni non sono mai stati molto inclini alla pugna e al “chiarimento”, l’altro finora si è sempre dimostrato incapace di cambiare schema.
Alessandro De Angelis
per “La Stampa

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NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA

Novembre 25th, 2025 Riccardo Fucile

SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%)… PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER

In Veneto la Lega doppia Fratelli d’Italia ma da sola non avrebbe vinto, come alle precedenti regionali, dove la lista Zaia prese da
sola oltre il 44,57% e il Carroccio il 16,92%, senza i voti di Fdi e FI (fermi al 9,55 e al 3,56%)§Se Salvini piange, Meloni non ride: non è riuscita a prendere più voti della Lega in Veneto, mentre in Campania Fdi non riesce a distanziare Forza Italia (11,93% – 10,72%). Ora sarà molto difficile contrastare, per Salvini e Tajani, la riforma elettorale pro domo di Meloni.
Dopo la vittoria in Campania e in Veneto, sarà dura per i riformisti del Pd dare un calcio a Elly Schlein, mentre la debacle del M5S azzera le ambizioni di Giuseppe Conte a ricoprire il ruolo di candidato alle politiche del 2027, benché nei sondaggi per le primarie surclassasse la gruppettara del Nazareno.
In Campania si registra delusione nella Casa Riformista dove era atteso un 8 per cento: il listone renziano-centrista si ferma al 5,8%.
Il Carroccio in Veneto doppia i suoi Fratelli (giù al 18,6%, quasi la metà rispetto ad Europee e Politiche) e già rimette in discussione il patto sulla Lombardia, prenotata da FdI.
Formalmente, Meloni liquida la pratica su X: foto con il neo-governatore del Veneto, Alberto Stefani. La parola sconfitta non c’è. Né un rimando alla Lega. Il successo del delfino di Matteo Salvini è «una vittoria della coalizione».
Il vero timore di FdI è che il patto sulla Lombardia — motivo per cui i Fratelli hanno lasciato il Veneto ai leghisti — venga ridiscusso. Salvini davanti i microfoni, a Padova, dice e non dice. «Se gli alleati avranno proposte valide le ascolteremo, siamo una coalizione».
Però a domanda secca sul Pirellone fa il vago: «Mancano due anni, chi vivrà vedrà. La Lega in Lombardia può raggiungere lo stesso risultato del Veneto». E il centrodestra? «Momento complicato». I colonnelli del segretario sono più diretti.
Massimiliano Romeo, numero uno della Lega Lombarda e capogruppo in Senato, dice così: «Queste elezioni confermano che le regionali sono tutta un’altra partita. E al Nord c’è la Lega».
Armando Siri, capo dei dipartimenti leghisti e braccio destro di Salvini, è ancora più esplicito: «Gli elettori hanno premiato il buon governo della Lega, che ha un’ottima classe dirigente. Anche in Lombardia e a Milano siamo a disposizione con persone di qualità». Il presidente lombardo, Attilio Fontana, provoca: potremmo candidare Luca Zaia. Il “Doge” uscente.
Il risultato del Veneto è quello più bruciante. FdI puntava alla prima piazza. Donzelli pronosticava solo qualche giorno fa un 25 a 20 sulla Lega. Invece FdI è lontanissima, tallonata dal Pd.
(da agenzie)

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FICO: “AVEVANO INQUINATO I POZZI , QUI ABBIAMO SCONFITTO IL GOVERNO”

Novembre 25th, 2025 Riccardo Fucile

“C’È ANCHE UN ALTRO MESSAGGIO CHE ARRIVA DAL VOTO IN CAMPANIA: NON VOGLIAMO L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA”

Il centrodestra ha investito tutto in questa Regione, ma la remuntada di cui parlavano non c’è stata, neanche lontanamente. E oggi questa maggioranza ha battuto il governo Meloni». [Roberto Fico parla mentre, alle sue spalle, lo ascoltano tutti i leader del campo largo che ha sostenuto la sua candidatura alla guida della Campania
Perché questo voto in Campania assume rilievo nazionale, presidente Fico?
«È stata la destra ad aver trasformato in appuntamento nazionale questa campagna elettorale per le Regionali. Hanno schierato un loro uomo, il vice ministro degli Esteri, esponente storico ed organico a Fratelli d’Italia, e mandato qui tutti i ministri, promettendo qualsiasi cosa con la forza dei ministeri. Hanno anche inquinato un po’ i pozzi con gli insulti. Hanno lavorato per farci perdere o per perdere poco, invece oggi noi abbiamo vinto con uno scarto importante e soprattutto con l’unione della nostra coalizione, basata su principi e programmi condivisi».
“E poi c’è anche un altro messaggio, enorme, che arriva dalla Campania».
Quale?
«Non vogliamo l’autonomia differenziata. Noi crediamo che l’Italia sia una, come dice la nostra Costituzione, indivisibile. Ed è questo che costruiamo da qui. Ne sono convinto e so che tante persone del Nord la pensano esattamente in questo modo».
Dopo questo risultato il campo largo potrà arrivare unito fino alle Politiche
«Ci aspettano momenti importanti. Se lavoreremo bene, nel 2027 dalla Campania, dal Sud e non solo può arrivare un cambio di maggioranza nazionale. Ma per farlo dobbiamo lavorare nel migliore dei modi e dare alle persone risposte e soluzioni.
Questo è l’unico modo per poter arrivare a quella data ancora più uniti».
(da agenzie)

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